Il fatto
Con ordinanza del 22/07/2020, il Tribunale di Milano rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagato avverso l’ordinanza emessa il 23/06/2020 dal Giudice per le indagini preliminari, con la quale era stata applicata al predetto la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui all’art. 609- bis c.p. art. 609 ter c.p., n. 5 quater e art. 572 c.p. commessi in danno della propria compagna. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso l’indagato.
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I motivi di ricorso
Con il primo motivo l’indagato deduceva violazione degli artt. 273, 292 comma 2 ter e 358 c.p.p. e correlato vizio di motivazione, atteso che la motivazione espressa in relazione alla gravità indiziaria risultava essere carente e contraddittoria, in quanto il Tribunale aveva ribadito la sussistenza dei gravi indizi a carico del ricorrente riportandosi a quanto contenuto nel provvedimento genetico e ritenendo attendibile la persona offesa senza prendere in considerazione le deduzioni difensive sul punto.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 309 c.p.p., comma 9, e correlato vizio di motivazione, ribadendo che il Tribunale si era limitato a trascrivere gli elementi indicati in sede di applicazione della misura senza rielaborarli alla luce delle argomentazioni difensive, così incorrendo anche nella violazione della predetta disposizione normativa.
Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 274 c.p.p. e correlato vizio di motivazione.
Argomenta che il Tribunale, nel ritenere sussistente il pericolo di reiterazione criminosa, si era limitato a rilevare la gravità dei fatti contestati ed i precedenti penali dell’indagato; inoltre, non aveva giustificato l’adeguatezza della custodia cautelare in carcere rispetto agli arresti domiciliari, limitandosi ad affermare la mancanza di affidabilità dell’indagato sulla scorta della personalità dello stesso.
Chiede, pertanto, disporsi la nullità o l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
La decisione della cassazione ed i principi di diritto
La Corte di Cassazione si pronuncia per l’infondatezza di tutti e tre i motivi.
Per ciò che attiene i primi due motivi gli Ermellini evidenziano che per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p., “devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza. (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995 – dep. 01/08/1995, Costantino ed altro, Rv. 202002)”.
Secondo la Corte, l’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà dell’indagato non deve essere il frutto di un’unica ricostruzione dei fatti che conduca, oltre ogni ragionevole dubbio, ad uno scrutinio di responsabilità dello stesso, ma è necessario e sufficiente che sia il risultato di “un apprezzamento in termini prognostici che, come tale, è ontologicamente compatibile con possibili ricostruzioni alternative, anche se fondate sugli stessi elementi”.
Peraltro, continua la Suprema Corte, “anche dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 63/2001, è ancora sufficiente il requisito della sola gravità degli indizi, posto che l’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, (introdotto dalla legge citata) richiama espressamente l’art. 192, commi 3 e 4 ma non il comma 2 che prescrive la valutazione della precisione e della concordanza, accanto alla gravità, degli indizi: ne consegue che essi, in sede di giudizio de libertate, non vanno valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 c.p.p., comma 2, – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – come si desume dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, che richiama dell’art. 192 c.p.p., i commi 3 e 4 ma non il comma 2 cit. art. che richiede una particolare qualificazione degli indizi”[i]
Come evidenziato in precedenti pronunce, in sede cautelare la nozione di “gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine “indizi”, inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta ad indicare la “prova logica o indiretta”, ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (vedi art. 192 c.p.p., comma 2), che consente di risalire ad un fatto incerto attraverso massime di comune esperienza. Per l’emissione di una misura cautelare, invece, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati (provvisoriamente) addebitatigli.[ii]
Peraltro, la Corte rammenta che nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, oltre ad un quadro indiziario che ai sensi dell’art. 273 co. 1-bis c.p.p. deve essere grave, non anche preciso e concordante, si aggiunga una prova diretta quale la dichiarazione resa dalla parte lesa “deve escludersi la necessità di fare ricorso al concetto di “gravità” inerente alla prova logica costituente l’indizio in quanto il minimo di gravità indiziaria è soverchiato dal diverso e più soddisfacente grado di prova acquisita; la dichiarazione della parte offesa del reato di per sé rappresenta, pertanto, un plus rispetto all’apporto richiesto dall’art. 273 c.p.p. ed il richiamo ad opera dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis dell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 non comporta la necessità che le dichiarazioni della persona offesa trovino riscontro in elementi esterni, così che esse possono ancora costituire da sole fonte di prova quando siano ritenute dal giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibili sul piano oggetto e su quello soggettivo”[iii].
