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4.Procedimento applicativo.
Sull’istanza di permesso –sia esso ordinario o premiale – decide il magistrato di sorveglianza, seguendo un procedimento informale che si impernia sull’istruttoria effettuata dalla cancelleria dell’ufficio di sorveglianza, prescindendo dal coinvolgimento della difesa e del PM, che non può interloquire con pareri preventivi.[1]
L’art. 677,comma 1, c.p.p., secondo il quale la competenza a conoscere le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza aventi giurisdizione sull’istituto in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio d’ufficio del procedimento, trova applicazione anche in materia di permessi[2].
La rilevata assenza di contraddittorio,il carattere di procedimento de plano, il suo rivolgersi a regolare la vita del detenuto senza incidere in modo sostanziale sugli effetti e sulla durata del rapporto instauratosi con l’inizio dell’esecuzione della pena hanno fatto a lungo dubitare della natura del procedimento in materia di permessi .
Una prima e più risalente giurisprudenza riteneva che si trattasse di un procedimento amministrativo e, per conseguenza,negava la possibilità di ricorso per cassazione ex art. 111,Cost., nei confronti delle decisioni del magistrato di sorveglianza e del tribunale di sorveglianza in materia di permessi;tuttavia, l’ulteriore elaborazione giurisprudenziale ha completamente rivisto l’originaria impostazione, giungendo all’opposta conclusione della natura giurisdizionale del procedimento in esame.[3]
L’autorità giudiziaria, al momento della concessione del permesso, impone discrezionalmente le prescrizioni che il detenuto dovrà osservare del corso del beneficio.
In conformità a tale assunto, la Cassazione ha stabilito che “i provvedimenti in materia di permessi con scorta del detenuto, pronunciati dagli organi di sorveglianza ai sensi degli artt. 30, comma 1,30bis, comma 8, ord. pen. e 61, comma 2, d. P. R. 29 aprile 1976, n.431( contenente il regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario) [ora d.p.r. 30 giugno 2000,n.230, n.d.r.],non possono formare oggetto d’impugnazione da parte dell’interessato, atteso che si tratta di decisioni rimesse alla valutazione discrezionale del magistrato di sorveglianza”.[4]
Alla ravvisata discrezionalità nella determinazione delle prescrizioni fa da contraltare la loro non delegabilità, da parte del magistrato di sorveglianza competente, ad altra autorità giudiziaria:”se il permesso viene concesso, l’internato non può essere assoggettato ad altre limitazioni (come la previa traduzione nell’istituto di pena del luogo dove egli e autorizzato a recarsi), mentre la durata del permesso, le prescrizioni e le cautele che devono accompagnarsi alla sua esecuzione non possono essere delegate al giudice di sorveglianza del luogo in cui l’internato si reca, atteso che l’individuazione dei presupposti che legittimano il permesso e la specificazione delle necessarie cautele ineriscono al provvedimento di concessione, nel senso che ne condizionano l’emissione e ne costituiscono parte inscindibile”.[5]
Per il particolare caso in cui il condannato, mentre fruisce del permesso premio, sia chiamato a presenziare ad un processo, la Cassazione ritiene che la sua comparizione all’udienza possa essere garantita con strumenti diversi dalla traduzione:”la diversa posizione del detenuto in permesso, rispetto a colui che si trova continuativamente ristretto in un istituto di detenzione, che gli consente una pur limitata possibilità di locomozione nell’ambito del territorio (visitare il familiare od il convivente infermo, nell’ipotesi di cui all’art. 30 ter d.p.r. 26 luglio 1975, n. 354, o “coltivare interessi affettivi,culturali o di lavoro”, con la possibilità, quindi, di recarsi in tali ultimi luoghi, nell’ipotesi di cui all’art. 30 ter stesso d.p.r.), esclude la necessità di una sua traduzione per essere condotto nei luoghi dove si debba celebrare un processo a suo carico. incombe quindi a lui, in tal caso, richiedere al magistrato di sorveglianza l’eventuale autorizzazione a spostarsi dalla sede di destinazione impostagli a norma dell’art. 93 terzo comma del regolamento di esecuzione d.p.r. 29 aprile 1976, n. 431”.[6]
Il problema della c.d. “scissione del cumulo” nell’ambito della materia disciplinata dagli artt.30 e 30ter, L.26.7.1975, n.354, è stato affrontato dalla Cassazione nei termini seguenti:”Ai fini del computo del termine minimo di dieci anni di pena espiata previsto dall’art. 30-ter della legge 26 luglio 1975 n. 354 (cd. Ordinamento penitenziario) come condizione per la concessione di permessi premio, in caso di cumulo di pene inflitte per reati diversi, taluno dei quali ostativo alla concessione del beneficio, una volta scisso il cumulo per considerare espiata la parte di pena conseguente alla condanna per il delitto ostativo, il “dies a quo” decorre dal momento di scadenza di quest’ultima e non dall’inizio della detenzione, essendo illogico rendere inoperante il cumulo giuridico delle pene al fine di ritenere espiata la parte di pena imputabile al delitto ostativo e, a un tempo, farlo rivivere al fine di far decorrere fin dall’inizio il citato termine massimo di pena espiata”.[7]
La giurisprudenza della Cassazione ha sempre ammesso l’esperibilità del conflitto negativo di competenza tra magistrati di sorveglianza, anche nel quadro della concezione – ora abbandonata – del procedimento per la concessione dei permessi quale procedura amministrativa e non giurisdizionale[8].
