Le forze di Polizia italiane, nell’esercizio delle funzioni d’istituto, pongono in essere le necessarie attività d’identificazione delle persone fisiche, attività che possiamo tradurre nella verifica dell’effettiva corrispondenza tra la persona e i dati da essa forniti. Per un approfondimento su queste procedure, consigliamo il volume “Vademecum per l’Operatore di Polizia”
Indice
- 1. L’identificazione: definizione, documenti d’identità e di riconoscimento
- 2. L’identificazione di Polizia di Sicurezza
- 3. L’identificazione di Polizia Giudiziaria
- 4. L’identificazione di Polizia Amministrativa
- 5. L’identificazione degli stranieri
- 6. I reati concernenti l’identificazione nelle attività di controllo delle Forze di Polizia
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- Note
1. L’identificazione: definizione, documenti d’identità e di riconoscimento
Il documento per eccellenza che consente l’identificazione è, indubbiamente, quello d’identità. A tal proposito, tra i servizi di interesse nazionale conferiti agli enti locali, vi è quello anagrafico, che mette a disposizione il proprio ufficio ai fini del rilascio del documento d’identità. [1] Tuttavia, altre strutture della Repubblica, abilitate dal nostro ordinamento, in linea con la vigente normativa, rilasciano i seguenti documenti di riconoscimento, equipollenti al documento d’identità: “passaporto, patente di guida, patente nautica, libretto di pensione, patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, porto d’armi, tessere di riconoscimento, purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate da un’amministrazione dello Stato”.[2]
Ad ogni modo, anche sulla scorta di quanto previsto dal combinato disposto degli articoli 4 del R.D. n.773/1931 (T.U.L.P.S.) e dall’art. 294 del R.D. n. 635/1940 (Reg. Es. T.U.L.P.S.), i cittadini italiani,[3] salvo non sia espressamente disposto dall’Autorità di Pubblica Sicurezza, non hanno l’obbligo di avere il documento d’identità al seguito.
La Polizia, pertanto, in siffatto scenario, fermo l’impianto normativo esistente, dovrà avvalersi degli strumenti operativi che rendono possibile l’identificazione. Per un approfondimento su queste procedure, consigliamo il volume “Vademecum per l’Operatore di Polizia”
Vademecum per l’Operatore di Polizia
Lo scopo del libro è quello di fornire all’operatore di polizia, a qualunque organo appartenga, un “vademecum”, ossia un testo agile dove sono riuniti numerosi casi che appartengono al lavoro quotidiano, affrontati con un taglio diverso dai classici prontuari.Casi accomunati dal fatto che l’operatore di polizia, se non padroneggia bene la procedura operativa e se non adotta determinati accorgimenti, può vedersi addossa- te responsabilità di vario tipo, penali, civili, amministrative, con esiti anche gravi a proprio carico. Gli oltre 30 casi pratici analizzati nel volume sono così strutturati:• il quadro normativo di riferimento;• la procedura operativa;• gli accorgimenti da seguire;• i rischi e le tutele. L’opera, pertanto, rappresenta un utilissimo strumento di lavoro che guida, supporta, fornisce consigli e che può servire ad evitare conseguenze negative, tenuto conto che casi pur semplici di per sé, dal punto di vista del quadro normativo e delle attività formali, possono però degenerare in situazioni complesse da gestire. Una sezione dell’opera, infine, è appositamente dedicata ai rischi dell’operatore di polizia, ai reati dei quali può essere accusato, al procedimento disciplinare e alle possibili tutele. Sergio BedessiGià comandante di Polizia Locale in varie città italiane, Presidente del Centro Documentazione Sicurezza Urbana e Polizia Locale (CEDUS), autore di libri e articoli in materia di sicurezza e polizia locale, docente in corsi di formazione anche universitari
Sergio Bedessi | Maggioli Editore 2023
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2. L’identificazione di Polizia di Sicurezza
La disamina dell’identificazione da parte della Polizia di Sicurezza impone, a chi scrive, di sciorinare il concetto di Polizia di Sicurezza. Quest’ultima, invero, basandoci sulla vulgata corrente degli autori della materia,[4] deve essere considerata una branca della Polizia Amministrativa investita di compiti volti a garantire “la preservazione dell’ordine pubblico, la sicurezza personale dei singoli componenti del corpo sociale, la loro incolumità, nonché l’integrità dei diritti patrimoniali”. La Polizia di Sicurezza dipende funzionalmente dal Questore, quale Autorità provinciale di Pubblica Sicurezza.[5]
