Con la legge 3 ottobre 2001, n. 366 di delega al governo per la riforma del diritto societario, è stato introdotto, nell’ordinamento italiano, l’istituto dei “patrimoni dedicati”. In particolare, nell’articolo 4 della citata legge n. 366/2001, relativo alle società per azioni, è disposto al comma 4, lett. b), che la riforma è diretta a “consentire che la società [leggasi per azioni] costituisca patrimoni dedicati ad uno specifico affare, determinandone condizioni, limiti e modalità di rendicontazione, con la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione ad esso; prevedere adeguate forme di pubblicità; disciplinare il regime di responsabilità per le obbligazioni riguardanti detti patrimoni e la relativa insolvenza”.
Prima dell’introduzione del predetto istituto nel nostro ordinamento, fattispecie di separazione patrimoniale si ravvisano nelle norme sulle gestioni patrimoniali, successivamente raccolte nel Testo unico della finanza (cfr. art. 22, d. l. 24 febbraio 1998, n. 58), nella legge sui fondi pensione (art. 4 d. lgs. 21 aprile 1993, n. 124, come riformata dalla L. 8 agosto 1995, n. 355), nella legge sulla c.d. cartolarizzazione dei crediti (art. 3, comma 2, Legge 30 aprile 1999, n. 130) e poi, da ultimo, nella legge sulla “società di finanziamento delle infrastrutture” (art. 8, comma 4, d.l. 15 aprile 2002, n. 63, convertito con L. 15 giugno 2002, n. 112). Tuttavia, rispetto alle predette fattispecie, il “patrimonio dedicato” ha carattere di novità, poiché introduce un regime generale della separazione patrimoniale – seppure ‘agganciato’ alla fattispecie societaria – che non presuppone un’operazione economica tipizzata, ma richiede, quale coelemento della fattispecie, solo la specificità dell’affare programmato. Invero, l’innovatività del “patrimonio dedicato” si rileva, altresì, se lo si raffronta alla società unipersonale a responsabilità limitata, istituto che costituisce lo strumento con cui una parte del patrimonio dell’imprenditore individuale è destinata, in via esclusiva, all’esercizio dell’impresa. Già l’articolo 7 della XII Direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 21 dicembre 1989, n. 89/667/CEE in materia di diritto delle società, relativa alle società a responsabilità limitata con unico socio – introdotta nell’ordinamento italiano con d.lgs. 3 marzo 1993, n. 88 – proponeva agli Stati membri di scegliere tra l’unipersonalità della fattispecie societaria e “la possibilità di costruire imprese a responsabilità limitata” nella forma del “patrimonio destinato ad una determina attività”. Nel momento del recepimento di tale direttiva, tuttavia, il sistema italiano – così come quello degli altri ordinamenti europei, ad eccezione del Portogallo, ove ora i due istituti convivono – si è indirizzato verso lo strumento societario, riconfermando implicitamente la forza del principio dell’unità del patrimonio e, insieme, la problematica introduzione d’una fattispecie generale del patrimonio separato quale forma di esercizio dell’impresa.
Oggi, invece, la disciplina del “patrimonio dedicato” – come si legge nella relazione illustrativa della legge delega – è volta ad evitare il ricorso allo schermo della personalità giuridica quando si tratti solo di realizzare “la mera funzione della separatezza dei patrimoni”, avendosi così un risparmio dei costi di amministrazione, cosicchè alla separazione dei patrimoni imputati al medesimo soggetto può accedersi indipendentemente dalla duplicazione soggettiva.
L’introduzione, anche nell’ordinamento italiano, di una apposita disciplina dei patrimoni dedicati rappresenta evidentemente una conferma, ove ve ne fosse bisogno, della crisi delle garanzie reali, che, legate come sono ad una concezione statica dei beni, appaiono sempre meno adeguate ad un sistema economico che pone il suo baricentro non nel valore d’uso, ma nel valore di scambio. Di qui l’esigenza di nuove prospettive per la tutela creditizià, che muove dai quei beni – oggi largamente mobilizzati e dematerializzati – alle attività cui quei beni sono strumentali ed aspira a superare le rigidità che, nel nostro sistema, caratterizzano le strutture formali della garanzia reale.