A mente dell’art.53bis l.26.7.1975, n.354, il tempo trascorso dal detenuto o dall’internato in permesso o licenza è computato a ogni effetto nella durata delle misure restrittive della libertà personale, salvi i casi di mancato rientro o di altri gravi comportamenti da cui risulta che il soggetto non si è dimostrato meritevole del beneficio.
In questi casi sull’esclusione dal computo decide, con decreto motivato, il magistrato di sorveglianza.
Avverso il decreto può essere proposto dall’interessato reclamo al tribunale di sorveglianza secondo la procedura di cui all’articolo 14 ter, L.26.7.1975,n.354. Il magistrato che ha emesso il provvedimento non fa parte del collegio.
La Corte costituzionale ha, peraltro, stabilito l’applicazione delle norme che disciplinano il procedimento di sorveglianza (artt.666,678 c.p.p.)[9]
3.5.Impugnazione.
Cost. .27 – l.26.7. 1975, n.354, Ordinamento Penitenziario – l. 10.10.1986, n.663(legge “Gozzini”).
I provvedimenti in materia di permessi emessi dal magistrato di sorveglianza sono reclamabili ai sensi dell’art.30 bis L.26.7.1975,n.354, all’istanza giurisdizionale superiore, cioè al tribunale di sorveglianza, ovvero, se emessi dal giudice penale, alla corte d’appello.
Questi ultimi sono tenuti – quali giudici del gravame – a decidere il merito della questione e dunque, se del caso, a provvedere alla concessione del permesso negato dal giudice di prime cure:
“in caso di reclamo avverso il diniego di concessione di un permesso-premio il tribunale di sorveglianza e’ tenuto a decidere sul reclamo stesso,assunte, se del caso, sommarie informazioni e non può limitarsi ad enunciare principi di diritto e rinviare la decisione al giudice che ha emesso il provvedimento reclamato.”[10]
Il giudice del reclamo deve decidere entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, pena la cessazione dell’effetto sospensivo dell’esecuzione della decisione impugnata (la soluzione interpretativa proposta si fonda sulla regola ricavabile dall’art.30 bis,commi 4 e 7,L.26.7.1975, n.354).[11]
Sul breve termine previsto dalla legge per proporre reclamo,da più parti ritenuto iugulatorio, la Corte si è pronunciata ritenendo peraltro “manifestamente infondata, in relazione all’art.24 della Costituzione,la questione di legittimità costituzionale degli artt.30 bis e 30 ter dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui, nel disciplinare la procedura di reclamo avverso i provvedimenti in materia di permessi ai detenuti, stabiliscono un termine di sole 24 ore per la proposizione del reclamo e non prevedono l’assistenza di un difensore”.[12]
Essendo considerato, quello per proporre reclamo al tribunale di sorveglianza, un termine lato sensu processuale, quando la sua scadenza cada in giorno festivo, esso e’ prorogato fino a quello feriale successivo (Cass. 1.10.1996, n.4840,Musa,CED).
Contra :
In tema di permessi ai detenuti, il termine per proporre reclamo avverso il diniego del permesso premio – stabilito in ventiquattro ore ex art. 30bis, comma 3, della legge n. 354 del 1975 – non puo’ essere prorogato, nel caso che giunga a scadenza in giorno festivo, a quello feriale successivo in quanto la regola della proroga di diritto al giorno successivo non festivo dei termini stabiliti a giorni non puo’ ritenersi operante nel caso di termini fissati dalla legge processuale ad horas (Cass. 21.12.2000, n.11298,Tallarita,CED).
Una dibattuta questione concerne(va) la ricorribilità per cassazione ex art.111 Cost. dei provvedimenti in materia di permessi, non prevista espressamente dalla normativa dell’ordinamento penitenziario.