Ciò premesso, agenti e ufficiali di Polizia, nell’esercizio delle funzioni di Pubblica Sicurezza, possono richiedere di esibire la carta d’identità o i titoli equipollenti. Il rifiuto di esibire il documento d’identità, o titolo equipollente, configura l’applicabilità dell’art. 221 del Regolamento di Esecuzione del T.U.L.P.S, in relazione all’art. 294 del citato Regolamento.[6]
Nella prassi operativa, quindi, in dispetto delle procedure consolidate in taluni contesti operativi, è consigliabile, ai fini dell’identificazione, procedere, preliminarmente, alla richiesta del documento d’identità, o titolo equipollente e, in subordine, alla domanda delle generalità, giacché il rifiuto di dichiarare le generalità, ascrivibile alla rubrica dell’articolo 651 del codice penale, è una fattispecie che concorre con il summenzionato art. 294 del Regolamento di Esecuzione del T.U.L.P.S..[7] In tal senso, la Cassazione ha confermato che: “Il rifiuto di consegnare un documento di riconoscimento integra – ricorrendone le altre condizioni richieste dalla legge (persone pericolose o sospette) – gli estremi del reato di cui agli artt. 4 del T.U. della legge di P.S. (R.D. n. 773 del 1931) e 294 del relativo regolamento (R.D. n. 635 del 1940) e non già quello previsto dall’art. 651 cod. pen., trattandosi di reati aventi diverso elemento materiale e diversa obiettività giuridica. Ne consegue che qualora la persona si rifiuti di dare indicazioni sulla propria identità personale e di esibire un documento di riconoscimento, si avrà concorso materiale della contravvenzione di cui all’art. 651 cod. pen. con quella preveduta dalla legge di pubblica sicurezza”.[8]
Infine, è doveroso evidenziare le norme che consentono agli operatori di Polizia, rectius alle forze di Polizia preposte all’ordine e alla sicurezza pubblica, l’identificazione.
Pare il caso, per una questione meramente cronologica, passare in rassegna l’articolo 4 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, il quale consente all’Autorità di Pubblica Sicurezza “di ordinare che le persone pericolose o sospette e coloro che non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identità siano sottoposti a rilievi segnaletici”. In punto, la norma non richiede l’informativa al Pubblico Ministero circa la data e l’ora dell’accompagnamento. Dunque, si ritiene che la norma facoltizzi, in capo alla Polizia procedente, la possibilità di sottoporre a rilievi fotosegnaletici tutte le persone pericolose o sospette. Tra esse, in riferimento alle persone pericolose, possiamo individuare i pericolosi sociali, gli oziosi ed i vagabondi abituali, i mendicanti, gli intossicati, i malati di mente. Di contro, le persone sospette, appaiono quelle che, “con la loro condotta, diano luogo a giudizio sfavorevole circa la regolarità della loro vita di relazione, in particolare coloro che fuori del loro Comune, destando sospetti con la loro condotta, si rifiutano o non possono dare contezza di sé, alla richiesta di Ufficiali ed Agenti di P.S., mediante l’esibizione di una carta d’identità o documento equipollente”.
A seguire, nel 1978, con il D.L. n. 59, convertito con la legge n. 191/1978, il legislatore ha introdotto una procedura, comunemente definita “fermo di Polizia”, per mezzo della quale è possibile accompagnare presso gli uffici chiunque, a richiesta di agenti e ufficiali di Polizia, rifiuti di dichiarare le proprie generalità. Inoltre, è possibile accompagnare presso gli uffici, per le medesime finalità d’identificazione, la persona nei confronti della quale ricorrono sufficienti indizi per ritenere la falsità delle dichiarazioni sulla propria identità personale o dei documenti d’identità da essa esibiti.
In tutti i casi, la Polizia, che può trattenere per non oltre 24 ore “il fermato”, dovrà rendere edotto il Procuratore della Repubblica dell’ora dell’accompagnamento. Dovrà, altresì, informare la suindicata Autorità dell’ora del rilascio della persona. In guisa di controllo di legittimità delle operazioni di Polizia, la magistratura inquirente potrà sempre disporre il rilascio della persona accompagnata là dove non ricorrano le condizioni di legge.
