I limiti all’esecuzione esattoriale: l’art. 52 del decreto legge n. 69/ 2013

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Il decreto legge n. 69 del 2013, convertito con modificazioni in legge n. 98 del 2013, all’articolo 52, prevede che l’agente della riscossione possa solo intervenire ma non rendersi creditore procedente laddove il pignoramento abbia ad oggetto l’unico immobile del debitore, nel quale egli risieda anagraficamente e che abbia adibito ad uso abitativo, con esclusione delle abitazioni di lusso, delle ville e dei castelli.

La norma in questione modifica l’art. 76, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in materia di riscossione di imposte sul reddito, all’evidente scopo di arginare i pignoramenti immobiliari promossi per crediti fiscali.

La disposizione in esame prevede che l’agente della riscossione non possa dare corso alla esecuzione sull’unico immobile di residenza del debitore, eccetto case di lusso, ville o castelli, salvo che si tratti di crediti di valore superiore ad euro centoventimila (comma 1, lett. b)).

Parimenti a dirsi nel caso in cui l’espropriazione riguardi un cespite compreso in uno specifico paniere di beni, definiti come essenziali da apposito decreto del Ministero dell’economia, d’intesa con l’Agenzia delle entrate e l’Istat (comma 1, lett. a)), oppure qualora il valore del bene, determinato ai sensi dell’articolo 79, d.P.R. n. 602/1973, diminuito delle passività ipotecarie aventi priorità sul credito per il quale si procede, sia di importo inferiore ad euro centoventimila.

Tale strumento di protezione del consumatore è già noto ad altri ordinamenti e può dirsi ispirato all’homestead exemption del diritto statunitense, quale istituto giuridico volto a preservare la abitazione principale del debitore da azioni esecutive intentate in suo danno.

Tale istituto è nato nel periodo immediatamente successivo alla Grande depressione per sollevare le persone più indigenti dall’obbligo di pagare le tasse sulla casa ed evitare che esse perdessero la proprietà.

Un aspetto molto caratteristico della homestead exemption risiede nella creazione di soglie variabili di impignorabilità, in ragione della tipologia di debitore. Da questo punto di vista, appare interessante la legislazione dello Stato della California, la quale dal gennaio 2010 prevede una graduazione ben precisa di esenzioni: $75.000 per il debitore single, da $75.000 a $100.0000 per le coppie sposate, da $150.000 a $175.000 per le coppie formate da ultrasessantacinquenni, da disabili o da persone ultracinquantacinquenni a basso reddito, ossia inferiore a $25.000 se persona non sposata, inferiore a $35.000 se sposata. La regolamentazione normativa si rinviene nel codice di procedura civile della California, agli articoli da 704 a 730.

Deve osservarsi anche come la homestead exemption abbia rilievo costituzionale in alcuni Stati, essendo ad esempio prevista dall’art. 28 della Costituzione del Texas.

Quella statunitense è indubbiamente una legislazione molto articolata ed avanzata, che, come tale, ben potrebbe essere presa a modello per ulteriori riforme legislative, specialmente laddove essa si dimostra attenta a parametrare il grado di esenzione in ragione delle peculiarità del soggetto debitore.

Torniamo ora al riformato art. 76, d.P.R. n. 602 del 1973.

Sussiste una peculiarità nel sistema dei mezzi a tutela del credito fiscale, che emerge dal combinato disposto degli articoli 76 e 77, d.P.R. n. 602.

L’art. 77, comma 1-bis, stabilisce infatti che l’agente della riscossione può iscrivere ipoteca fiscale sugli immobili del debitore e dei coobbligati, in misura pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede, anche qualora non si siano ancora verificate le condizioni per procedere all’espropriazione di cui all’art. 76, purché l’importo complessivo del credito per cui si procede non sia inferiore a ventimila euro.

In sostanza, l’agente della riscossione può, nel caso di specie, iscrivere l’ipoteca senza tuttavia potersi rendere creditore procedente, perché difettano le condizioni di cui all’art. 76, d.P.R. n. 602; in tal senso, la ipoteca iscritta viene ad assumere una funzione deterrente in danno del debitore, nonché a tutelare comunque il credito fiscale.

Ciò in quanto, se ad esempio l’esecuzione venisse intentata dalla banca o dal condominio per rate insolute, il credito dell’amministrazione fiscale godrebbe pur sempre di prelazione in sede esecutiva circa il ricavato della vendita forzata e beneficerebbe del diritto di seguito (o di sequela) sull’immobile staggito venduto all’aggiudicatario.

La giurisprudenza si è interrogata sull’ambito di applicazione e sugli effetti della disposizione in esame. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’art. 52, d.l. n. 69/13, si applica non solo ai processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche ai singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand’anche la nuova norma sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all’epoca di introduzione del giudizio. Nel caso di esecuzione promossa in violazione dell’art. 52, l’azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell’esecuzione o per iniziativa dell’agente della riscossione.

