Si è svolto a Bologna lo scorso 13 dicembre,il II Convegno nazionale “Fare impresa per gli stranieri in Italia e la finanza islamica” che ha avuto la presenza di relatori di altissimo livello impegnati a discutere delle relazioni industriali e della economia di un Paese, l’Italia, in cui non ci si può non porre il problema degli immigrati e del loro inserimento nel mondo del lavoro.
Dopo l’introduzione del Presidente dell’Associazione,Avv. Mario Pavone,ed i saluti delle Aiuutorità presenti e delle Associazioni pèartners del Progetto ANIMI e che si occupano,in generale, dell’assistenza ai migranti la discussione è entrata subito nel vivo del tema della Conferenza che ha visto la partecipazione di un folto pubblico di specialisti del settore.
La Drssa Paola Cocozza,Presidente della ASFORM di Taranto,Ente di Formazione sorto in ambito pugliese ma ormai impegnato nella formazione su tutto il territorio nazionale, citando Jacquard: “La nostra ricchezza collettiva sta nella diversità”, ha messo in luce l’importanza fondamentale della conoscenza da parte dello straniero della cultura e della lingua italiana al fine di evitare la formazione di ghetti o di aree cittadine in cui si ritrovano solo etnie di immigrati poiché l’emarginazione sociale crea tendenze anti-sociali.
La conoscenza della lingua italiana costituisce,inoltre, lo strumento di prevenzione delle violenze in quanto mira alla integrazione sociale e alla immissione nel mondo del lavoro e, in ambito sanitario, alla tutela del diritto alla salute sancito nell’art. 32 della Costituzione.
“Conoscere la cultura italiana – ha spiegato la relatrice– significa avere la possibilità di inserirsi in un contesto sociale ed equivale a garantire quei servizi minimi quali l’accesso al permesso di soggiorno o cercare una casa in affitto,il che permette di affrontare la vita quotidiana e l’inserimento sociale degli stranieri”.
Il Prof. Vincenzo Musacchio, ordinario di diritto penale dell’U.E. presso l’Università del Molise, si è posto il problema di stabilire un collegamento fra etica ed impresa su una triplice dimen sione:
· Immateriale,costituita dal valore del lavoro umano in una società prima solo industria lizzata ora anche informatizzata;
· Relazionale, legata alla flessibilità e alla “internazionalizzazione” che richiedono di tra sformare il mondo delle imprese in rete globale;
· Sociale, intima realtà dell’impresa che si pone come risposta non individuale al bisogno di beni economici.
“Il capitale sociale – ha spiegato il Prof. Musacchio – ha carattere immateriale ed è sempre una ricchezza pubblica, anche quando a produrlo sono imprese a carattere privato”.
L’impresa e il profitto non sono sufficienti a dare ragione di se stessi, nemmeno dal punto di vista economico, ma devono tener conto degli elementi immateriali, relazionali e sociali, devono rispettare l’etica e l’umanità.
Sul piano dell’intervento in concreto,il Dr. Olindo Ionta, Ricercatore CS delle Migrazioni dell’Ani mi, ha sottoposto ai partecipanti alla Conferenza i risultati di una interessante analisi compiuta sul territorio romano.
“All’interno del processo produttivo,che va dalla scelta di divenire imprenditore fino al conseguimento di tale obiettivo – ha spiegato il ricercatore – gli spazi compresi all’interno della sfera concreta di opportunità cui i migranti hanno accesso sono stati individuati in tre livelli di indagine, profondamente interconnessi tra loro:
· Livello strutturale o hardware
· Livello delle reti sociali (capitale sociale)
· Livello psico-sociale (capitale individuale)
Il primo di questi tre livelli, ossia quello strutturale, racchiude gli assetti strutturali che permet tono il concreto dispiegarsi delle opportunità imprenditoriali per i cittadini immigrati (normative in materia di immigrazione, strumenti di sostegno all’imprenditorialità immigrata, la situazione macroeconomica, il contesto economico locale).
Il secondo livello, quello delle reti sociali, individua il capitale sociale dei migranti quale prima risorsa direttamente spendibile da parte degli aspiranti imprenditori:per capitale sociale occorre intendere l’insieme delle relazioni che ciascun individuo ha a disposizione e che è in gra do di mobilitare per accedere alle informazioni e alle risorse necessarie per l’avviamento e per la gestione di impresa.
Il terzo livello,psico-sociale,è intimamente connesso con le capacità individuali di ciascun im prenditore racchiudendo le competenze acquisite, le aspirazioni, le motivazioni personali, le scelte di vita ed il progetto migratorio.
