Dopo poco più di due mesi dall’entrata in vigore dell’art. art. 84 del d.l. 69/2013 come convertito dalla l. 98/2013 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, che ha modifica il d.lgs. 28/2010, il Ministero della Giustizia ha emanato la Circolare del 27 novembre 2013 che fornisce i primi chiarimenti sulla corretta applicazione delle norme in esso contenute.
Come noto, il decreto legge 69/2013, convertito con modifiche nella Legge 98/2013, ha reintrodotto nel nostro ordinamento, a far data dal 20/09/2013, la mediazione obbligatoria, intesa quale condizione di procedibilità per una serie di materie oggetto di controversie civili ed ha apportato alcune modifiche e integrazioni alla disciplina dettata dal d.lgs. 28/2010 dopo che la sentenza della Corte Costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità di alcune disposizioni in esso contenute per eccesso di delega.
La disciplina entrata in vigore aveva suscitato da subito dubbi interpretativi e di conseguenza trovato nelle sue applicazioni pratiche una serie di difficoltà, soprattutto per quanto riguardava il primo incontro, le spese di avvio, l’assistenza obbligatoria dei legali, la competenza territoriale degli organismi, le indennità da applicarsi nel caso della neo-introdotta mediazione disposta dal giudice.
In data 5 novembre 2013 si apprendeva dall’intervento del guardasigilli Annamaria Cancellieri nel corso dell’incontro con il presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Dean Spielmann a Strasburgo, che: “L’adozione dell’istituto della mediazione, ormai pienamente introdotto nel nostro sistema e reso obbligatorio con la legge del 9 agosto 2013 – dopo una fase di stasi che si era avuta a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale – ha avuto un nuovo slancio i cui risultati iniziano a essere evidenti. Confido che a breve potrà svolgere una funzione seriamente deflattiva del contenzioso giudiziario e proprio per questo ho provveduto a potenziare le attività amministrative finalizzate alla gestione del settore.”
E sempre in data 5 novembre 2013 il Ministro emanava una Direttiva nella quale si legge che: “La rinnovata rilevanza attribuita dal legislatore al procedimento di mediazione e conciliazione eleva l’istituto a fondamentale strumento di deflazione del contenzioso civile, volto a incrementare l’efficienza del sistema giudiziario che costituisce, come noto, uno degli elementi sui quali si misura la funzionalità del sistema economico nonché l’affidabilità internazionale del nostro Paese.
In consonanza con le linee direttrici dell’azione del Governo, l’istituto della mediazione non deve, pertanto, costituire un vuoto ed oneroso adempimento burocratico, una mera condizione di procedibilità prima di potersi rivolgere al giudice. Al contrario, l’istituto, attesa la sua strettissima correlazione con l’attività giurisdizionale, deve rappresentare un effettivo momento di composizione delle possibili future controversie giudiziarie. È evidente come, al fine di conseguire il raggiungimento degli obiettivi prefissati in questo campo dal legislatore, sia necessario garantire, innanzitutto, che il procedimento di mediazione si svolga in maniera tale da assicurare ai cittadini che debbano o intendano avvalersene un elevato livello di preparazione professionale dei mediatori. Dovrà essere, inoltre, assicurata l’effettiva imparzialità e terzietà degli organismi di mediazione e dei loro mediatori rispetto alle parti coinvolte nel procedimento. Conseguentemente, il Ministero della Giustizia dovrà operare affinché una funzione, tanto delicata da potersi definire paragiurisdizionale, si conformi al fondamentale principio di trasparenza che informa tutta l’attività amministrativa, vigilando allo scopo di impedire, in particolare, la costituzione di rapporti di interesse, di qualunque specie o natura, tra gli organismi di mediazione ed i mediatori da una parte, e le parti che partecipano al procedimento dall’altra. A tale fine, dovrà essere cura delle competenti strutture ministeriali di eseguire ogni più rigoroso controllo, nell’esercizio del potere di vigilanza attribuito dalla legge, anche a mezzo dell’Ufficio dell’Ispettorato Generale. Si dovrà, infine, garantire che l’accesso al procedimento di mediazione si caratterizzi per il contenimento dei costi per i cittadini, profilo che appare oltremodo necessario nell’attuale difficile momento economico in cui versa il Paese. Non deve, infatti, accadere che la congiuntura economica comprometta l’accesso alla tutela giuridica dei diritti che costituisce, come noto, uno dei compiti primari dello Stato. Gli obiettivi sopra indicati rappresentano priorità operative cui dovrà uniformarsi, in forza della presente direttiva, l’azione dell’intera struttura amministrativa ministeriale in materia di mediazione e conciliazione.”