La pronuncia di legittimità si riferisce a un’azione esecutiva esperita anteriormente all’entrata in vigore della nuova legge e pendente a tale data:

 

“Con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la parte ricorrente ha fatto presente che, a seguito dell’entrata in vigore del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, art. 52, comma 1, lett. g), convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che ha modificato il d.P.R. n. 602 del 1973, art. 76 ritenuto applicabile al caso di specie, Equitalia Esatri s.p.a. ha provveduto alla cancellazione del pignoramento per cui è causa ed ha chiesto la dichiarazione della cessazione della materia del contendere.

All’udienza del 13 maggio 2014 il difensore della stessa parte, alla presenza del difensore della parte resistente, ha prodotto visure dell’Agenzia delle entrate relative alla richiesta di cancellazione del pignoramento sull’appartamento oggetto dell’espropriazione immobiliare esattoriale, alla quale è riferita l’opposizione all’esecuzione per cui è ricorso. A sua volta, la parte resistente, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., ha richiamato la normativa sopravvenuta, che, a suo dire, comporterebbe l’impignorabilità da parte dell’agente della riscossione della casa di abitazione, quando sia l’unico immobile di proprietà del debitore, che vi risieda anagraficamente; ha convenuto sulla sussistenza dei requisiti per l’applicazione, nella specie, del nuovo testo del d.P.R. n. 602 del 1973, art. 76.

La situazione normativa e processuale sopra delineata comporta che si debba verificare l’assunto della ricorrente circa l’applicabilità dello ius superveniens sopra richiamato (cfr., da ultimo, Cass. n. 16642/2012, sull’applicazione nel giudizio di legittimità dello ius superveniens che introduca una nuova disciplina del rapporto), in forza del quale la stessa ricorrente ha dedotto la sopravvenuta cessazione della materia del contendere avendo chiesto la cancellazione della trascrizione del pignoramento dell’usufrutto della casa di abitazione della resistente, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 76.

L’art. 76, comma 1 è stato sostituito dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69, art. 52, comma 1, lett. g), convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, con la seguente previsione:

1. Ferma la facoltà di intervento ai sensi del codice di procedura civile, l’agente della riscossione: a) non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal d.m. lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente; b) nei casi diversi da quello di cui alla lettera a), può procedere all’espropriazione immobiliare se l’importo complessivo del credito per cui procede supera centoventimila euro. L’espropriazione può essere avviata se è stata iscritta l’ipoteca di cui all’art. 77 e sono decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto. Il Collegio ritiene che la lettera a) della disposizione novellata non preveda un’ipotesi di impignorabilità.

Depone, in tale senso, in primo luogo, la lettera della legge, che, a differenza delle disposizioni, anche del codice di rito, con le quali si sia inteso sottrarre all’esecuzione determinati beni, non sancisce che l’unico immobile di proprietà del debitore adibito a sua abitazione sia «impignorabile» ovvero non assoggettabile ad espropriazione (cfr., tra gli altri, gli artt. 514 e 545 c.p.c.). Essa, già dal punto di vista letterale, non appare rivolta a dettare una disciplina peculiare del bene, in sé considerato, ma piuttosto a regolare l’azione esecutiva dell’agente della riscossione.

Inoltre, è la stessa norma che consente all’agente della riscossione di intervenire nel processo esecutivo immobiliare, avente ad oggetto quel bene immobile, che altri creditori del debitore abbiano intrapreso ai sensi delle norme del codice di rito. La casa di abitazione del debitore, che costituisce l’unico immobile di sua proprietà, resta perciò pignorabile, alla stregua di tali norme.

Essa continua a far parte dei beni che assicurano la garanzia patrimoniale dell’art. 2740 c.c. Peraltro, la previsione che, esercitata la facoltà di intervento, l’agente della riscossione possa partecipare alla distribuzione del ricavato porta ad escludere che sia venuta meno detta garanzia patrimoniale anche in riferimento ai crediti per i quali sarebbe stata consentita l’azione esecutiva esattoriale, se non vi fosse il limite normativo in oggetto.

2.1. Il testo del nuovo comma 1 dell’art. 76 corrobora la conclusione che non si tratti di un’ipotesi di impignorabilità, laddove, nella stessa lettera a), sancisce che l’agente della riscossione non dà corso all’espropriazione… L’espressione consente di argomentare nel senso che il legislatore voglia evitare il risultato tipico del processo esecutivo immobiliare, vale a dire la perdita, in capo al debitore esecutato, dell’unica casa di sua proprietà, nella quale abbia la residenza. Risulta perciò coerente l’uso di un’espressione, quale è quella di non dare corso, che consente di comprendervi sia l’impedimento all’inizio del processo esecutivo che l’impedimento alla sua prosecuzione. Questo risultato interpretativo appare altresì coerente con la ratio legis, evidentemente finalizzata, anche per quanto si evince dai lavori preparatori, a salvaguardare il diritto del debitore alla casa di abitazione.

