Il giudice nel valutare le discrepanze rilevate dal redditometro è obbligato a valutare tutti gli elementi forniti dal contribuente. Infatti non possono essere presunte tout court , perché possono derivare da diversi elementi: nella fattispecie, erroneamente, il G.T. non ha tenuto conto degli ingenti guadagni accumulati nel quinquennio antecedente all’accertamento. È quanto rilevato dalla Cassazione, sez. trib., n. 21994 del 25 settembre 2013.
Il caso. Una coppia partenopea riceveva un avviso di accertamento, in cui erano contestate loro dall’AGE <<gravi irregolarità e le forti incongruenze contabili e fiscali riscontrate>> ( IRPERF ed ILOR del 1992) col << metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 e del d.m. 10 settembre 1992>>, ossia tramite il redditometro. La competente Commissione tributaria adita confermava la liceità dell’accertamento e della rettifica del reddito, respingendo così il loro gravame, già oggetto di rinvio della S.C. con la sentenza n. 25481/08: le menzionate discrepanze ed <<i dati oggettivi evidenziati quali l’elevato tenore di vita tenuto dai contribuenti>> legittimavano l’operato dell’AGE, tanto più che, a suo dire, i ricorrenti non avevano fornito alcuna prova contraria. Questi, perciò, ricorrevano in Cassazione per vari motivi: la carenza di motivazione, di osservanza del dictum della Corte e la <<violazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 546/92, non avendo l’Ufficio fornito prova dell’autorizzazione all’appello, è inammissibile, stante l’efficacia preclusiva della sentenza di annullamento con rinvio (ex aliis, Cass. n. 17266 del 2002).>>.
Il G.T. deve valutare tutti gli elementi forniti dalle parti e non può affidarsi a mere presunzioni. Nel quinquennio precedente all’anno dell’accertamento i ricorrenti avevano risparmiato una vera e propria fortuna (3 miliardi del vecchio conio, 1,5 milioni di euro), di cui avevano fornito concrete e precise prove sin dal primo grado di giudizio, sì che era presto giustificato il tenore di vita rilevato dall’Agenzia delle entrate. <<Non può negarsi, infatti, che il giudice di merito, a fronte della documentazione fornita dai contribuenti – analiticamente indicata nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza -, dalla quale, in tesi, sarebbe derivata la prova che il maggior reddito accertato per l’anno 1992 sulla base di indici di capacità contributiva rilevati dall’Ufficio (possesso di autovetture ed abitazioni) era giustificato dalla disponibilità di capitale accumulato in anni precedenti, si è limitato a negare la produzione di qualsiasi idonea prova contraria, senza supportare tale apodittica statuizione con sufficienti argomentazioni>> .Orbene è noto a tutti che il giudice deve decidere secudum alligata et probata e nell’osservanza dei principi indicati dalla Cassazione, ma nella fattispecie ha omesso di farlo incorrendo nei vizi di motivazione contestati dai contribuenti. In questi giorni stanno arrivando i primi avvisi di accertamento ai presunti evasori, emessi sulla scorta del nuovo e già molto discusso redditometro: ebbene è palese che questa sentenza offra strumenti di difesa e spunti processuali utili per contestarli.
Non è necessaria alcuna autorizzazione per appellare la sentenza della Commissione provinciale. L’art. 52 Dlgs 546/92, relativo ai ricorsi presso la giustizia tributaria, non fa alcun riferimento a questo onere, tanto più che il comma II che lo conteneva è stato abrogato, perciò questo motivo è stato dichiarato inammissibile.
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