Da ultimo, in chiave definitoria ed esaustiva dell’argomento di cui trattasi, è bene rappresentare che, allorquando non si palesino le summenzionate ipotesi, il soggetto, privo di documenti, non reticente, che si mostra disponibile a riferire le generalità, obbligherà la Polizia a procedere con misure di controllo alternative tra le quali, senza pretesa di esaustività, possiamo enunciare il controllo in banca dati dalla motorizzazione civile. Ancora. Le forze dell’ordine statali potranno comparare la persona fisica, ai dati da essa dichiarati, mediante il sistema d’indagine SDI-CED.[9]
Infine, è opportuno significare che nell’accezione di Forza di Polizia, deve essere annoverata la Polizia Locale, giacché essa concorre alla funzione di ordine e sicurezza Pubblica, ancorché in via strumentale ed ausiliaria.[12]
3. L’identificazione di Polizia Giudiziaria
La Polizia Giudiziaria, succede al concetto di Polizia di Sicurezza, poiché essa svolge compiti di natura repressiva. La stessa, pertanto, in estrema sintesi, assolve alle funzioni di informazione, investigazione e repressione dei reati.
È lapalissiano, orbene, che la Polizia Giudiziaria, funzionalmente dipendente dall’Autorità Giudiziaria, ha, nell’esercizio prodromico delle proprie mansioni, l’incombenza di identificare le persone. La norma cardine, in materia, è l’articolo 349 del codice di procedura penale, sovente modificato dalle novelle legislative, da ultimo rivisitato dal d.lgs. n. 150/2022 (c.d. Riforma Cartabia).
La Polizia Giudiziaria, quindi, procede alla identificazione di due tipologie di persone: l’indagato, altrimenti detto persona sottoposta alle indagini o reo e la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini della ricostruzione del fatto (il testimone).
Sempre la Polizia Giudiziaria, ove occorra, può sottoporre a rilievi fotosegnaletici, non il teste, ma l’indagato. Rappresenta condizione necessaria ai fini dell’identificazione a mezzo fotosegnalamento, ad esempio, l’assenza di un valido documento di riconoscimento. Di contro, la Polizia Giudiziaria è obbligata a procedere a fotosegnalamento tutte le volte che identifica un indagato apolide, una persona della quale è ignota la cittadinanza, un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea ovvero di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea privo del codice fiscale o che è attualmente, o è stato in passato, titolare anche della cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione europea. In tutte le succitate ipotesi, i gabinetti scientifici delle forze dell’ordine, forniscono un codice univoco identificativo, alternativo al codice fiscale generato dall’agenzia delle entrate, che contrassegnerà il reo, per tutta la sua vita, all’interno della macchina giudiziaria.
È doveroso sfatare un mito, ormai prevalente, specie nei ranghi della Polizia Locale. Il fotosegnalamento della persona indagata, qualora quest’ultima non opponga rifiuto, in linea con una corretta esegesi dei commi 1 e 2 dell’art. 349 del codice di rito, non deve essere comunicato al Procuratore della Repubblica. La Corte Costituzionale conforta la poc’anzi illustrata interpretazione, giacché ha statuito che i rilievi segnaletici, dattiloscopici e fotografici sono da considerare atti coercitivi di scarsa incidenza che non rientrano nella sfera protetta dall’art. 13 della Costituzione. Detti rilievi, quindi, sono sottratti alla riserva di giurisdizione.[13]
Di converso, solo ove la persona sottoposta alle indagini si rifiuti di farsi identificare ovvero fornisca generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la polizia giudiziaria, accompagnando la stessa presso i propri uffici, informa il Procuratore della Repubblica, il quale, in analogia col fermo di Polizia, può ordinare l’immediato rilascio laddove non sussistano le condizioni legali. L’identificazione di Polizia Giudiziaria, previo avviso orale al Pubblico Ministero, può avere durata massima di 24 ore.
Le attività de qua andranno annotate secondo le modalità di cui al combinato disposto dell’art. 115 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e dell’articolo 357 del codice di procedura.
V’è da soggiungere, infine, che l’uso dei braccialetti di contenimento, secondo la consuetudine operativa, costituendo una limitazione della libertà personale, nella misura in cui si concretizzi un accompagnamento per identificazione,[14] andrà operato, in un’ottica di prevenzione delle conseguenze perniciose, nella contingente necessità di salvaguardare la sicurezza degli operatori qualora il reo, concretamente, per mezzo della sua condotta, di natura aggressiva o facinorosa, ponga in serio pericolo l’incolumità degli operanti.
4. L’identificazione di Polizia Amministrativa
Una ulteriore forma d’identificazione è quella che si evince, in quanto la norma non la prevede testualmente, dall’articolo 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche al sistema penale). Di fatti, tutti coloro che si trovano, per le più disparate ragioni, a svolgere servizi di Polizia Amministrativa,[15] onde garantire l’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, avvertono l’imprescindibile necessità di procedere ad identificazione. È condicio sine qua non che gli atti di accertamento e notificazione, ivi annoverati nel disposto degli articoli 13 e 14 della citata legge di depenalizzazione, richiedano una preventiva identificazione dei soggetti interessati.
