I termini per correggere le dichiarazioni dei redditi

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 13378 del 07/06/2016, depositata in cancelleria il 30 giugno 2016, ha stabilito quali termini devono essere rispettati per correggere le dichiarazioni dei redditi.

Le Sezioni Unite, infatti, sono state chiamate a decidere se il contribuente, in caso di imposta sui redditi, abbia la facoltà di rettificare la dichiarazione prevista dagli artt. 1 e ss. del D.P.R. 29/9/1973, n. 600, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito o minor credito d’imposta, solo entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo come stabilito dall’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. 22/7/1998, n. 322 oppure se, al contrario, quest’ultimo termine sia previsto solo ai fini della compensazione, richiamata dal secondo periodo del comma 8-bis cit., per cui la predetta rettifica sia possibile anche a mezzo di dichiarazione da presentare entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione a norma dell’art. 2, comma 8, del D.P.R. n. 322 cit.; in ogni caso, tanto in sede rimborso, nel rispetto dei relativi termini di decadenza e/o di prescrizione, quanto in sede di processuale, e cioè per opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato.

Il quadro normativo di riferimento è costituito dall’art.2 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, recante l’intestazione “Termine per la presentazione della dichiarazione in materia di imposte sui redditi e di IRAP “, e dall’art. 38 del D.P.R. 602/1973, relativo al “rimborso di versamenti diretti” di imposte sui redditi.

La prima di tali norme, ai commi 8 e 8-bis, prevede la possibilità per il contribuente di integrare la dichiarazione dei redditi.

Tale facoltà era stata già riconosciuta, a decorrere dall’1/1/1991, dall’art. 9, ultimo comma del D.P.R. 600/73, che in proposito recitava: “La dichiarazione, diversa da quella di cui al quarto comma, può comunque essere integrata, salvo il disposto del quinto comma dell’art. 54, per correggere errori o omissioni mediante successiva dichiarazione, redatta su stampati approvati ai sensi del primo comma dell’art. 8, da presentare entro il termine per la presentazione della dichiarazione per il secondo periodo di imposta successivo, sempreché non siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o la violazione non sia stata comunque constatata ovvero non siano stati notificati gli inviti e le richieste di cui all’art. 32”.

L’art. 9 cit. venne abrogato dall’articolo 9 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, D.P.R. che all’art. 2, comma 8, nella versione vigente ratione temporis, dispose:”salva l’applicazione delle sanzioni, le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti d’imposta possono essere integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’art. 3, non oltre i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973″.

Il successivo comma 8/bis aggiunto dall’articolo 2 del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, recita: Le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare, non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.

L’eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997. Il comma 6 dello stesso art. 8, dispone per la dichiarazione relativa all’imposta sul valore aggiunto si applica la ridetta disposizione di cui all’art. 2, commi 8 e 8/bis.

In tema di rimborso di versamenti diretti, l’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, recita: “il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all’intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede l’esattoria presso la quale è stato eseguito il versamento istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”.

Così delineato il quadro normativo, va rilevato che, a fronte di due indirizzi confliggenti in ordine alla possibilità di emendare le dichiarazioni fiscali, con riferimento all’art. 9 cit., le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sent. n. 15063/2002) affermarono che la dichiarazione in questione, in generale, ha natura di atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera esternazione di scienza e di giudizio, integrante un momento dell’iter procedimentale inteso all’accertamento di tale obbligazione ed al soddisfacimento delle ragioni erariali che ne sono l’oggetto, come tale emendabile e ritrattabile quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che sulla base della legge devono restare a suo carico.

Tali principi sono stati confermati dalle Sezioni semplici (Sent. n. 8153 del 23/5/2003, Sent. n. 12791 del 9/7/2004, Sent. n. 4238 del 2/3/200; Sent. n. 26839 del 20/12/2007, Sent. n. 29738 del 19/12/2008).

Più recentemente nella sentenza della Sezione Quinta n. 6392 del 19/03/2014, leggesi: “le dichiarazioni fiscali, in particolare quella dei redditi, non hanno natura di dichiarazioni di volontà, ma di scienza, e pertanto, salvo casi particolari (ad esempio, le dichiarazioni integrative presentate ai fini del condono), esse possono essere liberamente modificate dal contribuente, anche attraverso la difesa nel processo, ed anche nei giudizi di rimborso”; nella sentenza della stessa Sezione n. 22490 del 04/11/2015 , si afferma: “al contribuente è consentito di emendare la propria dichiarazione, ove affetta da errore di fatto o di diritto, anche se non direttamente da essa rilevabile, quando dalla stessa possa derivare il suo assoggettamento ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, con il limite temporale derivante dall’esaurimento, provocato dal trascorrere del tempo o dal sopravvenire di decadenze, del relativo rapporto tributario, ovvero, in assenza di tali evenienze, anche dopo l’emissione di un provvedimento impositivo, nell’ambito del processo tributario”.

