I vincoli unilaterali e bilaterali nella formazione del contratto, loro violazione e tipi di responsabilità

Indice:

  1. I vincoli di formazione del contratto: definizione di carattere generale
  2. Proposta ed accettazione, nelle sue nuove forme: strutture e conseguenze in caso di violazione
  3. L’opzione fra regole di validità e vincolo giuridico
  4. Il patto di prelazione: struttura e risarcibilità
  5. Il preliminare: effetti obbligatori, reali e risarcimento

I vincoli di formazione del contratto: definizione di carattere generale

Il contratto costituisce, all’interno del sistema civilistico, il principale strumento di circolazione della ricchezza. Attraverso il contratto, infatti, i diversi contraenti acquistano beni o diritti altrui. L’art. 41 Cost. stabilisce che ogni soggetto possiede un’ampia libertà di autonomia contrattuale e negoziale, che gli consente di determinare liberamente il contenuto degli atti negoziali nonché, entro limiti più ristretti, gli effetti dell’atto di autonomia divisato dalle parti.

Rimane fermo, tuttavia, il rispetto di taluni principi di carattere inderogabile posti a tutela di beni ed interessi primari. La violazione di determinati beni di valore supremo è di solito punita da parte del legislatore con la nullità dei contratti che ledono questi interessi.

Ebbene, l’art.1322 c.c. stabilisce che l’iniziativa economica privata è tout court libera, e può muoversi liberamente se il contratto che le parti vogliono creare non corrisponde a nessuno di quelli tipici che l’ordinamento già disciplina. In caso di atti tipici, invece, le parti non possono che modellare il contenuto contrattuale entro il tipo legale di riferimento.

Questa libertà nondimeno è limitata. La medesima Costituzione prevede infatti che in taluni casi le parti sono costrette a rispettare taluni vincoli che comprimono l’efficacia del contratto. In particolare, alcuni di questi vincoli sono di origine legale, con ciò volendo riferirsi a tutti quegli atti di origine comunitaria, regolamentare o normativa che impongono alle parti contraenti di salvaguardare certuni diritti collettivi o fondamentali posti a tutela della persona.

Inoltre, possono essere apposti al contratto altri vincoli, di origine convenzionale o pattizia, che le stesse parti stabiliscono in via preventiva al fine di perseguire altri beni ed interessi fondamentali.

La meritevolezza di cui all’art.1322 c.c., quale limite intrinseco al sindacato giudiziale esplicabile sugli atti che sono espressione di autonomia negoziale, ammette dunque la liceità di questi vincoli purchè essi abbiano una causa che persegue finalità degne di particolare protezione. Per questa via, il contratto rappresenta la massima espressione della libertà personale in quanto permette ad ogni contraente di decidere nel modo che ritiene per lui più conveniente quali beni alienare e dismettere, per acquisirne altri che meglio soddisfino un suo interesse.

Nel fare ciò, il legislatore stabilisce che costui tenga un contegno ispirato, sin dalla fase pre-contrattuale, ai principi di buona fede e correttezza, disciplinata dagli arti. 1337-1338 c.c.

In origine si riteneva che la buona fede fosse soltanto una regola di comportamento estranea al contenuto contrattuale, per cui essa non era vincolante per i paciscenti e dava la stura ad una semplice responsabilità extracontrattuale.

Nell’evoluzione degli studi e della prassi moderna, invece, si è affermato che l’art.1337 c.c. è divenuto attuazione degli art.2 e 13 Cost., per cui la buona fede costituisce una regola di validità genetica del contratto stipulato.

In sostanza, il legislatore vuole che ogni contraente tuteli l’affidamento dell’altro in relazione a beni e diritti negoziati, specie se certi beni devono possedere una serie di caratteristiche funzionali, la cui mancanza frustra la stessa funzione del contratto.

A titolo esemplificativo, possono menzionarsi gli obblighi d’informazione, di custodia o di trasparenza che gravano su taluni soggetti, specie se costoro sono qualificati o dotati di particolari cognizioni tecniche.

Proposta ed accettazione, nelle sue nuove forme: strutture e conseguenze in caso di violazione

Per il resto delle regole di formazione del contratto, invece, ogni individuo può perseguire un proprio interesse personale ed egoistico che non deve mai tradursi in abuso in danno della controparte.