In base a tali premesse la Circolare Ministeriale del 27 novembre 2013 viene forgiata ad opera della Direzione Generale del Ministero sulle indicazioni espresse dal Ministro rafforzando la connotazione paragiurisdizionale della “nuova mediazione” civile e commerciale italiana in risposta ai quesiti pervenuti e dei principali profili di incertezza applicativa fornendo le linee interpretative della normativa introdotta in materia.
L’indennità dovuta per primo incontro di mediazione. Spese di avvio del procedimento.
Si richiamano innanzitutto gli organismi di mediazione al rigoroso rispetto della disposizione di cui all’art. 17 comma 5 ter del D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, introdotta dall’art.84, comma 1 lett. p) n.2) del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, a tenore del quale “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Si è posta, infatti, la questione di come debba essere interpretato il riferimento al termine “compenso” di cui alla suddetta modifica normativa, posto che non è stato espressamente precisato dal legislatore quale contenuto debba ad esso essere attribuito.
Tale previsione normativa deve essere armonizzata con le disposizioni anteriormente vigenti e, in particolare, con il dato normativo di riferimento, costituito dalla previsione contenuta nell’art. 16, comma 1, del D.M. 180/2010, secondo cui “l’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione”; nonché dal successivo comma 10 dello stesso articolo 16, che stabilisce altresì che “le spese di mediazione comprendono anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione”.
Come si è già avuto modo di chiarire con la circolare 20 dicembre 2011, le spese di avvio, stabilite in misura fissa ed unitaria, hanno riguardo, più specificamente, alle spese dell’organismo per potere avviare il procedimento di mediazione: ricezione della istanza, visione da parte della segreteria, fascicolazione e registrazione, comunicazione all’altra parte dell’inizio della procedura e così via.
Si tratta, dunque, delle spese relative all’attività di segreteria, prodromica a quella di mediazione vera e propria svolta dal mediatore. Quest’ultima, dunque, assume valenza diversa, in quanto riguarda le spese di concreto svolgimento dell’attività di mediazione e, in questo senso, ricomprende anche l’onorario del mediatore.
Ora, il riferimento al termine “compenso”, quale corrispettivo per una prestazione professionale svolta, induce a ritenere che il legislatore abbia voluto fare riferimento unicamente a quella voce dell’indennità complessiva che riguarda le sole spese relative all’attività di mediazione vera e propria; mentre è rimasto fuori dall’ambito di applicazione il riferimento alle spese di avvio del procedimento che, pertanto, devono continuare ad essere corrisposte.
A condurre, peraltro, a tale considerazione, è la circostanza che, secondo la nuova configurazione del procedimento di mediazione derivante dalla novella del 2013, il primo incontro del procedimento di mediazione dovrebbe essere considerato come momento non ancora inserito nello svolgimento vero e proprio dell’attività di mediazione, come definita dall’art.1, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 28/2010.
In questo contesto, infatti, va tenuto presente quanto dispone l’art. 8 comma 1 del D. Lgs. 28/2010, come modificato dall’art. 84 del decreto legge citato, ed in particolare che: “… Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.
Tale ultima disposizione, meglio delineando la natura e la funzione del ‘primo incontro’ rispetto alla ‘procedura di mediazione’, consente di comprendere la ragione per la quale il legislatore ha previsto che, “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”: non essendosi svolta vera e propria “attività di mediazione” non si potrà richiedere un compenso che attenga, appunto, ad una attività eventuale e successiva che avrà modo di essere esercitata solo se le parti intendano procedere oltre.
D’altro lato, come detto, rimane comunque il diritto dell’organismo di mediazione di ricevere il pagamento delle spese di avvio, stabilite in misura fissa ed unitaria, relative all’attività di segreteria prodromica a quella di mediazione vera e propria svolta dal mediatore.
Pertanto, considerata la diversa funzione delle due “voci” di cui si compone l’indennità di cui all’art. 16 del D.M. citato, e la diversa natura e funzione del ‘primo incontro’, deve ritenersi che le spese di avvio del procedimento, determinate nella misura fissa di euro 40,00 (art. 16, comma 2) sono dovute al primo incontro, anche nel caso in cui all’esito dello stesso le parti non intendano procedere oltre nella mediazione.