2.2. L’interpretazione supportata dalla lettera e dalla ratio della legge, nonché riscontrata sistematicamente dal riconoscimento della facoltà di intervento dell’agente della riscossione nelle procedure esecutive ordinarie che abbiano ad oggetto l’unico immobile di proprietà del debitore che sia adibito a sua casa di abitazione, è nel senso che l’art. 76, comma 1, nel testo novellato, preveda una condizione dell’azione esecutiva esattoriale, la cui mancanza ne impedisce l’inizio ovvero l’ulteriore corso.

Dal momento che la norma disciplina il processo esecutivo esattoriale immobiliare, e non introduce un’ipotesi di impignorabilità sopravvenuta del suo oggetto, la mancanza di una disposizione transitoria comporta che debba essere applicato il principio per il quale nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand’anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all’epoca di introduzione del giudizio (così Cass. n. 3688/2011).

Il d.P.R. n. 602 del 1973, art. 76, comma 1, lett. a) va quindi immediatamente applicato con riferimento agli atti da compiersi nei processi esecutivi pendenti per impulso dell’agente della riscossione. Ne segue che questo può proseguire i procedimenti esecutivi esattoriali già pendenti soltanto se detta condizione della sua azione esecutiva sia tuttora sussistente. In mancanza, dovranno trarsi le dovute conseguenze dalla sopravvenuta situazione di improcedibilità. Va perciò affermato che, in tema di espropriazione immobiliare esattoriale, qualora sia stato eseguito il pignoramento immobiliare mediante la trascrizione e la notificazione dell’avviso di vendita ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 78 ed il processo sia ancora pendente alla data del 21 agosto 2013 (di entrata in vigore del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, art. 52, comma 1, lett. g), convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, ai sensi del d.l. n. 69 del 2013, art. 86 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 s.o. del 20 agosto 2013), l’azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell’esecuzione o per iniziativa dell’agente della riscossione, se l’espropriazione ha ad oggetto l’unico immobile di proprietà del debitore, che non sia bene di lusso e sia destinato ad abitazione del debitore, il quale ivi abbia la propria residenza anagrafica” (Cass. civ., 12 settembre 2014, n. 19270).

 

L’art.  52, d.l.  n. 69, non  è applicabile al processo penale e, come tale, non  impedisce il sequestro preventivo volto  alla confisca per  equivalente. Infatti, come si legge nella sentenza della Cassazione n. 7359 del 4 febbraio 2014:

 

“Il ricorso è inammissibile.

[…]

Deve osservarsi che, sebbene la confisca per equivalente sia possibile anche se non preceduta dal sequestro dei beni, l’applicazione della misura reale trova giustificazione, quanto meno, nell’esigenza di assicurare la successiva apprensione dei beni e che va tenuto conto, come correttamente rilevato dal Tribunale, del suo carattere preminentemente sanzionatorio, che la giurisprudenza di questa Corte, pure richiamata nel provvedimento impugnato, ha rilevato, considerando che l’istituto costituisce «una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti» (così sez. 5, n. 15445, 1° aprile 2004. V. anche sez. 3, n. 19034, 2 maggio 2013; sez. 3, n. 28731, 19 luglio 2011; sez. 2, n. 21027, 4 giugno 2010; sez. 2, n. 28685, 10 luglio 2008; sez. 2, n. 3629, 31 gennaio 2007; s.u., n. 41936, 22 novembre 2005).

Del tutto generico risulta, inoltre, il riferimento, contenuto in ricorso, al «principio della impignorabilità dell’immobile costituente prima casa del contribuente» senza ulteriori specificazioni.

Va rilevato, a tale proposito, che se il ricorrente ha inteso riferirsi alle limitazioni imposte con il d.l. 21 giugno 2013, n. 69, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia» e convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, questo riguarda, comunque, il solo agente della riscossione ed è limitato a specifiche ipotesi e condizioni e non svolge alcun effetto sulla misura cautelare reale imposta nel processo penale, avente, evidentemente, finalità del tutto diverse.

Anche il terzo motivo di ricorso risulta formulato in maniera estremamente generica.

Il ricorrente si limita sostanzialmente a lamentare il fatto che i giudici del riesame non avrebbero formulato alcuna valutazione sui beni sottoposti a sequestro, pur riconoscendo come il Tribunale abbia dato atto della circostanza che il G.I.P., nel disporre il sequestro, ha tenuto conto dei versamenti già effettuati all’erario secondo la rateizzazione concordata, affermando poi, del tutto apoditticamente, che il valore dei beni sarebbe superiore a quello corrispondente all’imposta non versata.