Il contratto, dunque, si crea tramite un procedimento di formazione che gli arti. 1327 ss. cc. individuano nello scambio fra una proposta ed un’accettazione.

La prima consiste in un atto pre-negoziale mediante il quale l’un contraente manifesta la propria volontà di stipulare il contratto. L’accettazione, invece, costituisce l’adesione dell’altro alla proposta. Se l’accettazione riproduce gli stessi elementi essenziali della proposta, il contratto è concluso; altrimenti l’accettazione equivale ad una nuova proposta.

Orbene, in materia civilistica vigono i principi dell’autoresponsabilità e dell’affidamento, secondo cui il proponente si impegna, entro i limiti della sua dichiarazione e dell’affidamento altrui, al contenuto della proposta pre-contrattuale.

Risulta chiaro che sin quando il contratto non è concluso entrambi i contraenti possono revocare i loro atti unilaterali non essendo sorto quel vinculum iuris che l’art.1372 c.c. stabilisce quali limiti al potere di “ritrattazione”.

Da ciò ne deriva che il proponente potrebbe privarsi, a titolo oneroso o gratuito, del suo potere di revoca stabilendo che la proposta si ritiene ab initio irrevocabile, sin dall’atto della sua esternazione.

Per cui la proposta irrevocabile, anche detta “a fermo”, è disciplinata dall’art. 1329 c.c. Essa persegue un interesse meritevole di tutela se il proponente vuole monetizzare la sua irrevocabilità, stabilendo del caso un corrispettivo in cambio dell’impegno da parte sua a non modificare il contenuto negoziale.

Per la medesima via, è indubbio che l’art.1329 c.c. tutela il principio di certezza e conservazione degli atti giuridici, specie se si considera che l’accettante può avere un tempo più ampio per valutare la convenienza di una proposta altrui (id est spatium deliberandi, posto ad esempio alla base del contratto preliminare).

A ciò si aggiunga che la proposta irrevocabile potrebbe rafforzare l’affidamento che ambo le parti nutrono in relazione alla volontà di concludere un affare.

Il legislatore, infatti, si preoccupa di stabilire che il patto di irrevocabilità sia limitato entro un ragionevole limite di tempo. In sostanza, l’art.1329 c.c. vuole evitare che la proposta irrevocabile si traduca in una permanente immobilizzazione di beni e diritti di cui ognuno deve poter disporre liberamente, specie se si pensa che dopo un certo periodo di tempo la proposta irrevocabile può divenire non più conveniente nemmeno per colui che si è privato del potere di revoca. Allo stesso modo, il bene che il proponente aveva di fatto già alienato potrebbe riacquistare per lui un interesse diverso rispetto al corrispettivo ricevuto con la proposta ferma.

In tal caso si vuole evitare la perpetuità di un vincolo giuridico obbligatorio.

In giurisprudenza, invece, si è affrontato il problema delle conseguenze da riconnettersi alla violazione del patto di irrevocabilità.

Secondo alcuni si tratta di atti pre-negoziali: il proponente rimane libero di cedere a terzi un suo bene, fermo restando un’eventuale responsabilità precontrattuale nei confronti dell’accettante in caso di dolo o colpa e nei ristretti limiti del cd. interesse negativo.

Per contro, si sostiene che il patto di irrevocabilità costituisce già un normale contratto a prestazioni corrispettive per cui il proponente è responsabile, ex art.1176 – 1218 c.c., del danno emergente e del lucro cessante subiti dall’accettante nelle more della proposta rimasta ferma. Da ciò ne deriva un diverso regime della prova liberatoria rispetto alla responsabilità extracontrattuale, in cui viene collocata quella precontrattuale.

In aggiunta si sostiene che l’accettante subisce un danno nell’affidamento riposto da colui in relazione al tempo di fermo, per cui si violano i principi di auto responsabilità di cui all’art. 2 Cost., indi va risarcito l’interesse positivo anche se si versa nella fase delle trattative.

Queste ultime infatti possono far riferimento a patti con cui in maniera vincolante e definitiva già sono pattuiti tutti gli estremi essenziali del contratto da concludere, per cui si versa in una fase avanzata nel procedimento di formazione del contratto.

