I labili confini tra dote, doni tra fidanzati e donazione obnuziale: a un passo dalla nullità?

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La dote

La dote costituisce un istituto di antica memoria, utilizzato all’interno di vari ordinamenti come avvio dei rapporti patrimoniali tra i coniugi.

Nel passato questo asset di beni (noto ancora alle nostre nonne come “corredo”) accompagnava la nubenda nell’uscita dalla casa paterna, finendo direttamente nelle casse della nuova famiglia, i cui beni venivano gestiti dal “capo” della stessa, ovvero dal marito.

La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha inciso negativamente su tale istituto, per almeno due motivi fondamentali: il primo, perché la desuetudine a cui la dote era sottoposta nei fatti la configurava quale istituto vetusto e abbandonato nella prassi, retaggio ormai di epoche passate; il secondo, perché non poteva più avere cittadinanza nel nostro ordinamento uno strumento giuridico che qualificasse la donna come un soggetto non di pari grado rispetto al coniuge, ma a lui subordinato, se non addirittura come un “peso” economico nei confronti del marito, a cui spettava, pertanto, un equo indennizzo.

L’art. 166 bis c.c., oggi, permette di dichiarare nulla ogni convenzione matrimoniale che non soltanto abbia l’effetto di costituire beni in dote, ma che, altresì, “tenda a” una sua costituzione in qualsiasi modo essa si realizzi.

Questa norma fa sì che ogni strumento astrattamente lecito, utilizzato al fine di dar vita a un patto dotale, sia tamquam non esset, rilevabile d’ufficio e da chiunque vi abbia interesse in qualsiasi tempo, secondo il disposto degli artt. 1421 e 1422 c.c., senza, tra l’altro, possibilità alcuna di essere convalidato ma, al più, convertito al sussistere dei presupposti richiesti dalla legge (art. 1424 c.c.).

Il rapporto con i doni dei fidanzati e la donazione obnuziale

Ciò detto, il nostro ordinamento declina alcuni istituti che comportano spostamenti patrimoniali unidirezionali aventi causa in un atto o un rapporto prodottosi sulla base di affectio coniugalis; tra  questi figurano anche le convenzioni patrimoniali, veri e proprio contratti che possono derogare – nei limiti di legge – al regime legale della comunione dei beni e di cui l’accordo dotale costituisce una species.

Questo fatto induce a pensare che la riforma del ‘75 non abbia voluto cancellare qualsiasi passaggio di ricchezze dovuto al matrimonio o al fidanzamento, ma, piuttosto, abbia inteso eliminare qualsiasi traccia dell’arcaica ideologia che vede nel matrimonio un’occasione di mercimonio della donna nei confronti dell’uomo.

Tuttavia, analizzando attentamente il dettato normativo, non è così semplice distinguere i confini tra l’istituto vietato e altre fattispecie di accordi o lasciti legittimi. E’ opportuno, allora, chiedersi se non vi sia il rischio che questi possano essere utilizzati al fine di nascondere, in realtà, una convenzione di natura dotale.

Il primo istituto a entrare in ballo, a tal proposito, sono i doni fatti a causa di promessa di matrimonio, di cui l’art. 80 c.c. disciplina la richiesta di loro restituzione.

La norma de qua permette al fidanzato e alla fidanzata di tornare in possesso dei beni donati al partner laddove la promessa di convolare a nozze non sia stata adempiuta; la domanda può essere proposta entro un anno – termine di decadenza – dal rifiuto di sposarsi.

Con questa disposizione il legislatore prende atto del fatto che i rapporti affettivi tra le persone si esprimono anche attraverso doni materiali, i quali tendenzialmente hanno modico valore patrimoniale, ma che possono acquisire grande valore affettivo: di ciò ne sono testimonianza altre norme, come ad es. l’art. 7 dell’ordinamento penitenziario, il quale ammette che i detenuti posseggano, durante la loro detenzione in carcere, “oggetti che abbiano particolare valore morale o affettivo”.

Se, però, più che di valore affettivo i doni rilevino per il loro valore economico, potrebbe, dietro essi, celarsi una dote, ovvero un vero e proprio versamento fatto al futuro marito ad sustinenda onera matrimonii.

D’altra parte, è sin troppo scontato obiettare che il criterio del valore economico figuri quale un parametro dal carattere relativo, duttile e assai malleabile, che non permette di distinguere efficacemente un fenomeno di uso comune, e più che legittimo, come i regali tra fidanzati rispetto all’istituto dotale, vietato. I nubendi (o chi per loro), infatti, potrebbero scambiarsi anche doni dal rilevante valore economico, idonei a configurare una dote, mascherandola sotto le predette regalie.

