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Introduzione e il concetto di modello
L’oggetto del seguente elaborato ha come contenuto un’analisi dei modelli d’integrazione presenti nel panorama internazionale.
Nella prima parte vorrei illustrare il significato di modello per poi dare una spiegazione dei procedimenti dell’integrazione indicando i relativi pregi e difetti.
Nel momento in cui facciamo riferimento all’integrazione subito ci balena nella nostra mente i due modelli per antonomasia: assimilazionista e multiculturalista; in questo mio elaborato, oltre a fare riferimento a questi, farò cenno anche ad altre tipologie.
Prima di tutto bisogna spendere due parole sul concetto di modello.
La concezione di quest’ultimo deve essere intesa come funzione esemplificativa e d’efficacia, in quanto l’obiettivo primario è la sua praticità.
Secondo Simona Gozzo il concetto d’efficacia deve essere inteso “[…]come – resilienza -, cioè capacità dei modelli di resistere ai cambiamenti oppositivi senza perdere tratti caratterizzanti[…]Il secondo significato di – efficacia – di un modello associato al primo è legato alla capacità di ridurre il conflitto interculturale e i pregiudizi nei confronti degli stranieri.”1
Il primo significato può stare a indicare che il modello deve resistere ai cambiamenti negativi della società di arrivo nei confronti dei migranti, basti pensare alla c.d. paura del terrorismo che ha indotto molti Stati ad adottare misure tali da gestire questa delicata questione in maniera restrittiva e, dall’altra parte, in senso di riduzione del conflitto interculturale.
A tale proposito, ritengo opportuno ricordare che la politica d’immigrazione deve tenere in considerazione determinati obiettivi: “Il primo obiettivo è la massimizzazione dell’utilità del fenomeno migratorio per il paese di accoglienza (di solito questo obiettivo viene raggiunto promuovendo flussi coerenti con i bisogni economici e demografici). Il secondo aspetto mira alla tutela del benessere e dell’integrità di migranti e rifugiati, attraverso l’attribuzione di diritti sia a singoli che a gruppi. Un terzo aspetto si riferisce alla presenza di un’interazione positiva, o quantomeno a basso conflitto, di immigrati e rifugiati con le maggioranze autoctone. Il quarto criterio preso a riferimento concerne, infine, la capacità di evitare danni ai paesi di provenienza.”2
Il modello, quindi, può dirsi come un costrutto ideale tale da dare una definizione di ciò che è la politica migratoria e i suoi relativi presupposti per una corretta integrazione tenendo conto dei lati negativi che possono subentrare con il fenomeno migratorio (i pregiudizi e le paure) ed è qui che i Governi devono, con criterio, programmare le tappe d’accoglienza e d’integrazione, da un lato, e un miglioramento della mentalità della comunità, dall’altra parte.
Passiamo ad analizzare i relativi procedimenti; una parte della dottrina3, di cui condivido la visione, ravvisa ben quattro modelli: multiculturale, assimilazionista, funzionalista e mediterraneo.
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Modello Assimilazionista e Multiculturale
Il modello assimilazionista è un procedimento per cui il migrante deve acquisire i comportamenti, le mentalità e la lingua del Paese d’accoglienza e nel quale si agevola il conseguimento della cittadinanza, basti pensare al sistema francese “[…]una siffatta politica di – francesizzazione dei nuovi venuti -, sul piano soggettivo mira ad una completa assimilazione degli immigrati, in quanto favorisce l’eventuale emancipazione dei singoli dell’originario gruppo culturale in vista di una loro immedesimazione nella comunità nazionale, e sancisce l’irrilevanza di ogni loro – diversità – in ambito giuridico; sul piano oggettivo mira a preservare, nonostante i sempre più intesi flussi immigratori, l’omogeneità culturale dello Stato nel suo insieme.”4
Perciò, il Paese d’arrivo ha il compito di predisporre le basi che facilitino l’integrazione dei migranti attraverso l’immersione totale nella cultura, nella lingua e nella mentalità in cambio di tempi ridotti e agevolati per l’ottenimento della cittadinanza; se questo è il suo punto positivo, quello negativo concerne nella repressione dell’identità culturale di provenienza limitando l’individuo e suscitando in lui un processo di sradicamento tale da produrre una sorta di “annullamento” in assenza di un vero e proprio “tentativo di mediazione culturale o riconoscimento di diritti per gruppi o comunità etniche.”5
Di stampo sostanzialmente opposto è il modello multiculturale “Il multiculturalismo è inteso come progetto politico di ampio respiro che ha lo scopo di tutelare e valorizzare le differenze culturali.”6
Da come esposto l’obiettivo primario che si pone uno Stato che intende approcciarsi al modello multiculturalista è finalizzato a garantire le diversità tra popolazioni con credo, cultura, mentalità differenti all’interno di una medesima comunità; ad avviso di Fabio Basile ritiene che il modello “sia diretto ad una armonia razziale e ad un trattamento paritetico delle minoranze.”7
Un Paese, dunque, che abbraccia questo modello, differente dal modello assimilazionista che ha come scopo di “trasformare” i migranti nei concittadini di uno Stato, deve adottare delle politiche tali da garantire il pieno rispetto delle libertà e dei diritti sia dei coabitanti che dei migranti in nome del benessere della comunità nella diversità.8
Nel momento in cui parliamo di multiculturalismo concordo con la maggior parte della dottrina9 che è solita identificare detto modello con la Svezia che è stato uno dei Paesi che ha gestito nei migliori dei modi le politiche migratorie, di accoglimento e di integrazione, anche se a partire dal 2017 la sua visione è sostanzialmente cambiata in favore di un controllo serrato alla frontiera in seguito all’attentato terroristico del 7 aprile 2017 a Stoccolma.