La proposta irrevocabile però non comporta che l’accettazione equivale alla conclusione del contratto. Tale ipotesi è propria della sola opzione contrattuale, disciplinata dall’art.1331 c.c.

L’opzione fra regole di validità e vincolo giuridico

Per quanto concerne l’opzione, essa consiste nell’impegno di un paciscente a mantenere ferma la sua dichiarazione, cui corrisponde un diritto dell’altro contraente di incidere in via unilaterale nella sfera giuridica dell’opzionante. Si tratta, a bene vedere, di un diritto potestativo con cui l’opzionario può decidere in un congruo lasso temporale di concludere il contratto. L’opzionante si trova in una situazione di mera soggezione. Quest’ultimo non può alienare liberamente il diritto opzionato, in quanto ciò si tradurrebbe in una violazione del proprio impegno a mantenere ferma la proposta che, di fatto, si concreta in un vincolo reale sul bene opzionato.

Si discute, a tal proposito, se l’opzione può essere equiparata ad un preliminare unilaterale, di modo che essa possa trascriversi con gli effetti previsti dall’art.2645 c.c. In linea di massima si ammette la soluzione positiva, per cui l’opzionario può recuperare il bene anche nei casi di alienazione a terzi.

Sul fronte risarcitorio, invece, si dovrebbe ammettere la risarcibilità del danno contrattuale subito dall’accettante in seguito alla violazione dell’impegno a mantenere ferma la sua dichiarazione.

A ciò si aggiunga che si rinviene la trasgressione del divieto di venire contra factum proprium, lesivo dell’affidamento che l’opzionario ha acquisito in virtù del tempo di irrecedibilità dell’opzione.

In questo caso la giurisprudenza rinviene la violazione del contatto sociale qualificato che un contraente subisce in relazione all’art.1331 c.c.

Si tratterebbe di obblighi di protezione, accessori rispetto alla prestazione contrattuale con cui il singolo si è impegnato a mantenere integra la ragione dell’altra parte, lungo tutto il tempo necessario a concludere il contratto fra le parti. Dunque, il contatto sociale segue le regole della responsabilità contrattuale, tale per cui l’opzionario gode di un regime più favorevole in termini di tempo di prescrizione del diritto, onere di allegazione e quantum risarcibile.

Sin qui, pertanto, si sono analizzati quei vincoli unilaterali preparatori alla conclusione del contratto.

Ciò non toglie che durante l’iter formativo negoziale le parti possano assumere altri tipi di impegno, più o meno vincolanti, con cui però non esprimono ancora in via definitiva la loro intenzione alla stipulazione. Si pensi al contratto normativo, con cui le parti pattuiscono in via preliminare e generale il contenuto di una serie indefinita di futuri contratti che le parti dovranno inserire. In tale eventualità, l’obbligo sussiste solo se e quando i contraenti matureranno un’intesa contrattuale vincolante.

Viceversa, può darsi che uno dei due paciscenti si impegni in via preliminare a scegliere un determinato soggetto, solo se e quando costui deciderà di dismettere un suo bene.

Il patto di prelazione: struttura e risarcibilità

Il codice non contiene per la prelazione una disciplina positiva del vincolo alla preferenza, per cui viene lasciato agli interpreti il compito di individuare il grado della sua vincolatività. Spesso si fa riferimento al patto di riscatto, previsto dall’art.1500 c.c.

Ebbene, la prelazione costituisce quel contratto consensuale ed obbligatorio con cui un soggetto si impegna a preferire un certo contraente allorchè costui decide di vendere un bene o un suo diritto. Gli elementi costitutivi della preferenza sono dati dalla parità di condizioni e dalla denuntiatio.

Quest’ultimo requisito, in particolare, costituisce la dichiarazione con cui il prelazionante manifesta all’esterno la volontà di vendere e le condizioni del futuro contratto fra lui, il terzo e/o il prelazionario.

Nell’ipotesi in cui quest’ultimo soggetto non esercita il suo diritto potestativo, il prelazionante rimane libero di concludere il contratto con i terzi.