A fronte di tale perentoria affermazione, il ricorso non indica alcun elemento concreto che possa consentire a questa Corte di rilevare la sussistenza o meno del vizio denunciato, dovendosi peraltro rilevare che, anche dal tenore del provvedimento impugnato, nella parte in cui indica le deduzioni difensive formulate nella richiesta di riesame, non risulta che la questione sia stata dedotta in quella sede.

Il quarto motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.

Il Tribunale ha dato atto, nell’ordinanza impugnata, che nessuna questione è stata sollevata dall’indagato con riferimento alla sussistenza del fumus del reato, essendosi una delle censure incentrata esclusivamente sulla sussistenza del periculum in mora.

Rispetto a tale deduzione il Tribunale ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte, la quale, è appena il caso di ricordarlo, ha chiarito, riguardo alla dimostrazione del periculum in mora, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è disposto senza che abbia rilievo la pericolosità del bene, del pari irrilevante per la misura ablativa finale (sez. 3, n. 26389, 6 luglio 2011. V. anche sez. 2, n. 1454, 11 gennaio 2008).

A conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che concerne il quinto motivo di ricorso. Invero, con riferimento ai reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, il sequestro funzionale alla confisca per equivalente va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di «profitto», costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo (così sez. 3, n. 1199, 16 gennaio 2012. V. anche s.u., n. 18374, 23 aprile 2013).

La quantificazione del risparmio di cui si è appena detto è comprensiva del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (sez. 5, n. 1843, 17 gennaio 2012. V. anche sez. 3, n. 11836, 13 marzo 2013).

Si è inoltre affermato, seguendo un indirizzo giurisprudenziale decisamente prevalente e condiviso dal Collegio che, nel caso in cui il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione della misura reale finalizzata a tale scopo non può essere subordinata alla verifica che il denaro sia confluito nella effettiva disponibilità dell’indagato poiché, altrimenti, si verrebbe a stabilire nuovamente la necessità di un nesso pertinenziale tra la res ed il reato che la legge, con l’introduzione della confisca per equivalente, ha invece escluso (sez. 3, n. 1261, 10 gennaio 2013; sez. 6, n. 31692, 2 agosto 2007; sez. 6, n. 25877, 25 luglio 2006; sez. 6, n. 7250, 24 febbraio 2005).

Va poi rilevato che è irrilevante l’epoca di acquisto dei beni oggetto della misura ablatoria, poiché la confisca per equivalente assolve ad una funzione ripristinatoria della situazione economica determinatasi a seguito del fatto illecito ed è finalizzata a sottrarre al patrimonio del reo beni per un valore corrispondente al profitto del reato (sez. 2, n. 17584, 17 aprile 2013. Nello stesso senso, sez. 3, n. 33371, 9 agosto 2012, non massimata).

[…]

Non si è ritenuto invece sufficiente, ai fini della revoca della misura, l’esistenza di un accordo con l’amministrazione finanziaria finalizzato all’estinzione del debito tributario, ancorché seguito dal pagamento di parte delle rate, in quanto tale evenienza non esclude comunque la disponibilità, per l’indagato, di almeno una parte del profitto del reato (sez. 3, n. 30140, 24 luglio 2012, non massimata).

Successivamente il principio è stato ribadito (sez. 3, n. 33587, 31 agosto 2012), affermando, in altra occasione, anche l’irrilevanza di un eventuale accordo transattivo con l’amministrazione finanziaria (sez. 3, n. 11836/2013, cit.).

La lettura delle disposizioni in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di valore per i reati tributari offerta dalla giurisprudenza richiamata appare del tutto condivisibile, in quanto evidenzia la possibilità di assicurare le finalità di cautela sottese all’applicazione della misura reale evitando che la stessa incida più del dovuto sul destinatario.

Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità − non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte cost., 7-13 giugno 2000, n. 186) − consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00” (Cass. pen., 4 febbraio 2014, n. 7359).

 

La disposizione dell’art. 52, d.l.  n. 69, tuttavia, non  impedisce all’agente della  riscossione di intervenire in un’esecuzione già promossa da altri; essa, infatti, al comma 1 fa espressamente salva la facoltà di intervento dell’agente della  riscossione, ai sensi  dell’art. 499 c.p.c.

A lato pratico, il legale di banca che promuova l’esecuzione fondiaria deve mettere in sicuro conto l’intervento nella  procedura dell’Esatri, ma non  deve contare che  quest’ultimo prenda l’iniziativa e si renda creditore procedente, salvo che si tratti di immobile non  prima casa, o casa  di lusso, villa, castello, o che  il credito fiscale  sia di importo superiore ad euro 120.000,00.

Avv. Agnese Andrea

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