Più concretamente, si ritiene opportuno distinguere gli istituti non per mezzo del criterio economico, ma, piuttosto, mediante il criterio del fine con il quale il dono è stato fatto: se, infatti, questo trae origine dal puro sentimento d’affetto, si ricade all’interno della disposizione di cui all’art. 80 c.c., mentre, se fatto al fine di rendere “meno amaro” il boccone della futura vita coniugale o, ancora peggio, come “valore aggiunto” alla donna data in sposa,  ecco che si configura una vera e propria dote.

Anche in tal caso, tuttavia, l’onere probatorio richiesto alla parte che voglia far valere in giudizio la nullità di cui all’art. 166 bis c.c. sarebbe alquanto gravoso, come lo è, del resto, la prova di qualsiasi elemento di natura psicologica; probabilmente, la giurisprudenza – così come in altre occasioni – individuerebbe figure sintomatiche dell’una o dell’altra fattispecie. Per esempio, un gravoso indizio di dote potrebbe essere il ruolo dei genitori o altri parenti all’interno dello scambio, i quali de facto sono tendenzialmente gli effettivi possidenti dei beni economicamente più rilevanti, nonché la reale parte del “contratto di matrimonio”.

Un altro istituto dietro al quale può celarsi una convenzione dotale è, poi, la donazione obnuziale, ovvero quell’atto gratuito, compiuto per spirito di liberalità, fatto in riguardo di un matrimonio futuro.

L’art. 785 c.c., il quale sottopone l’atto donativo alla condizione sospensiva del verificarsi dell’evento sponsale pur non richiedendo alcuna accettazione da parte del donatario, costituisce un istituto molto simile alla dote, in quanto in entrambe i casi l’atto è sottoposto alla forma ad substantiam, è posto in essere a causa di matrimonio e prevede uno spostamento patrimoniale unidirezionale. L’unica differenza giuridica si ravvisa nel processo di formazione: in un caso (dote), essendo dinnanzi a una convenzione in senso stretto, si segue il processo di scambio tra proposta e accettazione di cui agli artt. 1326 e ss. c.c.; nell’altro (donazione obnuziale), essendo un contratto con obbligazioni a carico di una sola parte non richiedente accettazione, esso si perfeziona nel momento in cui la proposta giunge all’indirizzo della controparte (art. 1333 c.c.)

Individuare, dunque, un criterio di differenziazione sul piano sostanziale tra donazione obnuziale e dote costituisce impresa a dir poco ardua, anche se sul piano effettuale gli esiti sono ancora una volta opposti: in un caso (dote) si ha nullità testuale dell’accordo, nell’altro (donazione) un atto pienamente valido.

Anche in tal caso, l’unico spiraglio di differenza può forse ravvisarsi nel reale significato attribuito dalle parti allo spostamento patrimoniale (se sorretto da liberalità pur se fatto in occasione di matrimonio, costituisce donazione; altrimenti, se in esso è ravvisabile un “incentivo” allo stesso, si ha una dote), riproponendosi, così, gli stessi problemi in tema di onere probatorio con riguardo ai doni tra i fidanzati.

Il cane si morde la coda.

Conclusioni

Come si può vedere, i pochi istituti presi in considerazione mostrano un confine sottilissimo tra loro, a fronte di una opposta valutazione da parte del legislatore con riguardo alla loro meritevolezza e liceità.

Il problema, a dire il vero pressoché assente in giurisprudenza e in dottrina – almeno per quanto risulta -, non appare agli occhi di chi scrive una mera questione teorica, per almeno due motivi.

Il primo trae origine da un dato di fatto: in alcune società extraeuropee l’istituto della dote costituisce ancora una realtà attuale e un istituto giuridico tutt’altro che vetusto seppur avversato (si pensi al caso dell’India). In una società sempre più globalizzata e dinamica come quella attuale, non sarebbe impossibile che persone provenienti da contesti culturali differenti, immigrati nel nostro Paese, pongano in essere atti illeciti riconducibili all’istituto della dote sotto forme apparentemente lecite.

Il secondo motivo, invece, trova l’abbrivio dal fatto che qualunque persona abbia interesse a impugnare un atto di donazione obnuziale potrebbe declamarne la sua invalidità in quanto atto dotale, con il rischio di “spuntarla” in un eventuale giudizio.

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