In tale ottica l’istituto in esame consente due distinte, ma concorrenti, riflessioni. Infatti, la separazione può adoperarsi per sottrarre un nuovo apporto finanziario al regime di garanzia patrimoniale generica e, quindi, alle pretese dei precedenti creditori dell’impresa e concorremente, ciò che rileva in termini di garanzia, possono essere non i beni presenti nel patrimonio nel momento della costituzione dello stesso, ma la capacità di reddito futuro che gli stessi sono idonei a produrre, cui consegue la necessità economica, prima che giuridica, di assicurarne la separazionerispetto agli altri beni sociali.
L’articolo 2447 bis c.c., relativo ai patrimoni destinati ad uno specifico affare prevede che “ 1. la società [leggasi per azioni] può: a) costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato, in via esclusiva, ad uno specifico affare; b) convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i proventi dell’affare stesso, o parte di essi.
2. Salvo quanto disposto in leggi speciali, i patrimoni destinati ai sensi della lettera a) del primo comma non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al 10% del patrimonio netto della società e non possono comunque essere costituiti per l’esercizio di affari attinenti ad attività riservate in base alle leggi speciali”.
In entrambi i casi di cui alle lettere a) e b), del comma 1 dell’articolo 2447 bis c.c. si realizza una sottrazione di una parte dei beni, dei rapporti giuridici o dei proventi della società alla garanzia patrimoniale generica dei creditori sociali per destinarli all’esecuzione ed al soddisfacimento di una categoria più limitata di creditori.
Tale nuovo istituto, quindi, si connota per la sua valenza generale e per il suo carattere “despecializzato”, nel senso che non presuppone un’operazione economica tipizzata.
Di seguito si esaminerà soltanto l’ipotesi prevista dalla lett. a) dell’art. 2447 bis, comma 1 c.c. la quale, come dianzi ricordato, prevede che la società possa costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare.
E’ opportuno delineare i contorni della fattispecie in esame non solo rispetto a figure apparentemente simili, introdotte per la prima volta con la riforma, ma anche con riferimento all’altra fattispecie disciplinata dalla lettera b) del citato articolo 2447 bis c.c..
Riguardo alle prime, merita una breve disamina la fattispecie delle azioni correlate (art. 2350, comma 2 e comma 3, c.c.) che sono quelle azioni che la società può emettere, fuori dai casi di cui all’articolo 2447 bis c.c. e che sono “fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore” dalle quali i patrimoni destinati si distinguono nettamente. Non solo, infatti, le azioni correlate possono essere emesse con riferimento ad un determinato settore di attività, che sembra nozione probabilmente più ampia rispetto a quella dello specifico affare, ma per le stesse la separazione riguarda solo il profilo reddituale e ha una valenza contabile e convenzionale, non reale. Ne consegue che la fattispecie delle azioni correlate non integra un’ipotesi di separazione patrimoniale in senso proprio, bensì di segregazione contabile convenzionale, efficace nei confronti dei soci ma non dei creditori. L’assenza di una separazione patrimoniale con efficacia reale determina che l’emissione di azioni correlate non può incidere sull’integrità patrimoniale della società emittente. Invero, l’articolo 2350, ultimo comma, c.c. prevede che “non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società”.
A differenza delle azioni correlate, nei patrimoni destinati la separazione è reale, pur riguardando l’oggetto dell’attività di impresa. In altri termini, la separazione patrimoniale si realizza ricorrendo non all’alterità soggettiva, come avviene nelle società di capitali unipersonali, ma individuando un insieme di beni o di rapporti giuridici che fanno comunque capo, dal punto di vista soggettivo, alla società che costituisce il patrimonio. Inoltre, è necessario evidenziare che la costituzione del patrimonio destinato implica, oltre ad un distacco dei beni, anche l’assegnazione di valori aziendali, cioè di un’aliquota del patrimonio netto, alla realizzazione dell’affare.
Ciò sembra trovare conferma sia nella previsione dell’art. 2447-ter comma 1, lett. b), c.c., che prevede che nella delibera di costituzione debbano essere indicati i beni e i rapporti giuridici, con ciò intendendosi che tali rapporti possono essere comprensivi sia di posizioni giuridiche attive che passive, sia, limitatamente ai patrimoni indicati nella lett. a) dell’art. 2447-bis, comma 1, c.c., nella previsione del limite fissato nel 10% del patrimonio netto della società – il che significa che non sarà sufficiente individuare i beni destinati al patrimonio ma occorrerà anche individuarne i valori e, nel computo di tali valori, tenere conto anche delle situazioni patrimoniali passive – sia, da ultimo, nella prescrizione di un rapporto di congruità dei beni rispetto all’affare, congruità che dovrà essere anche accertata sul piano dei valori del patrimonio.