In ogni caso, gli istituti giuridici offerti dal legislatore per l’identificazione, anche con modalità coattiva, non possono essere utilizzati dalla Polizia Amministrativa priva di funzioni di Polizia di Sicurezza e di Polizia Giudiziaria. Per siffatte ipotesi, gli organi accertatori che insistono nella Polizia Amministra dovranno, al fine di adempiere ai compiti istituzionalmente previsti, giovare dell’intervento degli appartenenti alle Forze dell’ordine.
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5. L’identificazione degli stranieri
Gli stranieri, ovvero i cittadini non appartenenti agli stati dell’Unione Europea e gli apolidi, in idiosincrasia rispetto a quanto sopra passato in lettura, debbono avere il documento d’identità e il titolo di soggiorno al seguito. Quanto dianzi asserito, è segnatamente rinvenibile nel cosiddetto Testo Unico sull’immigrazione, il d.lgs. n. 286/1998, secondo il quale: “Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è punito con l’arresto fino ad un anno o e con l’ammenda fino ad euro 2.000”.[16]
Nel caso di indisponibilità del documento di identità e del titolo di soggiorno dello straniero, si applicheranno le norme sopra richiamate che, come già descritto con profusione di dettagli, ammettono l’accompagnamento presso gli uffici di Polizia per l’identificazione mediante i rilievi fotografici, segnaletici ed antropometrici.
La Suprema Corte, in tema di identificazione di stranieri, ha statuito che il cittadino straniero, benché in possesso di regolare documento d’identità e permesso di soggiorno, non è giustificato ove dimentichi quest’ultimi presso il proprio domicilio.[17] Singolare, infine, e non condivisibile a parere di chi scrive, risulta essere la pronuncia di uno dei giudici di merito, che ha ritenuto di ricondurre la fattispecie di una donna, che non aveva esibito i documenti, sotto l’usbergo del giustificato motivo dell’articolo 6 del Testo Unico sull’immigrazione. [18]
6. I reati concernenti l’identificazione nelle attività di controllo delle Forze di Polizia
In tema di reati concernenti l’identificazione nelle attività di controllo delle Forze di Polizia possiamo annoverare, senza ombra di dubbio, gli articoli 494, 495,496,497 bis, 651 del codice penale.
Come accennato in introduzione, inoltre, sempre in materia di identificazione, rileva il reato di cui all’art. 221 del Regolamento di Esecuzione del T.U.L.P.S., che si pone in un rapporto di concorrenza, e non di specialità, rispetto alla fattispecie di cui all’art. 651 del codice penale.[19]
Procediamo con ordine. Il rifiuto di esibire il documento d’identità o di riconoscimento a richiesta di agenti e ufficiali di Pubblica Sicurezza il reato di cui all’art. 221 del Reg. Esec. del T.U.L.P.S.. Il reato in disamina, come appalesato con la sentenza della IV sezione penale n° 10378 del 14/07/89, concorre con quello di cui all’art. 651 del codice penale, purché la mancata esibizione dei documenti d’identità o di riconoscimento sia associata alle condizioni ivi consacrate all’art. 4 delle Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza.[20] Pur tuttavia, alcune pronunce del giudice di legittimità, conferiscono all’art. 294 del Regolamento di Esecuzione del T.U.L.P.S. autonoma portata sottraendolo, pertanto, al legame con il dettame di cui all’art. 4 del T.U.L.P.S..[21]
Sempre in tema di identificazione, circa l’obbligo di dichiarare le generalità, inteso come obbligo di fornire tutte le informazioni atte ad una completa identificazione, integra la contravvenzione ex art. 651 del codice penale, il semplice rifiuto di fornire al pubblico ufficiale indicazioni sulla propria identità personale ed è, pertanto, irrilevante, ai fini della configurazione dell’illecito, che tali indicazioni vengano fornite successivamente.[22]
Ancora. Il rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale – punito dall’art. 651 c.p. – va riferito non solo al nome e cognome ma a tutte le altre informazioni richieste per una completa identificazione, fra le quali, quindi, rientra anche il luogo di residenza.[23] In proposito, il rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali, che integra la condotta dell’omonima contravvenzione, non presuppone che il soggetto richiesto sia responsabile di un reato o di un illecito amministrativo.[24]
Ipotesi ricorrenti, altresì, sono quelle che, brevemente, vengono ora passate in rivista.