Le spese di avvio sono dovute da entrambe le parti: dalla parte invitante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte invitata al momento dell’adesione o della partecipazione al primo incontro preliminare.
Quanto alla parte invitata, è evidente che l’onere di pagare le spese di avvio è giustificato dal fatto di essersi presentata al primo incontro e di avere perciò in concreto fruito della funzione del mediatore, sia pur nei limiti propri di questa fase preliminare, di natura esplicativa. Viceversa, nulla le potrà essere richiesto nel caso in cui non presenzi al primo incontro. La gratuità attiene, invece, alle spese di mediazione in senso proprio, nelle ipotesi in cui non si dia seguito alla procedura di mediazione.
Va ulteriormente precisato che, nel caso di mancata presentazione al primo incontro della parte invitante, nulla potrà essere richiesto alla parte invitata, regolarmente presentatasi.
Ciò sul presupposto che le spese di avvio possono essere richieste a quest’ultima solamente nel caso in cui abbia luogo il primo ‘incontro’, il che postula la presenza anche della parte invitante.
Per quanto riguarda invece le spese vive (diverse e ulteriori rispetto alle spese di avvio), si ribadisce il contenuto della circolare di questa direzione generale 20 dicembre 2011, secondo cui le stesse dovranno essere corrisposte, purchè documentate dall’organismo di mediazione.
Sintesi conclusiva dei principi espressi
- nel termine “compenso” di cui all’art. 17 comma 5 ter del D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 non devono essere comprese le spese di avvio del procedimento;
- le spese di avvio sono dovute da entrambe le parti comparse al primo incontro;
- nel caso in cui la parte invitante non sia comparsa al primo incontro, nessuna indennità può essere richiesta alla parte invitata che sia viceversa comparsa;
- oltre alle spese di avvio dovranno essere altresì corrisposte le spese vive documentate.
Mediazione obbligatoria disposta dal giudice. Criteri di determinazione dell’indennità
Tra le novità introdotte dall’art. 84 del decreto legge 21 giugno 2013 n.69, come convertito dalla legge 9 agosto 2013 n.98, vi è quella della mediazione obbligatoria disposta dal giudice nel corso del procedimento giurisdizionale. Prevede al riguardo il nuovo testo dell’art. 5 comma 2 del d.lgs. 28/2010: “Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di giudizio di appello”.
Si è posta la questione della individuazione dei profili concernenti i criteri di determinazione dell’indennità di mediazione nei casi in cui sia stato attivato il procedimento di mediazione in osservanza dell’ordinanza del giudice del processo.
Invero, l’art. 17 del D. Lgs. 28/2010, come novellato, prevede, al comma 4 lett. d), che con decreto ministeriale sono determinate le riduzioni minime delle indennità dovute nel caso in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 2.
Tale disposizione va coordinata con la previsione del D.M. 180/2010, emanato nella vigenza di una forma di mediazione obbligatoria, la quale, proprio per tale ragione, aveva riguardo unicamente alla determinazione delle riduzioni minime delle indennità nel caso in cui si fosse attivato un procedimento di mediazione per obbligo ex lege, non sussistendo al tempo la forma della mediazione c.d. disposta dal giudice.
Si tratta, allora, di definire allo stato quale sia il criterio da applicare per la determinazione delle riduzioni minime delle indennità anche nel caso di quest’ultima forma di mediazione.
In attesa di eventuali interventi di adeguamento del D.M. citato, allo stato deve ritenersi che, avendo la mediazione disposta dal giudice natura obbligatoria, tale identità di natura delle due forme di mediazione in esame assume particolare valenza al fine di ritenere che anche alla cd. mediazione disposta dal giudice sia applicabile almeno la riduzione dell’importo massimo del compenso (e i divieti di aumenti del compenso), esattamente nei termini di cui all’art. 16 comma 4 lett. d) del D.M. 180/2010, ovvero negli stessi termini dell’analoga previsione già esistente per l’ipotesi di mediazione obbligatoria ex lege di cui all’art. 5 comma 1 (ora reintrodotta all’art. 5 comma 1 bis).
A tale considerazione interpretativa va altresì aggiunta la necessità di seguire quanto indicato nella direttiva del Ministro della Giustizia del 5 novembre 2013.