Ritengo opportuno sottolineare come anche il modello multiculturale presenta delle pecche: se si riconoscono le diversità vi è il pericolo che il diverso possa procurare ansia, paura e sfociare nel razzismo oppure dal riconoscimento delle diversità si possono creare ghetti o quartieri, basti pensare alle Chinatowns, poiché si sentono più protetti anche se in un contesto sociale e territoriale diverso da quello nativo, di cui la necessità di adottare delle linee guida tali da non discriminare gli uni con gli altri.
Come detto sopra, sposo la tesi della distinzione di ben quattro modelli d’integrazione, anche se possiamo considerare il modello funzionalista e mediterraneo come due sotto categorie del sistema multiculturalista ma, a ben vedere, presentano delle diversità.
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Modello Funzionalista e Mediterraneo
Il modello funzionalista contempla “il riconoscimento di diritti e libertà individuali limitatamente ad alcuni aspetti della vita sociali. Politiche di integrazione differenziale sono solitamente considerate quelle tedesche, giapponesi e austriache.”10
La politica migratoria e d’integrazione dei Paesi richiamati è improntata sul riconoscimento del migrante nella categorie del “lavoratore ospite”: “La Germania, in particolare, tende a ricondurre la permanenza dell’immigrato entro il territorio al periodo lavorativo con la conseguenza che – gli immigrati sono incorporati in certe aree della società, soprattutto il mercato del lavoro ma si vedono negato l’accesso ad altre.”11
Ma davanti a situazioni di rifugiati o richiedenti asilo uno Stato che sposa questo modello d’integrazione come può rispondere?
Come noto, tra il 2015 e 2016 la Germania ha avuto momenti tesissimi tra profughi siriani e il popolo tedesco che non era del parere dell’accoglimento.
Di conseguenza, con l’adozione del Asylpaket II contenente misure finalizzate a tutelare lo status di rifugiato consentendo, dopo un periodo di circa sei mesi nei centri di accoglienza, di godere del walfare tedesco12: corsi di lingua tedesca, agevolazioni nell’inserimento lavorativo, agevolazioni nella ricerca di un’abitazione, ecc., da come si evince la politica integrativa tedesca è prontata al funzionalismo, cioè: migranti utili all’economia per cui la presenza di misure d’integrazione, ben dettagliate, garantisce un inserimento all’interno della società tedesca più celere rispetto al modello assimilazionista e multiculturalista ma, nonostante presenti lati positivi, presenta una falla: la paura del migrante oeconomicus per cui si osserva con occhio critico un potenziale concorrente nel panorama economico, pertanto la paura di perdere il lavoro può sfociare nel pregiudizio migratorio.
Comunque, nonostante il declino lento negli ultimi anni della politica integrativa sostenuta da Angela Merkel, il cancelliere ha saputo predisporre un approccio tale da evitare fenomeni di pregiudizio e di razzismo, da un lato, e conciliare la delicatissima politica integrativa tale da favorirne il suo ingresso in maniera celere e rapida, dall’altro lato.
Per ultimo troviamo il modello mediterraneo e, come dice naturalmente il termine, corrisponde al sistema adottato dai paesi mediterranei, perciò: Spagna, Italia e Grecia.
“Caratteristica peculiare[…]è il rapporto inesistente tra l’esposizione diretta a massicci arrivi di migranti irregolari a fronte di un elevato livello di disoccupazione per cui la forza-lavoro immigrata è costretta ad accontentarsi di occupazioni precarie, compensando i limiti di un sistema di welfare già carente con offerta di lavoro non regolare e a basso costo.”13
Quello che emerge è che paesi, come l’Italia, non abbiano affrontato un vero e proprio dibattito sulla possibilità dell’adozione di una politica migratoria che fosse in grado di regolare e di anticipare i flussi immigratori degli anni ’80, ’90 e, soprattutto, degli anni duemila.