Un primo e più risalente orientamento riteneva senz’altro esclusa tale possibilità, ritenendo il provvedimento in materia di permessi rivolto a regolare la vita del detenuto nel corso della sua permanenza negli stabilimenti di pena, attenuando il rigore del regime carcerario, e dunque non incidente in modo sostanziale sugli effetti e sulla durata del rapporto instauratosi con l’inizio dell’esecuzione della pena.
Su tale premessa si riteneva che
Il riconoscimento dei permessi premio previsti dall’art. 30 ter dell’ordinamento penitenziario costituisce una misura amministrativa riguardante il trattamento penitenziario, la quale non incide sugli effetti e la durata del rapporto di esecuzione della pena. Ne deriva che non e’ ammesso il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale di sorveglianza concernente l’accoglimento o il rigetto o l’inammissibilità del reclamo in materia di permessi premio(Cass. 23.3.1992 n.1253, Calamanti,CED).
Nella stessa linea interpretativa si collocava la prevalente giurisprudenza di legittimità fino alla metà degli anni ‘90 (Cass.20.11.1990, CP,1992,1896;Cass. 2.5.1991, CP,2464; Cass. ord. 24.11.1976, n.2527,Zagari,CED; Cass. ord.20.11.1990, n.4096, Paiusti,CED; Cass.18.5.1993 n.2338,Leonardo,CED; Cass. 17.11.1993, n.4934,Pitò,CED; Cass. 13.12.1995, n.6556,Borile,CED).
Tale orientamento ha subito un deciso revirement, apprezzabile in una serie di pronunce, sia del giudice costituzionale che della Cassazione, che ha portato ad una rivisitazione integrale dell’impostazione originaria.
La Corte costituzionale ha, con numerose decisioni, preso posizione sulla questione della natura del procedimento in materia di permessi, e della conseguente tutela giurisdizionale che l’ordinamento era tenuto ad assicurare:”questa Corte ha ,infatti, precisato come “sia da escludere che misure di natura sostanziale e che incidono sulla qualità e quantità della pena,quali quelle che comportano un sia pur temporaneo distacco, totale o parziale, dal carcere (c.d. misure extramurali) e che perciò stesso modificano il grado di privazione di libertà personale imposto al detenuto, possano essere adottate al di fuori dei principi della riserva di legge e della riserva giurisdizionale specificamente indicati dall’art.13, secondo comma,della Costituzione”.E , nel tracciare il discrimine fra le “modalità di trattamento del detenuto all’interno dell’istituto penitenziario – la cui applicazione è demandata di regola all’Amministrazione, anche sotto la vigilanza del Magistrato di sorveglianza(v.art.69 dell’Ordinamento Penitenziario) – o con possibilità di reclamo al Tribunale di sorveglianza (v.art.14 ter dell’Ordinamento Penitenziario) e misure che ammettono a forme di espiazione della pena fuori del carcere”, come l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà, le licenze, e, appunto, i permessi premio, ha affermato che tali misure “sono sempre di competenza dell’Autorità giudiziaria (v.artt.21,30,30ter, 69 e 70 dell’Ordinamento Penitenziario) proprio perché incidono sostanzialmente sull’esecuzione della pena e,quindi, sul grado di libertà personale del detenuto”.Ne deriva dunque – secondo la linea da ultimo tracciata dalla Corte – la natura non amministrativa ma giurisdizionale dei procedimenti di concessione o diniego dei permessi premio e della procedura del reclamo davanti al tribunale di sorveglianza”.[13]
Su tale linea si è successivamente posizionata anche la giurisprudenza di legittimità, con le conseguenti ricadute in tema di ricorribilità delle decisioni in materia di permessi:”Attesa la natura non amministrativa ma giurisdizionale dei procedimenti in materia di permessi-premio ai detenuti (alla stregua anche dei principi -pur non vincolanti – desumibili dalle sentenze della Corte costituzionale n. 349/1993 e 227/1995), deve trovare, in detta materia, integrale applicazione la disciplina camerale di cui al combinato disposto degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen., con la conseguenza che avverso l’ordinanza pronunciata dal tribunale di sorveglianza, su reclamo proposto ai sensi dello art. 30bis, comma terzo, richiamato dall’art. 30 ter, penultimo comma, dell’ordinamento penitenziario, deve ritenersi esperibile il ricorso per cassazione”.[14]