Sintesi conclusiva del principio espresso
- la previsione di cui all’art. 16 comma 4 lett. d) del D.M. 180/2010 è da applicarsi anche alle ipotesi di mediazione obbligatoria disposta dal giudice (art. 5 comma 2 D. Lgs. 28/2010).
Luogo di deposito dell’istanza
L’art 4 comma 1 del d.lgs. 28/2010, come modificato dal decreto legge 69/2013 convertito dalla legge 9 agosto 2013 n.98, prevede che “la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza”.
Tenuto conto di tale disposizione, rilevante ai fini della individuazione dell’organismo competente a ricevere l’istanza di mediazione, va chiarito che la domanda di mediazione dovrà essere presentata presso un organismo di mediazione accreditato che abbia la propria sede principale o secondaria nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia che si intende proporre.
A tal fine, si precisa che si terrà conto della sede principale dell’organismo ovvero delle sue sedi secondarie che si trovino nell’ambito di qualunque comune della circoscrizione del tribunale territorialmente competente a conoscere la controversia.
Ai fini della esatta individuazione della sede principale o della sede secondaria è condizione necessaria che queste ultime siano state regolarmente comunicate al Ministero vigilante mediante la compilazione e trasmissione della modulistica al tal uopo predisposta da questa amministrazione e visibile sul sito www.giustizia.it .
La suddetta compilazione e trasmissione può avvenire al momento della richiesta di iscrizione al registro degli organismi di mediazione ovvero in un momento successivo.
È altresì condizione necessaria l’adozione, da parte di questa amministrazione, del provvedimento di iscrizione ovvero di modifica di esso in relazione ad ogni eventuale successiva richiesta di integrazione delle sedi.
Va peraltro ribadito che la previsione di un criterio territoriale di individuazione dell’organismo di mediazione competente esige che tutte le sedi, anche secondarie, siano organizzate in modo tale da poter assicurare agli utenti un servizio efficiente e stabile.
Tale obiettivo dovrà essere assicurato da ciascun organismo di mediazione e sarà oggetto di verifica e controllo, anche in sede ispettiva, da parte del Ministero della giustizia.
Sintesi conclusiva del principio espresso
- la individuazione dell’organismo di mediazione competente a ricevere l’istanza va fatta tenuto conto del luogo ove lo stesso ha la sede principale o le sedi secondarie; condizione necessaria è che le suddette sedi siano state regolarmente comunicate a questa amministrazione ed oggetto di provvedimento di iscrizione.
Avvocati e mediazione
L’art. 16, comma 4 bis del d.lgs. 28/2010 come modificato dal decreto legge 69/2013, convertito dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, prevede che “gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”.
L’art. 5 comma 1 bis, nel reintrodurre la c.d. mediazione obbligatoria, stabilisce altresì che nelle controversie riguardanti le materie ivi elencate, chi intende agire in giudizio deve preliminarmente esperire il procedimento di mediazione “assistito da un avvocato”.
Tali nuove disposizioni pongono l’esigenza di fornire alcune specifiche indicazioni
Innanzitutto, è da escludere che gli avvocati possano esercitare la funzione di mediatore al di fuori di un organismo di mediazione, sia perché, ai sensi dell’art. 14 comma 1, ai mediatori è fatto divieto di percepire compensi direttamente dalle parti; sia perché l’intero sistema legislativo è congegnato sul presupposto che la mediazione debba comunque essere svolta in seno ad un organismo, assoggettato ad un sistema di controlli e responsabilità.
Deve essere altresì chiarito che l’assistenza dell’avvocato è obbligatoria esclusivamente nelle ipotesi di c.d. mediazione obbligatoria (ivi compresa quella disposta dal giudice ex art. 5 comma 2), ma non anche nelle ipotesi di mediazione facoltativa.
A tale soluzione si perviene agevolmente osservando che, in via generale, il nuovo testo dell’art. 12, comma 1, espressamente configura l’assistenza legale delle parti in mediazione come meramente eventuale ( “ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato…”). Di talchè, ferma la necessità dell’assistenza legale nelle forme di mediazione obbligatoria, nella mediazione c.d. facoltativa le parti possono partecipare senza l’assistenza di un avvocato.