“Talvolta si cercava di reprimere, talvolta di legalizzare, fenomeni che le autorità incaricate ritenevano inevitabili, ma senza nessuna consapevolezza della trasformazione che si stava avviando, senza nessun disegno unitario o direzione centrale.”14
Ne consegue che un vero e proprio processo d’integrazione con i primi fenomeni migratori non si era minimamente realizzato perché i Governi di quegli anni, dovendo affrontare per la prima volta il delicato passaggio da Stato d’emigrazione a immigrazione, decisero di adottare una politica di controllo serrato alle frontiere e di riunirsi in sedute periodiche per affrontare detta questione che venne continuamente rimandata.
Ma di una vera politica migratoria e d’integrazione si ravvisa nella c.d. legge Turco-Napolitano in cui si è giunti a redigere una legge ben dettagliata con lo scopo di raggruppare tutta la politica migratoria; innovata di contenuto dai Governi successivi, ritengo rilevante fare riferimento all’art. 4 bis che recita: “Ai fini di cui al presente testo unico, s’intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società.”
Possiamo, dunque, concludere dicendo che il modello d’integrazione è, di fatto, indirizzato a realizzare un processo biunivoco e multidimensionale finalizzato alla pacifica convivenza in una determinata realtà storico-sociale che presuppone l’empatia sia verso il migrante che verso i cittadini dello Stato d’arrivo.
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1 S. GOZZO, Quale integrazione? Politiche per l’accoglienza e percezione dell’immigrato in Europa, in Autonomie locali e servizi sociali, quadrimestrale di studi e ricerche sul welfare 1/2017, p. 18;
2 S. GOZZO, op. cit., p. 18.
3 Cfr. S. GOZZO, op. cit., p. 18 e in senso opposto cfr. L. EINAUDI, Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità a oggi, Laterza, 2007, pp. 281-282, che ritine la presenza di soli due modelli:“[…]il modello <assimilazionista> alla francese, il modello <multiculturale> di marca anglosassone e quello fondato sulla presenza temporanea dell’immigrato, destinato in ultima istanza a rientrare nel suo paese, adottato dalla Germania.”;
4 F. BASILE, Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le mutilazioni genitali femminili), Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, rivista telematica, 10/2007, p. 20; ad avviso di Simona Gozzo “La matrice del modello è considerata tipicamente francese ma, nel tempo, si è affermato anche in paesi poi divenuti multiculturali come Inghilterra, Canada e Austria.” Cfr. S. GOZZO, op. cit., p. 23.
5 S. GOZZO, op. cit., p. 23;
6 S. GOZZO, op. cit., p. 24; cfr. L. EINAUDI, op.cit., pp. 281-282; cfr. F. BASILE, op.cit., p. 20; “Con ‘società multiculturale’ intendiamo, ai fini del presente lavoro, uno stato di fatto, una situazione empirica di convivenza su di uno stesso territorio nazionale di una molteplicità di gruppi sociali con valori, pratiche, credenze, norme giuridiche, strutture di relazione sociale differenti.”, cfr. G. F. CERRONI – V. FEDERICO (a cura di), Società multiculturali e percorsi di integrazione: Francia, Germania, Regno Unito ed Italia a confronto, Firenze University Press, Firenze, 2017, p. 1;
7 F. BASILE, op.cit., p. 20.
8 Cfr. F. BASILE, op.cit., p. 21 che a tale proposito rinvia a Kymlicka nella definizione di una buona politica multiculturale, nello specifico: “1) la riforma dei curricula scolastici; 2) l’adattamento istituzionale; 3) programmi di pubblica istituzione; 4) l’adozione di programmi di sviluppo culturale.”;
9 Cfr. S. GOZZO, op. cit., p. 24.
10 S. GOZZO, op. cit., p. 19;
11 S. GOZZO, op. cit., p. 19;
12 Federal Office for Migration and Refugees:
http://www.bamf.de/EN/Migration/migration-node.html.
13 S. GOZZO, op. cit., p. 21;
14 L. EINAUDI, op.cit., p. 101.
BIBLIOGRAFIA
GOZZO, Quale integrazione? Politiche per l’accoglienza e percezione dell’immigrato in Europa, in Autonomie locali e servizi sociali, quadrimestrale di studi e ricerche sul welfare 1/2017
EINAUDI, Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità a oggi, Laterza, 2007
F. CERRONI – V. FEDERICO (a cura di), Società multiculturali e percorsi di integrazione: Francia, Germania, Regno Unito ed Italia a confronto, Firenze University Press, Firenze, 2017
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