Come in numerosi altri arresti, la Corte di Cassazione specifica, poi, che “alla Corte di legittimità spetta il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie”. Di talché esula dalle competenze della Corte qualsiasi nuova valutazione rispetto agli indizi e agli elementi materiali e fattuali della vicenda.
In ordine al terzo motivo, infine, la Corte evidenzia che nell’ambito di talune tipologie di reati, il comma 3 dell’art. 275 c.p.p., statuisce che “La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto se le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270 bis e 416 bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Salvo quanto previsto dal secondo periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del presente codice nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600 bis, primo comma, 600 ter, escluso il quarto comma, 600 quinquies e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609 bis, 609 quater e 609 octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.
Per tali reati, quindi, evidenzia la Corte, il Giudice deve considerare sussistenti le esigenze cautelari laddove non emerga la prova della loro mancanza, secondo uno schema di prova di tipo negativo e secondo un modello che, sul piano pratico, si traduce in una marcata attenuazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti applicativi della custodia cautelare in carcere che si traduce nell’onere di dar semplicemente atto dell’inesistenza di elementi idonei a vincere la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari; solo nel caso in cui l’indagato abbia allegato elementi di segno contrario, l’obbligo motivazionale diviene più pregnante in quanto il Giudice sarà tenuto a giustificare la ritenuta inidoneità degli stessi a superare la presunzione.
Conclusioni
La sentenza in esame si iscrive all’orientamento che trova richiamo nella famosa sentenza Cass., S.U. del 21.4.1995, n. 11[iv], allo stato da ritenersi maggioritario.
La sentenza in esame colloca a base delle proprie ragioni sia il riferimento alla natura dell’elemento “probatorio” indicato dalla norma, sia il tenore letterale di essa.
Il primo argomento fa leva sull’espressione “gravi indizi di colpevolezza” individuati dall’art. 273 c.p.p. che farebbe riferimento a qualsiasi elemento probatorio sufficiente a fondare un giudizio prognostico in ordine alla responsabilità dell’indagato, supportato da un dovere motivazionale in capo al giudicante scandito da una, pur sintetica, ma autonoma, valutazione della legittimità e consistenza degli elementi disponibili. Il dovere motivazionale del Giudice dei provvedimenti de libertate risulta ancora più attenuato nel caso in cui all’indagato siano addebitati taluni dei reati indicati dall’art. 275 co. 3 c.p.p.[v]
Secondo l’interpretazione della Suprema Corte, il termine indizi riveste un significato concettualmente diverso e più esteso rispetto alla medesima locuzione di indizio che si rinviene dalla lettura dell’art.192, comma 2, c.p.p.[vi]
Infine, il secondo argomento fa leva sul tenore letterale della norma di cui all’art. 273 c.p.p. per come risultante anche a seguito dell’intervento operato dalla L. n. 63 del 2001 affermandosi che “nella fase cautelare è ancora sufficiente il requisito della sola gravità (art. 273 c.p.p., comma 1), giacchè del citato art. 273, il comma 1 bis (introdotto, appunto, dalla suddetta legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non dell’art. 192 c.p.p., il comma 2 che prescrive la precisione e la concordanza accanto alla gravità degli indizi: derivandone, quindi, che gli indizi, ai fini delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza.”[vii]
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[i] Vedi anche Cassazione penale, sez. IV , 14/03/2019 , n. 17247.
[ii] Vedi anche Cassazione penale sez. IV, 11/06/2020, n.20123 e Cassazione penale, sez. IV , 10/10/2019, n. 43689.
[iii] Sul punto vedi anche Cassazione penale, sez. I , 21/09/2018 , n. 44633, secondo cui In tema di misure cautelari personali, le dichiarazioni accusatorie della persona offesa possono integrare i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione della misura, senza necessità di acquisire riscontri oggettivi esterni al fine della valutazione di attendibilità estrinseca.
[iv] In quell’occasione, il tema devoluto concerneva la problematica del quantum di prova necessario affinchè una chiamata di correo potesse integrare la gravità indiziaria richiesta a fini cautelari ed in particolare se necessitasse di riscontri esterni idonei a suffragarne l’attendibilità intrinseca ed estrinseca e, in caso positivo, se occorresse che i suddetti riscontri avessero anche carattere individualizzante.
[v] Cassazione Penale, sez. VI, 10/07/2020, n. 31370.
[vi] Sul punto Giovanni Passalacqua, Ricognizione e brevi considerazioni in materia di criteri di valutazione della prova indiretta nel giudizio cautelare – Penale-diritto e procedura.
[vii] Così anche Cass. Pen. Sez. IV n. 17247 del 2019.
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