Da ciò ne deriva che la denuntiatio costituisce la vera e propria proposta contrattuale, ovvero una invitatio ad offerendum cui deve seguire un atto con cui il prelazionario manifesta l’accettazione del bene prelazionato.

Si è detto che la prelazione non comporta un obbligo a contrarre, che potrebbe scaturire soltanto da un preliminare; bensì comporta una mera obbligazione a contrattare con il soggetto preferito. Il prelazionante potrebbe stipulare direttamente con i terzi un dato contratto, per cui era previsto il patto di preferenza. In questo caso si discute se il prelazionario possa rivolgersi direttamente verso l’acquirente, al fine di recuperare il bene previsto dalla prelazione. Può precisarsi che se la prelazione ha natura legale, essendo opponibile erga omnes, il prelazionario può riscattare il bene presso qualsiasi avente causa dal prelazionante.

In caso contrario, il contratto di vendita con il terzo rimane valido, e residuerà a favore del prelazionario una semplice responsabilità contrattuale.

Si ammette infatti che il diritto di riscatto ha efficacia obbligatoria inter partes, non essendo opponibile ai terzi, per cui nel frattempo costoro vedono salvaguardato il contratto concluso con il prelazionante.

Quest’ultimo, a sua volta, è responsabile del mero danno contrattuale che ha cagionato al prelazionario in violazione del patto di prelazione.

Secondo alcuni, si tratterebbe di una mera obbligazione di mezzi, per cui addirittura si ammette il solo indennizzo da atto lecito.

Per contro, ammettendo che il prelazionante si sia obbligato ad un facere specifico, vi sarà una responsabilità risarcitoria derivante dalla violazione di un obbligo di risultato.

A ciò si aggiunga che la violazione della prelazione lede il principio di affidamento ex art.2 Cost., di modo che ne segua una responsabilità pre-contrattuale.

Il preliminare: effetti obbligatori, reali e risarcimento

A differenza della prelazione, il contratto preliminare costituisce quel patto tramite il quale le parti assumono un obbligo simile a quello del contratto definitivo di addivenire al vinculum iuris. Secondo l’esperienza soprattutto immobiliare il preliminare è dotato di una causa propria rispetto a cui il contratto definitivo è un mero atto dovuto.

In più si sostiene che questo tipo di contratto serve ai due contraenti per riflettere sulla convenienza economica dell’affare, nonché per gestire i rischi di sopravvenienze che potrebbero verificarsi nelle more di stipulazione della sequenza fra il preliminare ed il definitivo.

I vincoli ad contrahendum che il contratto preliminare può produrre possono essere di tipo unilaterale bilaterale, a seconda che l’impegno pre-obbligatorio sia assunto da una o da ambo le parti del futuro contratto definitivo.

Inoltre si consideri che il vincolo in esame gode di un’efficacia di tipo prenotativo, ai sensi dell’art.2645 bis c.c. Questa disposizione non attribuisce al preliminare un’efficacia reale maggiore di quella che ha il contratto conclusivo. Più limitatamente, viene solo attribuito al vincolo un’opponibilità ai terzi che può valersi se il definitivo è trascritto entro i termini per esso previsti dalla legge. Nel caso di inadempimento dell’obbligo di stipulazione, l’art.2932 c.c. consente al contraente fedele di esperire l’azione di esecuzione in forma specifica, in quanto il preliminare vincola le parti in maniera fungibile, ammettendosi l’intervento sostitutivo del giudice.

Questa azione non può esperirsi se il preliminare non adempiuto aveva una fattispecie ancora priva di un qualche elemento essenziale, ovvero esso si riferiva a beni immobili per i quali si presume l’obbligo di consegna. In aggiunta, o in alternativa, all’esecuzione in forma specifica la legge ammette il ricorso ad una tutela per equivalente, ai sensi degli art. 1218-1256 c.c. Trattandosi di un obbligo di tipo contrattuale non occorre la prova dell’elemento soggettivo o dell’imputabilità che è presunta in capo alla parte inadempiente sino a prova contraria.

Detto ciò, è chiaro che il preliminare costituisce un modello generale di contrattazione oramai invalso nelle prassi negoziali, che l’art.1322 c.c. permette di utilizzare anche in tutti gli schemi tipici e nei casi in cui le parti intendano frazionare l’iter di conclusione previsto in via astratta dalla legge per i diversi tipi di riferimento.

