Uno dei primi principi affermati è quello dell’ antropocentrismo, ossia della centralità della persona umana rispetto alla natura, la quale deve semplicemente servire alle sue funzioni.
Questa concezione si contrappone alla concezione ecocentrica o biocentrica, nella quale la natura ha valore di per sé e di cui l’essere umano ne è solo parte, con un obbligo morale di custodia in un rapporto dialettico.
Si devono, quindi, eliminare le due concezioni estremistiche opposte, nelle quali da una parte vi è la possibile distruzione della natura, dall’altra la compressione delle possibilità umane di sviluppo, nasce di qui la necessità di un approccio equilibrato, dove la natura è utilizzata con equilibrio, tutelandone le potenzialità riproduttive.
Tale interpretazione assume un vero e proprio valore di principio costituzionale dell’ordinamento comunitario, così come lo si può ricavare dall’art. 130 R del Trattato C.E. , ma è anche dai quattro programmi d’azione in materia ambientale adottati dal Consiglio nel periodo 1973-1987, che si ha una chiara indicazione nell’adozione di una interpretazione dialettica dell’antropocentrismo.
Una interpretazione riaffermata nelle “direttive”, basti pensare alle direttive n. 80/68/CEE, 84/360/CEE, 89/369/CEE e 89/429/CEE sugli inquinamenti.
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Il principio dell’unitarietà dell’ambiente
Altro principio è quello dell’unitarietà dell’ambiente, anch’esso a carattere relazionale, questo presuppone l’esistenza di un equilibrio ecologico da mantenere nell’uso delle risorse naturali, le quali non devono pertanto essere considerate singolarmente ma bensì coordinate tra loro e nei rapporti con l’essere umano e suoi interessi, anche pubblici.
Questa prospettiva sistemica, già presente nei quattro programmi d’azione dal 1973 al 1987, si riscontra chiaramente nella direttiva n. 85/337/CEE sulla V.I.A., ma ancora più chiaramente nelle direttive n. 94/67/CE e n. 96/61/CE dove si parla sia di “protezione integrata” che di “riduzione integrata dell’inquinamento”.
Un terzo principio è quello di primarietà, che evidenzia il carattere fondamentale dell’interesse ambientale, tale da renderlo elevato nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali e, pertanto, necessario di un elevato livello di tutela.
Il bilanciamento degli interessi
Questo tuttavia non può essere portato ad un livello tale da compromettere le esigenze di sviluppo economico e sociale, necessita pertanto un bilanciamento che non può che avvenire in ambito amministrativo, coinvolgendo in una decisione cooperativa tutti i soggetti interessati, in particolare i vari livelli territoriali di governo.
E’ la Corte di Giustizia che risulta la principale fautrice dei due concetti di primarietà e di bilanciamento, in particolare con le sentenze del 7/2/1985, n. 240/83 e del 20/9/1988, n. 302/86, in cui si riconosce nella tutela dell’ambiente uno degli scopi essenziali della Comunità, tanto da considerarla una “esigenza imperativa” tale da giustificare sia gli atti comunitari che nazionali tesi alla limitazione degli scambi (Sent. 20/2/1979, n. 120/78 – Cassis de Dijon).
Vi è comunque l’esigenza di mantenere i limiti della necessità, proporzionalità e non discriminazione nelle misure a tutela dell’ambiente, per non impedire lo sviluppo umano.
La tutela dell’ambiente viene confermata nell’Atto Unico Europeo che introduce l’art. 130 R e l’art. 100 A nel trattato CEE, facendo diventare la salvaguardia dell’ambiente una delle principali componenti delle politiche comunitarie ad alto livello di protezione.
Il principio è ripreso nel trattato dell’Unione Europea, in cui nel nuovo art. 2 del trattato CE si parla di “crescita sostenibile che rispetti l’ambiente; si introducono tuttavia all’art. 130 T il “principio di sussidiarietà” e la “clausola di salvaguardia”, che se da una parte migliora la protezione dell’ambiente dall’altra tiene conto delle differenze regionali, come indicato nel par. 3 dell’art. 130 R.