L’art. 494 del codice penale punisce “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici”.[25]
Gli articoli 495, 496 del codice penale puniscono “chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona, nonché chiunque, interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell’altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale o a persona incaricata di un pubblico servizio”. Secondo il giudice delle leggi il delitto di cui all’art. 496 del codice penale “si consuma nel momento in cui la falsa dichiarazione, resa su richiesta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, perviene a questi ultimi, per cui non ha rilevanza alcuna, ai fini della sussistenza del reato, l’eventuale ritrattazione successiva”. [26] La Suprema Corte, per quanto di interesse nella prassi operativa, ha ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 496 del codice penale in capo a colui il quale — fermato dai carabinieri ad un posto di controllo — fornisce false indicazioni sulla propria residenza, la quale rientra nel novero delle qualità e condizioni personali e, pertanto, concorre a individuare l’identità della persona.[27]
Infine, di grande importanza, è la lettura dell’art. 497 bis del diritto penale sostanziale, il quale impone, e non facoltizza, alla Polizia Giudiziaria, l’arresto obbligatorio nella flagranza di “chiunque è trovato in possesso di un documento falso valido per l’espatrio è punito con la reclusione da due a cinque anni”.
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Note
- [1]
Documento d’identità realizzato su tessera magnetica in materiale di Policarbonato.
- [2]
Art. 35 co. 2 Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445
- [3]
I cittadini stranieri, di contro, sono subordinati alla disciplina segnatamente rinvenibile nel Testo Unico sull’Immigrazione, il d.lgs. n. 286/1998, la quale impone ai succitati cittadini il possesso del documento di riconoscimento e del titolo di soggiorno
- [4]
Cfr. Concorsi vigile urbano. Agenti e ufficiali di polizia locale, municipale e provinciale. Manuale completo per concorsi e aggiornamento professionale
- [5]
Art. 14 legge 1 aprile 1981, n. 121, Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza.
- [6]
Il d.lgs. n. 480/1994 non ha depenalizzato la condotta in esame, orbene, non rinvenibile nella sanzione amministrativa di cui all’art. 221 bis del menzionato Regolamento, va perseguita con la pena dell’arresto fino a due mesi o con l’ammenda fino a lire duecentomila.
- [7]
Per generalità devono intendersi non solo il nome e cognome ma a tutte le altre informazioni richieste per una completa identificazione, fra le quali, quindi, rientra anche il luogo di residenza. Così Cass. pen. n. 5091/2012
- [8]
Cass. Pen., Sez. VI,14/07/89 n° 10378
- [9]
L’art. 16 della legge n. 121/1981 considera forze dell’ordine dello Stato la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e la Polizia Penitenziaria
- [10]
Art. 5 legge 7 marzo 1986, n. 65
- [11]
Sentenza Corte Costituzionale n. 30/1962
- [12]
Art. 349 co. 4 c.p.p.
- [13]
Es. Polizia tributaria, sanitaria, urbanistica, stradale, ambientale, demaniale, dei porti e della navigazione
- [14]
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito il principio secondo cui il reato di inottemperanza all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è configurabile esclusivamente nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato (Cass.Pen.Sezioni Unite n.1678 del 24.2.2011)
- [15]
Ex multis Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 601/2010; depositata il 11 gennaio 2010
- [16]
In particolare il Tribunale di Terni, con la sentenza del 18 aprile 2023, ha ritenuto giustificato il mancato possesso dei documenti, poiché quest’ultimi erano stati consegnati, in originale, presso la struttura protetta dove l’indagata era collocata in qualità di rifugiato politico.
- [17]
La ratio delle due norme non consente di applicare il criterio della specialità ex art. 15 del codice penale
- [18]
L’art. 4 del T.U.L.P.S. richiede che l’Autorità di P.S. imponga, alle persone pericolose o sospette, di munirsi del documento d’identità.
- [19]
Ex multis Cass. Pen.,Sez. VI, 28/03/17 n° 15488, Cass. Pen., Sez. I, 25/01/22 n° 8356
- [20]
Cass. pen. n. 9957/2015
- [21]
Cass. pen. n. 5091/2012
- [22]
Cass. pen. n. 18592/2011
- [23]
Non di rado, specie nelle attività di Polizia Stradale, alcuni cattivi utenti della strada forniscono generalità che appartengono, in verità, ad altri soggetti, integrando così il reato in parola
- [24]
Cass. pen. n. 23353/2022
- [25]
Cass. pen. n. 26073/2005
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