I presupposti per l’esistenza della Società di Fatto (Cass. n. 27564/2009)

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L’articolo 2247 c.c. disciplinando il contratto di società stabilisce che ai fini dell’esistenza della stessa è richiesto il concorso necessario di un elemento oggettivo, rappresentato dal conferimento di beni o servizi finalizzato alla formazione di un fondo comune e di un elemento soggettivo, rappresentato, invece, dalla comune volontà dei contraenti di costituire un vincolo e collaborare per il conseguimento di risultati patrimoniali comuni.

Ma quando può dirsi costituita una società di fatto?

Approfondisci l’argomento leggendo anche “Le strutture societarie: caratteristiche a confronto” di Alessandra Concas.

Il contratto sociale e la società di fatto

Da questa premessa si evince che elemento comune a qualsiasi tipo di società è proprio il contratto sociale; tuttavia le modalità con cui esso può estrinsecarsi possono essere molto diverse l’una dall’altra.

Per quanto concerne la società di fatto, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che alla base di tale prototipo di società vi siano tre elementi: il fondo comune, l’alea comune nei guadagni e nelle perdite e, infine, il sentimento di affezione alla società, propriamente definito “Affectio Societatis “.

La società di fatto può sorgere in base ad una intesa verbale oppure ad un semplice comportamento concludente il quale sia idoneo a dimostrare l’intento delle parti di stipulare un accordo per l’esercizio collettivo di un’attività imprenditoriale.

Proprio questi ultimi costituiscono alcuni dei presupposti che contribuiscono alla formazione della società di fatto.

Essa, inoltre, come ogni altra società, è dotata di soggettività giuridica, da ciò consegue che alla medesima sono riconducibili posizioni giuridiche attive e passive, crediti e debiti, diritti ed obblighi. Tuttavia, non essendo prevista per questo tipo di società l’iscrizione – avente natura costitutiva – nel registro delle imprese, ad essa non è attribuibile il carattere della personalità giuridica.

Come anticipato, diverse sono le modalità di esternazione del contratto sociale.

Vi sono ipotesi in cui al fine del perfezionamento del contratto sociale sono sufficienti unicamente fatti concludenti, consistenti nell’unione di due o più soggetti che si comportano come soci, per l’appunto, indipendentemente da qualsiasi manifestazione di volontà espressa, scritta od orale.

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Quando siamo in presenza di una società di fatto?

Sono proprio le ipotesi da ultimo considerate a caratterizzare la società di fatto, la quale può sorgere da una stipulazione in alcuni casi anche tacita del contratto sociale. L’esistenza di quest’ultimo può risultare esclusivamente da manifestazioni esteriori dell’attività di gruppo, nei casi in cui le medesime manifestazioni, caratterizzate da sintomaticità e concludenza, testimonino l’esistenza della società stessa.

Tali considerazioni permettono di individuare una fondamentale caratteristica della società di fatto e cioè di trovare il suo fondamento nell’estrinsecazione verso soggetti terzi dell’esistenza di un vincolo societario tra soggetti che, invece, partecipano in qualità di soci.

Il dibattito intorno alle società di fatto è stato molto acceso nel corso degli anni e numerose sono state le pronunce volte a raggiungere un orientamento unanime.

La giurisprudenza ha costantemente ritenuto che non è sufficiente, al fine del rinvenimento di una società di fatto, una mera presunzione fondata su sporadici e saltuari atteggiamenti assunti “Uti Soci” da parte dei soggetti interessati, bensì occorre la necessaria prova dell’esistenza di un contratto sociale. La Suprema Corte, infatti, in più di un’occasione ( Cass. 16 Febbraio 1970 n. 361; Cass. 26 Marzo 1994 n. 2985) ha sostenuto che, qualora difetti la prova di un accordo scritto, l’esistenza di una società di fatto deve essere dimostrata verificando la sussistenza di avvenuti conferimenti di beni o servizi, i quali possano originare l’esistenza di un fondo patrimoniale comune, l’alea di profitti e perdite nonché di un fine sociale e, come accennato in precedenza, dell’ “Affectio Societatis”, ossia la volontà di collaborazione e della creazione di un vincolo proiettato al raggiungimento di un risultato comune.

Ancora, è stato ribadito il principio secondo il quale qualora l’Amministrazione finanziaria ritenga che un’attività imprenditoriale possa essere riferita ad una società di fatto, è proprio l’Ufficio Amministrativo a dover fornire la prova della concreta esistenza della medesima società e non limitarsi a provare l’esistenza di un’apparenza esterna ( Cass. 23 Aprile 1991 n. 4415).

Di recente, poi, con la sentenza del 18 Marzo 1988 n. 2500, la Cassazione ha ribadito che l’esistenza di una società di fatto, nel rapporto tra i soci, postula la dimostrazione, che può avvenire anche con prove orali o presunzioni, di un patto sociale in aggiunta ai suoi elementi costitutivi, ossia fondo comune, esercizio comune dell’attività economica, vincolo di collaborazione, ripartizione di guadagni e perdite.

Pertanto, l’esistenza della stessa non può essere desunta dalla semplice esternazione della società né da atti che possano considerarsi insufficienti ad evidenziare l’esistenza degli elementi costitutivi sopra menzionati.

In particolare, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27564/2009 ha nuovamente esaminato gli elementi utilizzabili dal giudice di merito al fine di dimostrare l’esistenza di una società di fatto in ambito fiscale. E’ stato stabilito, infatti, che nonostante la presenza di un singolo affare non sia sufficiente ad escludere totalmente l’esistenza di una società di fatto, questo elemento può essere utilizzato per dimostrare anche il contrario. Nella specie, la Cassazione uniformandosi alla pronuncia della Corte di Appello sul caso in questione, ha sostenuto che la mera cooperazione per la costruzione di un fabbricato, che coinvolge due soggetti, esclude la sussistenza di una società di fatto poiché, in tal caso, “ La società di fatto avrebbe riguardato esclusivamente il compimento di un unico affare” e “Per di più vi era un’evidente mancata costituzione della società secondo uno schema tipico e, soprattutto, la riscontrata mancanza di un accordo avente ad oggetto l’organizzazione della società comportante l’impiego di mezzi per il raggiungimento dello scopo di scambio”. I giudici, quindi, con la sentenza in commento hanno contribuito ad avvalorare l’indirizzo giurisprudenziale tendente ad affermare che ai fini dell’esistenza della società di fatto verso i terzi, occorre un’adeguata e fondata esternazione del vincolo sociale costituita dal comportamento da parte dei soci di azioni ed atti insieme idonei ad ingenerare all’esterno l’affidamento circa l’esistenza della medesima società.

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