Sulla base di tali prescrizioni deriva che la destinazione del patrimonio dovrà trovare apposita rappresentazione contabile nello stato patrimoniale della società mediante appostazione di idonee voci di netto, nel senso che il vincolo di destinazione oltre che riguardare i beni, dovrà riguardare anche un’aliquota del patrimonio della società, che si traduce in un valore di indisponibilità della stessa. Peraltro, deve osservarsi che la costituzione del patrimonio, in quanto operazione che non incide sul piano della “separazione” soggettiva, non comporta una distrazione o fuoriuscita di valori e, quindi, una riduzione del capitale della società.
Se la legge, in deroga agli articoli 2740 c.c. e 2741 c.c. prevede che un insieme di beni o di rapporti giuridici sia destinato alla realizzazione di un “affare” rispetto al quale pone un’esigenza di congruità, nonché al soddisfacimento dei creditori dell’affare stesso, sembra che l’individuazione del medesimo e la congruità del patrimonio rispetto all’affare siano condizioni di legge per la separazione patrimoniale in assenza delle quali – vale a dire quando l’affare non sia specificato o quando i beni non siano congrui rispetto all’affare – la destinazione del patrimonio è da considerarsi “abusiva” con conseguente disapplicazione del regime di beneficio della responsabilità limitata.
Quindi non vi è dubbio che “l’affare” cui è destinato il patrimonio, pur non coincidendo con l’esercizio dell’attività sociale di impresa, deve essere conforme all’oggetto sociale.
La costituzione del patrimonio destinato si configura come una deroga al regime della responsabilità patrimoniale, di cui gli artt. 2740 c.c. e 2741 c.c., a condizione che sussistano gli elementi identificativi della fattispecie, come disegnata dalla legge, e che tale strumento non sia utilizzato per finalità illecite. Pertanto, è sostenibile che la previsione contenuta nell’art. 2447-bis, ultimo comma, c.c. è espressione di un principio generale per il quale, al di fuori dell’esercizio di attività riservate (ma, lecite), il patrimonio destinato non può essere utilizzato per finalità illecite o anche solo per aggirare il principio della responsabilità illimitata di impresa. Ne consegue, sotto il profilo sanzionatorio, che l’uso illecito o non conforme a legge del patrimonio destinato può comportare oltre alla nullità della delibera di costituzione, se contraria a norme imperative, anche la disapplicazione del regime di responsabilità limitata del patrimonio.
Analoghe conclusioni sono applicabili anche alle condizioni richieste dalla legge per il contenuto della delibera di costituzione del patrimonio (art. 2447-ter c.c.), di talchè nel momento in cui quest’ultimo si configura come una deroga alla disciplina generale della responsabilità patrimoniale, il mancato rispetto delle condizioni di legge non può che “riespandere” la responsabilità sociale piena.
Un ulteriore limite che si rinviene è rappresentato dal divieto di costituire patrimoni destinati in misura complessivamente superiore al 10% del patrimonio netto della società (art. 2447 bis, comma 2, c.c.). La legge, quindi, si limita a richiedere che il rispetto di tale soglia sia accertato al momento della costituzione del patrimonio, escludendosi la necessità di una verifica continua, del rispetto della proporzione, anche in corso di gestione.
Ai sensi dell’art. 2447 ter c.c. la delibera di costituzione del patrimonio destinato deve avere un contenuto minimo che è prescritto come condizione di applicabilità del regime di separazione patrimoniale ed è indispensabile per la stessa individuazione del patrimonio destinato.
La specificazione dell’affare rappresenta il vero limite all’utilizzo dei beni e dei rapporti destinati al patrimonio, nel senso che lo stesso non può essere impiegato per attività estranee al compimento dello specifico affare. Non solo, quindi, la società risponderà con il proprio patrimonio delle obbligazioni contratte con i terzi per atti non rientranti nello specifico affare (letteralmente l’art. 2447-quinquies, comma 5, c.c. prevede che “gli atti compiuti in relazione allo specifico affare debbono recare espressa menzione del vincolo di destinazione; in mancanza ne risponde la società con il suo patrimonio residuo”), ma questo costituisce il limite alla capacità di rappresentanza degli amministratori della società. Pertanto, l’utilizzo dei beni destinati in operazioni, non pertinenti all’affare per il quale il patrimonio è stato costituito, sarà opponibile ai terzi nei limiti dell’art. 2384, comma 2, c.c. (“le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società”). Conseguentemente incomberà sulla società l’onere di provare che i terzi hanno agito intenzionalmente a danno di quest’ultima.