A tale conclusione non è di ostacolo la disposizione dell’art. 8 del decreto legislativo, che prevede che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”. Apparentemente di ambito generale, in realtà tale disposizione costituisce un completamento della previsione di cui all’art. 5, nel senso che, nelle ipotesi in cui il procedimento di mediazione è condizione di procedibilità, la parte che vorrà attivare la procedura di mediazione dovrà avvalersi dell’assistenza di un avvocato non solo al momento del deposito dell’istanza, ma anche per tutti i momenti successivi del procedimento di mediazione, fino al termine della procedura.
Naturalmente, nell’ambito della mediazione facoltativa, le parti potranno in ogni momento esercitare la facoltà di ricorrere all’assistenza di un avvocato, anche in corso di procedura di mediazione.
In questo caso nulla vieta che le parti vengano assistite dagli avvocati solo nella fase finale della mediazione e che, quindi, i legali possano, ad esempio, intervenire per assistere le parti nel momento conclusivo dell’accordo di mediazione, anche al fine di sottoscriverne il contenuto e certificarne la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 12 citato.
Ulteriore novità normativa è infine contenuta nella disposizione di cui all’art. 16 d.lgs. 28/2010, che in tema di obblighi formativi, stabilisce che “gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 55 bis del codice deontologico forense”.
In base a tale disposizione, proprio il riferimento alla suddetta previsione regolamentare forense deve condurre a ritenere che gli obblighi di formazione e aggiornamento per il mediatore avvocato debbano avvenire nell’ambito dei percorsi formativi professionali forensi, la cui organizzazione è demandata al consiglio nazionale forense e agli ordini circondariali dall’art. 11 legge 31 dicembre 2012 n. 247.
Più in generale, la contemporanea qualifica di mediatore e di avvocato, l’obbligatorietà dell’assistenza legale nella c.d. mediazione obbligatoria, la necessità comunque dell’assistenza legale nella mediazione facoltativa per addivenire alla formazione immediata del titolo esecutivo (art. 12), il regime di autonomia in materia di formazione e aggiornamento riconosciuto agli avvocati, costituiscono indici normativi che – nel delineare un regime speciale riservato dal legislatore all’avvocato-mediatore – pongono l’esigenza di alcune indicazioni, funzionali ad evitare profili di sovrapposizione tra l’esercizio della professione forense e lo svolgimento dell’attività di mediatore.
In tale prospettiva, viene in particolare rilievo la disposizione di cui all’art. 55 bis comma 4 del codice deontologico forense secondo cui: “E’ fatto divieto all’avvocato consentire che l’organismo di mediazione abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione”.
Tale norma, alla luce del ruolo assunto dall’avvocato all’interno della mediazione, appare rivestire, nel mutato quadro normativo di riferimento, una rilevanza diretta nell’attività di vigilanza da parte di questa amministrazione, la cui osservanza assume carattere vincolante per l’organismo di mediazione; ciò nella prospettiva di escludere la detta sovrapposizione di ruoli e tutelare l’immagine di imparzialità del mediatore-avvocato.
Lo svolgimento imparziale dell’attività di mediazione non costituisce infatti soltanto un dovere del singolo mediatore rispetto alle parti del procedimento di mediazione e alla questione sottoposta alla sua cognizione (“Al mediatore è fatto, altresì, obbligo di: a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente previsti dal medesimo regolamento; b) informare immediatamente l’organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione”: art. 14 d.lgs. 28/2010); ma un valore e un dovere imprescindibile dello stesso organismo di mediazione, come si desume dall’art. 4 del regolamento di cui al d.m. 180/2010, che nel dettare i criteri per l’iscrizione nel registro degli organismi, stabilisce che l’autorità vigilante deve verificare, fra l’altro, che siano offerte “le garanzie di indipendenza e imparzialità” nello svolgimento del servizio di mediazione (art. 4 lett. e).
Pertanto, proprio al fine di una compiuta attività di vigilanza di questa amministrazione, un profilo essenziale sul quale sarà svolta l’attività di controllo è quello della verifica della insussistenza delle seguenti circostanze: che l’organismo di mediazione abbia sede presso lo studio di un avvocato, ovvero presso uno studio associato di avvocati; e che lo studio di un avvocato abbia sede presso l’organismo di mediazione.
La violazione di tale norma non darà luogo soltanto alla segnalazione, da parte di questa autorità di vigilanza, al competente consiglio dell’ordine forense, ma anche ad atto di rilievo e contestazione dell’inosservanza, con possibile adozione dei provvedimenti da parte dell’autorità vigilante.