A fronte di tale indirizzo si è peraltro asserito (Sent. n. 5373 del 4/4/2012) che: “L’art. 38 riguarda i casi di errore materiale, duplicazione o inesistenza totale o parziale dell’obbligazione tributaria adempiuta; casi cioè in ordine ai quali si rende necessaria esclusivamente un’operazione in un certo senso complementare a quella di liquidazione. L’emenda o la ritrattazione di cui al comma 8-bis riguarda invece i casi di dichiarazione di fatti diversi da quelli già dichiarati (e tali da determinare un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito) in ordine ai quali non potrebbe ipotizzarsi un rimborso se non a seguito di un’attività propriamente di controllo e di accertamento del presupposto “favorevole” da parte dell’Amministrazione finanziaria. In questi casi, una volta scaduto invano il termine stabilito per la rettifica della dichiarazione, nessuna istanza di rimborso è ammissibile (al di fuori dei casi di errori materiali, duplicazioni o versamenti relativi ad obbligazioni tributarie inesistenti), posto che la stessa si porrebbe in contrasto con una dichiarazione ormai divenuta inemendabile (dovendosi dare all’introduzione di un termine per la rettifica un significato corrispondente ad un effetto giuridico)”.

Nella successiva sentenza n. 5399 del 4/4/2012, con espresso riferimento al disposto dell’art. 2 comma 8-bis, leggesi:”il limite temporale dell’emendabilità della dichiarazione integrativa ” non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo appare doversi ritenere….. necessariamente circoscritto ai fini dell’utilizzabilità “in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17″, indicata nella successiva proposizione della disposizione” (conf. Sent. n. 19537 del 2014).

Con le decisioni n. 5852 del 13/4/2012, n. 19661 del 27/8/2013 e n. 18399/2015, si è poi affermato che la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull’obbligazione tributaria, ma di carattere meramente formale, sarebbe esercitabile anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa dell’Amministrazione finanziaria, ed anche oltre il termine previsto per l’integrazione della dichiarazione, poiché questa scadenza opera, atteso il tenore letterale della disposizione, solo per il caso in cui si voglia mutare la base imponibile, ma non anche quando venga in rilievo un errore meramente formale.

Con le pronunce n. 5947/2015, n. 6665/15, n. 434/15, n. 26187/14 e n. 18765/14 si è affermato il principio secondo cui il contribuente potrebbe emendare la propria dichiarazione mediante l’allegazione di errori non solo nei limiti delle disposizioni sulla riscossione delle imposte ovvero del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni, ma anche nella fase difensiva processuale per opporsi alla pretesa tributaria.

Difformità interpretative sono riscontrabili anche in dottrina laddove si è talora sostenuta la possibilità di emenda per il contribuente, sia in favore che in danno, entro il termine quadriennale, raccordando la disciplina di cui all’art. 2 cit. con quella di cui all’art. 38 D.P.R. 602/1973; o, per altro verso, si è sostenuta la possibilità di emenda in favore del contribuente, entro il più ristretto termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo, anche a fini diversi dalla compensazione.

Ritengono le Sezioni Unite della Cassazione che il contrasto di cui alla ordinanza remittente vada risolto considerando la specificità ed il campo di applicazione delle norme dettate in materia di accertamento, di riscossione delle imposte e di contenzioso tributario, distinzione che non sempre traspare nelle decisioni enunciate nell’ordinanze di rimessione, anche in considerazione dell’evoluzione normativa.

Con riferimento alle disposizioni di cui ai commi 7 e 8 dell’art. 9 del D.P.R. 600/1973 (norma con la quale, secondo quanto enunciato al punto 7, dall’1/1/1991, si consentì al contribuente una correzione degli errori o omissioni della dichiarazione) le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza. n. 15063/2002 precisarono che “hanno riguardo alla rimozione di omissioni ed alla eliminazione di errori suscettibili di importare un pregiudizio per l’erario e non attengono alla emendabilità ed alla ritrattabilità di dichiarazioni idonee, perché errate, di pregiudicare il contribuente dichiarante”.

Ciò, invero, trovava conforto nel testo dell’articolo, laddove si faceva riferimento ad accessi, ispezioni, verifiche, quali impedimenti ad una dichiarazione correttiva dell’errore. Orbene l’abrogazione dell’art. 9 cit. a seguito del D.P.R. 322/1998, e la previsione di analoga possibilità contenuta nel       comma 8 dell’art. 2 introdotto dallo stesso D.P.R. 322/1998 giustificano l’interpretazione secondo cui il disposto del comma 8 riguardi unicamente errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione.