Il piano economico finanziario deve illustrare la congruità del patrimonio, quale valutazione di idoneità funzionale o di strumentalità dei beni o rapporti giuridici rispetto all’affare, che si configura quale giudizio di adeguatezza patrimoniale rispetto all’affare, nonché quale capacità del patrimonio, in termini di redditività, a portare a termine l’affare.
In questi termini, il requisito di congruità deve sussistere fin dalla costituzione del patrimonio. La norma, infatti, non si limita ad imporre un mero obbligo di trasparenza, accontentandosi che i terzi interessati siano informati in merito all’esistenza di un patrimonio non congruo, ma impone un preciso obbligo affinché la capacità patrimoniale sia effettivamente congrua allo specifico affare.
In concreto la delibera di costituzione del patrimonio destinato deve indicare specificatamente i beni e i rapporti giuridici “dedicati” al patrimonio. Tale individuazione, oltre che al fine di individuare gli strumenti materiali al servizio del patrimonio, è necessaria anche per rendere effettiva ed efficace la previsione della sottrazione degli stessi dal patrimonio della società, per asservirli alla garanzia dei creditori del patrimonio destinato.
In sostanza, affinché possa essere opposta ai terzi creditori la sottrazione dei beni e rapporti giuridici asserviti al patrimonio destinato alla garanzia generica costituita dal patrimonio della società, occorre un’individuazione specifica degli stessi.
Inoltre, la delibera di costituzione del patrimonio destinato deve contenere, come previsto dall’art. 2447, ter, comma 1, lett. g), c.c. le regole di rendicontazione dell’affare. Tale previsione è finalizzata ad assicurare agli interessati un controllo sulla gestione del patrimonio e sulla conduzione dell’affare, nonché un’eventuale opponibilità della separazione ai terzi. Poiché le scritture contabili della società ed il patrimonio sono oggetto di autonoma ed analitica disciplina (artt. 2447-sexies e septies c.c.), la citata norma si riferisce ad un obbligo di pubblicità e di trasparenza che consenta ai terzi ed ai soci della società una lettura univoca delle scritture contabili e del bilancio sull’andamento dell’affare.
L’articolo 2447 ter, ultimo comma c.c., attribuisce alla maggioranza assoluta dei componenti dell’organo amministrativo della società la competenza a deliberare la costituzione del patrimonio, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo. Tale delibera previo controllo di legalità da parte del notaio è depositata nel registro dell’imprese.
L’articolo 2447 quater, c.c. che disciplina la pubblicità della costituzione del patrimonio destinato richiama l’articolo 2436 c.c. a mente del quale “il notaio che ha verbalizzato la deliberazione di modifica dello statuto, entro trenta giorni, verificato l’adempimento delle condizioni di legge, ne richiede l’iscrizione nel registro delle imprese”.
Tale norma non indica specifici requisiti di forma, tuttavia deve ritenersi che la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata sia richiesta ai fini della trascrizione o dell’iscrizione della delibera e, conseguentemente, della opponibilità del vincolo ai terzi.
L’iscrizione nel registro delle imprese è condizione di efficacia della delibera di costituzione, in virtù di quanto disposto dal citato art. 2447-quater, comma 1, c.c., che richiama l’impianto normativo dell’art. 2436 c.c., nonché dal successivo comma 2, che subordina l’efficacia della delibera all’iscrizione. Se ne deduce che gli effetti della separazione patrimoniale decorrono dal momento dell’iscrizione della delibera nel registro delle imprese e ciò sia per quanto riguarda i creditori del patrimonio, che i creditori della società posteriori all’iscrizione, con l’unico limite del diritto dei creditori sociali anteriori, nei cui confronti la separazione patrimoniale sarà opponibile decorsi 60 giorni dalla iscrizione, fatta salva la possibilità di proporre opposizione.
Occorre rilevare che l’interesse principale dei creditori non è di ottenere l’immediata condanna della società, quanto l’inefficacia del vincolo di destinazione sui beni del patrimonio e cioè l’inefficacia dell’esenzione quantitativa della responsabilità patrimoniale.