Convenzioni stipulate dagli organismi di mediazione
Strettamente correlato ai menzionati obblighi di imparzialità ed indipendenza (art. 14 d.lgs. 28/2010 e 4 d.m. 180/2010) è il fenomeno, più volte posto all’attenzione di questa amministrazione, delle convenzioni o accordi, stipulati tra l’organismo di mediazione e le parti o i loro patrocinatori, volte a stabilire forme di agevolazioni – o sconti in materia di compensi economici – a favore di una soltanto delle parti in mediazione, ovvero dei loro patrocinatori.
Tali forme di accordo potrebbero rappresentare un fattore in grado di offuscare o comunque di incidere sull’immagine di imparzialità dell’organismo di mediazione.
La disparità di trattamento economico cui le parti in mediazione vengono assoggettate potrebbe alterare, infatti, la posizione di terzietà dell’organismo medesimo rispetto ad esse, creando una condizione di favore che, seppure attenga formalmente solo alla questione del trattamento economico, appare suscettibile di ingenerare incertezza sull’indipendenza dell’organismo, in ragione dell’instaurato vincolo giuridico, stabile e continuativo, con l’ente convenzionato e i suoi aderenti.
Tali convenzioni quindi devono ritenersi non consentite. In ogni caso, eventuali agevolazioni o sconti, attuati in concreto, devono essere praticati nei confronti di tutte le parti in mediazione.
Del pari non consentiti devono ritenersi quegli accordi o convenzioni, comunque denominati, in forza dei quali l’organismo di mediazione assuma l’obbligo giuridico di erogare quote di emolumenti in favore di enti o associazioni, il cui ammontare è calcolato in percentuale del volume di affari che gli aderenti a quella associazione – quali parti della mediazione, ovvero come patrocinatori di esse – sono stati in grado di sviluppare in un determinato periodo di tempo in favore dell’organismo.
In tale ipotesi, il meccanismo incentivante in denaro – attuato mediante una vera e propria suddivisione dei ricavi – con cui l’organismo di mediazione incoraggia una delle parti (la parte invitante) a rivolgersi ai suoi servizi, appare direttamente contrastante con le garanzie di ‘indipendenza e imparzialità’ che devono essere assicurate nel servizio di mediazione (art. 4 d.m. 180/2010 citato).
In presenza di siffatte convenzioni, l’autorità vigilante provvederà alla contestazione della violazione e, in difetto della risoluzione delle stesse, saranno assunte le determinazioni di cui all’art. 10 d.m. 180/2010.
Monitoraggio della mediazione e obblighi degli organismi
L’art. 5 comma 1 bis del d.lgs. 28/2010 inserito con la novella legislativa, nel reintrodurre la c.d. mediazione obbligatoria, ha previsto che “la presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione”.
Essendo onere dell’amministrazione avviare sin dall’epoca attuale il monitoraggio richiesto dalla norma primaria suddetta, gli organismi di mediazione saranno tenuti alla stretta osservanza degli obblighi di comunicazione dei dati statistici relativi all’attività di mediazione svolta, entro i termini, con la periodicità e secondo le modalità previsti dalla circolare emessa in materia dalla competente Direzione Generale di Statistica del Ministero della Giustizia, pubblicata sul sito internet del Ministero.
La mancata puntuale osservanza del dovere di comunicazione di cui alla detta circolare della Direzione Generale di Statistica sarà assunta come elemento sintomatico della inattività dell’organismo, ovvero comunque della sua incapacità a garantire uno ‘standard’ minimo di efficienza, a cui lo stesso è tenuto ai sensi dell’art. 4 d.m. 180/2010, e potrà quindi dare luogo alle determinazioni di cui all’art. 10 d.m. 180/2010.
Si rammenta infine che, ai sensi dell’art. 8, comma 1 del D.M. 180/2010, il responsabile dell’organismo iscritto è obbligato a comunicare immediatamente tutte le vicende modificative dei requisiti, dei dati e degli elenchi comunicati ai fini dell’iscrizione, compreso l’adempimento dell’obbligo di aggiornamento formativo dei mediatori iscritti negli elenchi.
Ai sensi dell’art. 10 comma 4 del D.M. 180/2010, il responsabile della tenuta del Registro si riserva in ogni momento l’esercizio del potere di controllo, anche tramite l’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, mediante ispezioni presso le sedi principali e secondarie degli organismi.
Avv. Daniela Savio
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