Ed ancora: “Attesa la natura non amministrativa ma giurisdizionale dei procedimenti in materia di permessi premio ai detenuti (giusta quanto chiarito nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 349/93 e 227/95), ed avuto riguardo alla applicabilità, per analogia, dell’art. 14 ter dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui consente la ricorribilità per cassazione dei provvedimenti in materia di applicazione o proroga del regime di sorveglianza particolare, deve ritenersi che anche avverso le ordinanze del tribunale di sorveglianza concernenti la concessione o il diniego dei summenzionati permessi sia esperibile il ricorso per cassazione”.[15]
Il riconosciuto carattere giurisdizionale del procedimento in materia di concessione o diniego dei permessi premio ha quindi condotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare i seguenti corollari, ad esso consequenziali:
1) data la sua natura non amministrativa, ma giurisdizionale, del procedimento in materia di permessi premio ai detenuti, deve trovare applicazione integrale, in detta materia, la disciplina camerale di cui al combinato disposto degli artt. 666 e 678 c.p.p. Ne consegue che l’ordinanza del tribunale di sorveglianza che decida un reclamo siffatto con procedura “de plano” e’ viziata da nullità assoluta a norma degli artt. 178 e 179, c.p.p. (così Cass.,I,16.2.2000,n.1127,Ravelli,CED). Sull’applicabilità della disciplina processuale prevista per i procedimenti di sorveglianza dal disposto degli artt. 678 e 666 c.p.p. si è più volte espressa la Corte costituzionale: Corte cost. ord. 22-25.2.1999 n.45;ord. 6-14.7.2000 n.289);
2) i reclami previsti dall’ordinamento penitenziario in materia di permessi,attesa la loro natura di mezzi d’impugnazione (in una procedura da ritenere ormai totalmente giurisdizionalizzata, a seguito delle sentenze n.53 del 1993 e n.227 del1995 della Corte costituzionale), debbono essere sostenuti, a pena di inammissibilità secondo i principi generali che regolano le impugnazioni, da
specifici motivi(così Cass.,I, 28.1.2000,n.648, Sasso,CED);
3) Il termine di 24 ore entro il quale, ai sensi dell’art. 30 bis,comma 3,della legge 26.7.1975, n.354 (ordinamento penitenziario),debbono essere proposti i reclami in materia di permessi va osservato, a pena di inammissibilità, anche per quanto riguarda i motivi posti a sostegno dell’im-pugnazione(così Cass.,I,30.3.1999, n.2593, Arrigo,CED);
4)la proroga di diritto al giorno successivo non festivo dei termini che vengano a scadenza in giorno festivo,prevista dall’art.172, 3° co.,c.p.p.,per i termini stabiliti a giorni,non può ritenersi operante nel caso di termini fissati dalla legge “ad horas”,come nel caso del termine di 24 ore stabilito dall’art.30 bis, 3°co.,dell’ordinamento penitenziario per la proposizione dei reclami avverso i provvedimenti in materia di permessi.(Cass.,I,7.10.1998, n.4867,Natoli,CED).
Note:
[1]Così ha stabilito Cass.,I,7.12.1981,n.1893,Cofani,CED).
[2] Cass.,I,21.1.1997,n.433,Cerra,CED.
[3] Di Ronza P., Manuale dell’esecuzione penale, CEDAM, Padova,1998,p.332 .
[4] Cass., 27.6.2001, n. 29372,Sessa, in LaGiustizia Penale,2002,III,p. 255.
[5] Cass.. ord. 26.9.1977, n.1899,Zampilloni,CED.
[6] Cass.,I,20.6.1990, n.12336,La Mantia,CED;Cass.,I,12.7.1993, n.3290, confl. comp. Mag. Sorv. Cosenza e Mag. Sorv. Bari in proc. Bosco,CED.
[7] Cass. 3.7.2003, n. 32281,Vella,CED ;conforme,Cass.7.10.2003,n.40301,Rizzo,CED.
[8] Cass.,I, 7.2.1994, n.778,confl. comp. Mag. Sorv. Napoli e Mag. Sorv. Roma in proc. Buonocore,CED;Conferma Cass.,I, 16.3.1995, n.1631, confl.compet. Mag. Sorv. Brescia e Mag. Sorv. Roma in proc. Cesu-Reglu,CED.
[9]Corte cost.,sent. 16.2.1993 n.53,in Cassazione Penale, 1993,1901.
[10] Cass. 9.3.1987, n.714,CED.
[11] Giostra G.-Grevi V.-Della Casa F.,op.cit.,p.294.
[12] Cass.,I,13.1.2000 n.244 ,Forcieri,CED.
[13]Corte cost., 2-6.6.1995, n.227, in Cassazione Penale, 1995,3212.
[14]Cass.,I,2.2.1996 n.702, Lakhdar,CED.
[15]Cass.,I,21.2.1996,n.1153,Resica,CED;conforme,Cass.,I,11.3.1996,n.1535,Bandoli,CED.
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