E’ opportuno rilevare che i motivi da addurre a sostegno dell’opposizione devono consistere nella idoneità della costituzione del patrimonio a ledere la garanzia patrimoniale dei creditori della società, il che presuppone un esame dell’esistenza sia dei requisiti, ai quali la legge subordina la costituzione del vincolo e quindi, la sottrazione ai creditori, che di un pregiudizio in concreto e quindi dell’idoneità della costituzione del patrimonio a ledere la garanzia patrimoniale degli opponenti.
Nel caso di opposizione è facoltà del tribunale disporre che la delibera sia eseguita previa prestazione, da parte della società di un’idonea garanzia, valutata con riferimento alla singola posizione dedotta in giudizio di opposizione e non nell’interesse dell’intero ceto creditorio.
Come già sopra rilevato, l’opposizione va proposta, a pena di decadenza, entro 60 giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese, decorsi i quali i creditori della società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato (art. 2447-quinquies, comma 1, c.c.). Tale decadenza è contemperata per gli immobili ed i mobili registrati, con la previsione dell’art. 2447-quinquies, comma 2, c.c., ai sensi del quale la disposizione del precedente comma non si applica fin quando la destinazione allo specifico affare non è trascritta nei rispettivi registri. Ne consegue che i creditori della società non possono proporre opposizione decorso il termine di 60 giorni dalla iscrizione nel registro delle imprese, ma che il vincolo di destinazione su beni immobili e mobili registrati non è, comunque, opponibile ai creditori sociali che abbiano acquistato diritti con atto trascritto prima della trascrizione della delibera di costituzione del patrimonio (art. 2643 c.c. e ss., art. 2652 c.c.).
Premesso quanto sopra esposto, che a seguito dell’opposizione, i creditori della società (opponenti) conservano il diritto di aggredire i beni destinati al patrimonio dedicato ma sempre fatti salvi, per i mobili registrati e gli immobili, gli effetti della trascrizione della domanda giudiziale; l’azione degli opponenti non sarà opponibile ai creditori del patrimonio che abbiano iscritto ipoteca o trascritto i pignoramenti prima della trascrizione della domanda giudiziale di opposizione, nel rispetto dei principi generali della pubblicità immobiliare (artt. 2643 c.c. ss., art. 2652 c.c.).
L’aspetto qualificante della separazione patrimoniale è costituito dall’insensibilità del patrimonio destinato rispetto alle vicende che interessano la società.
L’art. 2447-novies c.c., che disciplina lo scioglimento e la liquidazione del patrimonio destinato, prevede al comma 1 che “1. quando si realizza ovvero è divenuto impossibile l’affare cui è stato destinato un patrimonio ai sensi della lettera a) del primo comma dell’articolo 2447 bis, gli amministratori redigono un rendiconto finale che, accompagnato da una relazione dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione contabile, deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese”.
Il successivo comma 2 stabilisce che “nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare cui era destinato il patrimonio, i relativi creditori possono chiederne la liquidazione mediante lettera raccomandata da inviare alla società entro novanta giorni dal deposito di cui al comma precedente”. Ne deriva che la liquidazione è solo eventuale e prevista a tutela dei creditori insoddisfatti.
La rimozione del vincolo di destinazione non consegue automaticamente al verificarsi di una delle sopra indicate cause, ma solo al decorso di un certo lasso di tempo dal deposito del rendiconto e solo se nel frattempo i creditori non hanno proposto istanza di liquidazione. Non è indispensabile neanche la liquidazione del patrimonio, al contrario, l’espressa previsione della possibilità che i creditori del patrimonio si oppongano alla cessazione degli effetti chiedendo la liquidazione separata del patrimonio e solo in questo caso si applicano (in quanto compatibili) le norme sulla liquidazione della società (art. 2447-novies, comma 2, c.c.).
La richiesta di liquidazione da parte dei creditori assolve alla funzione di impedire il venir meno della separazione patrimoniale tra il patrimonio destinato ed il patrimonio della società e di mantenere intatta la propria garanzia patrimoniale esclusiva sui beni assegnati al patrimonio destinato.
Verificatesi una delle cause di conclusione o impossibilità di realizzazione dell’affare, la norma prevede la redazione di un rendiconto.
Roma 27 dicembre 2006
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