Dall’analisi delle direttive n. 84/360/CEE e n. 85/337/CEE emergono i limiti alla protezione dell’ambiente dati dai “costi eccessivi” nella ricerca di nuove tecnologie, tali da non renderle sostenibili economicamente, altro limite lo si può individuare nell’interesse nella difesa nazionale.
L’ultimo principio relativo alle caratteristiche proprie ed essenziali del bene giuridico “ambiente” è quello di economicità , esso consiste nel riconoscere all’ambiente un proprio valore economico, si definiscono così i “costi economici ambientali” che vengono ad incidere sul Pil e la collettività in generale.
Si ha così la possibilità di determinare le necessità di finanziamento delle azioni di tutela del “bene economico ambiente”, così come le azioni per contrastare attraverso il risarcimento il degrado ambientale.
Il venire meno del concetto di inesauribilità delle risorse ambientali, porta allo “sviluppo sostenibile” quale nuovo concetto in cui si considerano i “costi esterni o sociali” e si provvede a valutazioni di bilanciamento dei “costi ambientali”.
Il principio “chi inquina paga”
Le diseconomie esterne vengono quindi internalizzate, che si traduce nel principio che “chi inquina paga”o “chi usa paga”, una formula enunciata nel revisionato art.130 R, par, 2, del Trattato CEE così come revisionato dall’Atto Unico Europeo.
Il tentativo di ridurre l’inquinamento o meglio prevenirlo, può nella realtà condurre ad una sua distorsione, creando un mercato dell’inquinamento con l’acquisto di un presunto diritto di inquinare.
Maastricht ha peraltro introdotto un ulteriore principio inderogabile detto di “precauzione”, il quale dovrebbe impedire la possibile distorsione dando un preciso ordine ai vari principi, che partendo dall’azione preventiva passa, scalando alla correzione, per finire all’eventuale risarcimento del danno.
Vi è comunque il rischio di un trasferimento integrale sul consumatore dei costi della prevenzione, riduzione o riparazione del danno, un rischio che non disattende peraltro il principio “chi inquina paga”.
La valutazione economica dell’ambiente ha posto la questione di quegli aspetti particolari che non possono avere un prezzo, come rilevato nel capitolo 15 del quinto programma di azione, una problematica che ha suggerito il ricorso ad una valutazione qualitativa in sostituzione all’impossibile valutazione economica, anche se al capitolo 7 si ribadisce l’importanza dell’approccio economico.
Purtroppo vi sono forze che spingono in senso ampiamente contrario, quali la degenerazione dell’interesse individuale capitalistico non corretto dal timore di realtà contrare, il quale innestato sulle nuove possibilità tecnologico-informatiche e coperto ideologicamente dal “mito di un assoluto libero marcato”, crea nuove dispersioni e consumi che, nell’assorbire enormi quantità di risorse naturali ed energetiche, pone nuovi problemi alle politiche ambientali.
Basti pensare alle problematiche delle crescenti consegne a domicilio, alla sempre crescente mobilità, in particolare aerea, al crescente uso di metalli sempre più rari e al riuso di sostanze inquinanti.
Anche l’esplodere della popolazione mondiale con la sua crescita esponenziale, nel continuo uso di terre ed acque secondo modelli consumistici non sostenibili, risulta preparare una prossima possibile implosione del sistema, se non corretto, attraverso inevitabili conflitti sociali ed ambientali per le risorse.
Un problema che ricadrà pesantemente e inevitabilmente sulle prossime generazioni.
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NOTA
- Tallachini, Diritto per la natura. Ecologia e filosofia del diritto, Giappichelli, 1996;
- Scamuzzi (a cura di ), Costituzioni, razionalità e ambiente, Bollati Boringheri, 1994.
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