Prima di affrontare l’annosa questione dell’amministratore terzo ed estraneo all’alveo societario, è opportuno un breve riepilogo del sistema di amministrazione e gestione proprio delle società di persone. Nelle società di persone, il legislatore lascia all’autonomia privata ampia sfera di liberà per taluni aspetti legati all’organizzazione e alla regolamentazione interna, per citarne alcuni: la misura della partecipazione agli utili ed alle perdite, la durata della società, nonché le modalità di gestione della società e dunque, tra queste, il sistema di amministrazione. Con riferimento specifico alla gestione della società, i soci avranno a disposizione diverse opzioni: 1) affidare l’amministrazione della società ad un solo soggetto (amministratore unico); 2) attribuire a ciascun amministratore il potere di decidere, in autonomia, il compimento di atti sociali, senza neppure interpellare gli altri soci (amministrazione disgiuntiva). In tal caso, troveranno applicazione i commi 2° e 3° dell’art. 2257 cod.civ., che sanciscono un preciso limite al potere del socio amministratore di decidere il compimento dell’atto: il diritto di veto o jus prohibendi, vale a dire “l’opposizione” (dichiarazione unilaterale, recettizia, non formale) diretta all’amministratore che intende porre in essere l’atto. Il diritto di veto spetta soltanto ai soci che rivestono la carica di amministratori; secondo parte, però, della dottrina (Ferri, Delle società, 3, cit., 158 e ss) il diritto di opposizione può essere escluso dal contratto sociale, può essere ammesso solo per determinate operazioni o anche attribuito ai soci non amministratori o alla maggioranza. Infine, si precisa, che in caso di amministrazione disgiuntiva, il socio che agisce non ha alcun obbligo di informare, in via preventiva, gli altri soci mettendoli nella condizione di esercitare il diritto di veto; in una simile ipotesi, non si è esclude una responsabilità del socio agente laddove, all’oscuro degli altri soci, abbia compiuto un atto rivelatosi imprudente e pregiudizievole per la società. Laddove venga sollevata opposizione, non potrà procedersi all’operazione contesta, anche nel caso in cui ciò comporti pericolo nel ritardo; 3) attribuire il potere di decidere il compimento degli atti sociali congiuntamente ad una pluralità di amministratori, precludendo al singolo socio di decidere da solo del compimento dell’atto (amministrazione congiuntiva). Nel corso di questo excursus sui vari sistemi di amministrazione, si è sempre fatto riferimento al “socio amministratore”, alludendo che la carica di amministratore è rivestita da soggetti legati tra loro da un rapporto in cui prevale l’elemento personalistico occasionato dal contratto di società. E’ possibile, pertanto, l’eventualità che amministratore della società non sia un socio, soggetto interno, ma un terzo estraneo ed esterno alla società? Parte della dottrina è chiara: in una società di persone, il potere di amministrazione spetta esclusivamente ai soci. A sostegno di tale tesi, si afferma che mentre nelle società di capitali, l’art. 2380 cod.civ., prevede espressamente che amministratore possa essere un terzo estraneo, nelle società di persone, il legislatore non solo ha previsto espressamente che dei poteri di amministrazione e rappresentanza siano investiti esclusivamente i soci, ma omette qualsivoglia riferimento alla possibile nomina di un terzo estraneo all’alveo societario. Inoltre, tale la tesi negatrice evidenzia come nelle società personali non vi è bisogno di uno specifico sistema di controllo, proprio perché l’amministrazione spetta agli stessi interessati, i soci, i quali rispondendo in prima persona, con il proprio patrimonio, risentono delle conseguenze del loro operato. Di segno nettamente opposto, è la dottrina prevalente e parte della giurisprudenza: il potere di amministrazione può essere riconosciuto anche ad un terzo estraneo alla società, salvo che nel caso di accomandita semplice, dove il limite invalicabile è la previsione dell’art. 2318, 2° comma,cod., civ., laddove prevede che“ l’amministrazione della società può essere conferita solo ai soci accomandatari”. In realtà, secondo la dottrina maggioritaria, la circostanza che la figura dell’amministratore estraneo non sia prevista espressamente in materia di società di persone, non è un buon motivo per escluderne, perentoriamente, la configurabilità; tant’è che la nomina di un amministratore estraneo: 1) non pregiudicherebbe i creditori sociali, perché i soci resterebbero comunque illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali e, anzi, i creditori risulterebbero addirittura avvantaggiati, potendo agire non solo contro i soci, ma anche contro l’amministratore estraneo che risponderà del proprio comportamento a titolo di responsabilità extra-contrattuale; 2)inoltre, l’art. 2318, 2° comma, dettato per la società in accomandita semplice, è una norma di carattere eccezionale non applicabile alla società semplice e alla società in nome collettivo, rispetto alle quali la nomina di un amministratore estraneo rimane una via percorribile . Inoltre, se è vero che l’art. 2266 2°comma cod.,civ., stabilisce che “la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore”, è pur vero, che “le parti possono parzialmente derogare a tale disciplina, affidando l’indicata rappresentanza a persone che non possiedono la qualità di socio”( Cass., 26 aprile, 1996,n.3887) Alla luce di queste osservazioni, si deve riconoscere che, sebbene non vi sia univocità di posizioni a riguardo, nulla osta a che amministratore di una società di persone, sia un soggetto estraneo e terzo rispetto al rapporto sociale.
I sistemi di amministrazione nelle società di persone: aspetti problematici dell’amministratore estraneo alla società
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