Il sistema appare poi equilibrato a seguito dell’inserimento del comma 8/bis, comma aggiunto dall’articolo 2 del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435 che ha consentito al contribuente, a decorrere dall’1/1/2002, di correggere errori od omissioni che si risolvano in suo danno (cd. in bonam partem), apprestando per lo stesso una tutela distinta dalla domanda di rimborso e dai rimedi esperibili in sede giurisdizionale.

La dichiarazione “integrativa” suddetta per la stessa funzione alla stessa attribuita dalla norma viene a saldarsi con la originaria dichiarazione presentata, modificando “ora per allora” il contenuto delle voci reddituali indicate.

Il sistema normativo creatosi a seguito dell’introduzione dei commi 8 e 8-bis consente quindi di distinguere, nell’ambito dello stesso articolo 2, i limiti e l’oggetto delle rispettive dichiarazioni integrative.

Ciò nel senso che la correzione di errori od omissioni in danno della P.A. sono emendabili non oltre i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 nonché, con specifico riferimento alla disciplina anteriore all’art. 1 comma 637 della L. 190/2014, alla mancata constatazione delle violazioni e le attività di accertamento (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 14999 del 17/07/2015; Sez. 5, Sentenza n.5398 del 04/04/2012).

Gli errori o omissioni in danno del contribuente possono, di contro, essere emendati non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, portando in compensazione il credito eventualmente risultante.

La predetta distinzione circa l’oggetto delle dichiarazioni integrative di cui ai commi 8 e 8-bis rispettivamente in malam o in bonam partem porta ad escludere che il disposto di cui al comma 8-bis si ponga in rapporto di species ad genus rispetto al comma 8, così consentendo al contribuente di correggere gli errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, entro il più ampio termine di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Il diverso campo applicativo delle norme in materia di accertamento (D.P.R. n. 600/1973, D.P.R. 322/1998) rispetto a quelle relative alla riscossione (D.P.R. 602/1973) comporta la necessaria distinzione tra la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8-bis e il diritto al rimborso di cui all’art. 38 del D.P.R. 602/1973.

D’altra parte l’introduzione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8-bis, non è stata accompagnata da alcuna modifica dello specifico regime dei rimborsi e la stessa lettera della norma non è per nulla incompatibile con l’autonomia del suddetto regime. L’ultimo periodo del comma 8-bis, nell’affermare che “L’eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 11, evidenzia la specificità funzionale della dichiarazione integrativa confortando, nel contempo, l’esclusiva incidenza su di essa e sui relativi effetti del termine di decadenza per essa predisposto.

Ne consegue che ove il contribuente opti per la presentazione della istanza di rimborso di cui all’art. 38 cit., verrà introdotto un autonomo procedimento amministrativo (in cui la istanza di parte costituisce l’atto di impulso della fase iniziale) del tutto distinto dalla attività di controllo automatizzato formale ed in rettifica originato dalla mera presentazione della dichiarazione fiscale.

La natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza, il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., il disposto dell’art. 10 dello Statuto del contribuente secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede nonché il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, comportano poi l’inapplicabilità in tale sede, delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa.

Oggetto del contenzioso giurisdizionale è infatti l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente.

E’ agevole rilevare che, in tal caso, non si vede in tema di “dichiarazione integrativa” ex art. 2 cit., o di richiesta di rimborso ex art. 38 cit., onde non può escludersi, sulla base dei suesposti principi, il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 13378/2016, hanno condiviso l’orientamento espresso dalla Quinta sezione della stessa Corte di Cassazione laddove ha riconosciuto la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine di cui all’art. 2 cit. (v. Ord. n. 21740 del 26/10/2015; Sent. n. 26198/2014; Ord. n. 10775 del 25/5/2015, Ord. n. 3754 del 18/02/2014; Sent. n. 2226 del 31/01/2011).

Alla luce di quanto sopra esposto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la citata sentenza, hanno affermato i seguenti principi di diritto.

La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8-bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante.

La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Il rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38 del D.P.R. 602/1973 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8-bis D.P.R. 322/1998.

Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall’art. 2 D.P.R. 322/1998 e dall’istanza di rimborso di cui all’art. 38 D.P.R. 602/1973, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria.

In conclusione, il contribuente deve tenere conto dei suddetti principi in caso di correzioni o rettifiche della propria dichiarazione dei redditi per evitare contestazioni con gli uffici fiscali, soprattutto per quanto riguarda il mancato rispetto dei termini.

Sentenza collegata

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Avv. Villani Maurizio

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