Ciò vale per i contratti reali, anche se una parte della dottrina nega una tale meritevolezza; nonché in relazione a tutti i contratti basati sul principio consensualistico di cui all’art.1376 c.c.

Sulla base di queste considerazioni il codice vigente disciplina le cd. vendite obbligatorie, in cui le parti si impegnano a vendere e ad acquistare cose altrui o cose future subordinatamente a taluni fatti che devono verificarsi per rendere attuale il vincolo negoziale.

Gli art. 1376-1478 c.c., ad esempio, prevedono che il venditore può impegnarsi con il compratore ad acquistare o alienare cose che in quel preciso istante non sono ancora presenti nel patrimonio del disponente. Ebbene, questi vincoli non producono direttamente effetti giuridici nella sfera altrui, in quanto il contratto ha un effetto limitato alle parti e non vincola i terzi, salvo che non si versi in uno dei casi previsti dall’art.1372 c.c., co.2.

Si discute pertanto circa i rimedi che può esperire il compratore nel caso in cui il venditore non abbia ottemperato il suo obbligo di consegna o di far acquistare la cosa altrui al compratore. Se costui ignorava che la cosa fosse altrui al momento della stipula del contratto obbligatorio può chiedere la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo ed il risarcimento del danno subito in conseguenza dell’inadempimento del venditore.

Nel caso di inadempimento del mero obbligo di ritrasferimento, invece, si ritiene che il compratore è già proprietario del bene che il venditore ha acquistato da un terzo. Pertanto, possono essere esperiti i rimedi previsti dagli art. 2930-2932 c.c., in analogia alle norme che in tema di mandato riconoscono al mandante il diritto di proprietà sulle cose acquistate dal mandatario in suo nome.

Inoltre, può ammettersi una responsabilità di tipo contrattuale per la violazione dell’obbligo di cui all’art.1476 co.1 n.2 c.c.

Secondo alcuni autori tuttavia il vincolo assunto dal venditore può non essere così pregnante da essere qualificato come obbligo di risultato. Al più, si sostiene, può pretendersi la corresponsione di un indennizzo qualora il venditore provi di aver usato tutta la diligenza necessaria a far si che il terzo stipulasse direttamente il vincolo contrattuale con il compratore. In tali casi in definitiva si tratta pur sempre di considerare che si tratta di una vendita obbligatoria, per cui l’alienante rimane libero di concludere con i terzi un contratto avente ad oggetto il medesimo bene promesso in vendita. Si ritiene che il principio consensualistico investe l’acquirente della proprietà del bene, anche se non vi è ancora stato l’obbligo di consegna. Se l’alienante vende lo stesso bene, consegnandolo ai terzi, e questi trascrivono il loro acquisto prima del contratto concluso con l’acquirente, a quest’ultimo non rimane che esperire le azioni funzionali a garantirgli una mera tutela per equivalente.

Il primo trascrivente rende intangibile il proprio atto di acquisto ex art.2644 c.c., ed in tal modo il compratore può rivolgersi al solo venditore al fine di ottenere il risarcimento del danno.

Secondo alcuni la responsabilità è di tipo contrattuale verso l’alienante ed extracontrattuale verso il terzo acquirente del bene promesso in vendita.

Secondo altri, invece, l’acquirente può anche esperire l’azione di evizione in quanto il venditore non ha collaborato per far acquistare al compratore il possesso materiale del bene già venduto.

La trascrizione non presume nemmeno la buona fede del terzo, per cui può darsi che sia stato quest’ultimo ad indurre il venditore a violare il contratto che era stato stipulato per primo. In questo caso, come sostiene la giurisprudenza, si evince una responsabilità da atto lecito (id est-tutela aquiliana del contratto).

In breve, le regole della responsabilità extracontrattuale non tolgono che sia favorito l’acquirente evitto. Costui, se in buona fede, gode di un’attenuazione degli oneri previsti dall’art.2043 c.c., sulla base della vicinanza della prova e della persistenza del diritto di credito in capo all’acquirente.

Le presunzioni che ne conseguono sono proprie della responsabilità di tipo contrattuale.

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Dott. Mario Sessa

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