L’interazione di queste tre componenti ha permesso di affrontare indirettamente il tema della mediazione all’interno del discorso più ampio dell’integrazione dei migranti nei territori di acco glienza per riflettere e fornire spunti di riflessione sull’equazione imprenditoria /integrazione”.
Vi è poi un’altra difficoltà che lo straniero deve superare, ossia quella legata al nostro modello organizzativo atteso che nel nostro Paese esistono ben 34 ordini professionali!.
Una struttura così complessa non è di ostacolo all’inserimento dei cittadini europei i quali, in base alla direttiva 36/2005, sono esonerati dall’esame di stato se l’hanno superato nel Paese di provenienza o se in esso non è previsto.
Per quanto riguarda i cittadini extracomunitari la Direttiva 36/2005 stabilisce che essi possono circolare per l’Europa solo a condizione che abbiano già esercitato la professione per un periodo triennale in un Paese Membro, secondo le sue regolamentazioni.
Ciò inevitabilmente crea problemi di coordinamento legati all’inserimento di professionisti nel nostro sistema.
L’emanazione della Blue Card, basata sul riconoscimento del triennio di attività per le qualifiche di alto livello, ha già ricevuto un forte incoraggiamento con la recente Risoluzione del Parla mento del 20 Novembre scorso.
“Tuttavia – ha affermato Pierangelo Sardi,Presidente del CEPLIS,Conseil Européen des Profes sions Libérales e consigliere del CNEL – i problemi dell’inserimento attivo dei professionisti nel nostro mercato non si risolvono con queste procedure meramente autorizzatorie e formali, che comunque sono destinate ad affievolirsi, sin dal livello di titoli di formazione.
Con il sistema EQF, European Qualification Framework,la formazione formale perde importanza rispetto a quel che effettivamente si è imparato a fare ed è poi a livello di competenze acquisite praticamente,che l’Unione Europea vuole rendere trasparenti per il cliente, a distan za e per via elettronica, prima ancora che questi debba contattare personalmente il professio nista.
Per questo scopo non solo la menzionata Direttiva qualifiche, ma soprattutto la successiva Direttiva 123/2006 sui Servizi nel mercato interno hanno lanciato le professional cards, invitan do le organizzazioni professionali europee ad attivarle come già da tempo avviene negli Stati Uniti e nei Paesi dell’ex Commonwealth,dove è divenuto irrilevante sapere se da qualche parte del mondo una Università qualsiasi avesse riconosciuto un numero di anni di frequenza per essa sufficiente ed anche di voti ma,piuttosto,quale sia il prestigio dell’organizzazione che accredita il professionista nelle sue specifiche competenze”.
Nella seconda parte del Convegno è stata affrontata la problematica della introduzione in Italia della finanza islamica,le sue peculiarità ed i possibili punti di confronto e di sinergia con la finanza occidentale.
L’analisi delle caratteristiche della finanza islamica è stata trattata dal Prof. Alberto Brugnoni Presidente di ASSAIF,Associazione non profit che, perseguendo finalità culturali e sociali, pro muove un diverso utilizzo degli strumenti finanziari esistenti e lo sviluppo di strumenti finan ziari alternativi.
Il relatore ha esordito affermando che la richiesta di finanziamenti alle banche islamiche è venuta crescendo nell’ultimo decennio sia a livello mondiale che a livello europeo.
Secondo il Prof.Brugnoni,la finanza islamica si fonda su quattro principi fondamentali:
1. Riba, ossia il divieto di pagamento di interessi legati al fattore temporale;
2. Maisir, speculazione;
3. Gharar, irragionevole incertezza, ambiguità;
4. Haram, attività economiche proibite dal Corano.
“Il modello di finanza islamico – ha spiegato il Prof.Brugnoni – si basa su tali principi fonda mentali fra i quali spicca la Riba che proibisce l’interesse come frutto di una semplice rendita finanziaria che non sia correlato ad un’attività reale comportante un determinato livello di ris chio.
Inoltre,mentre l’Haram è legata essenzialmente al mondo islamico, gli altri 3 principi possono essere pienamente condivisi anche dal mondo occidentale”.
Il Prof.Brugnoni ha,quindi,proposto l’introduzione di un nuovo modello di sviluppo finanziario sulla base dello studio comparato dei modelli di finanza islamica e di quelli occidentali,specie di quello anglosassone e,comunque,dei diversi sistemi bancari esistenti effettuato da parte di un Comitato Scientifico,composto da economisti ma anche da giuristi ed esponenti del potere politico che avrebbe il compito di individuare le possibili innovazioni da apportare al sistema finanziario occidentale secondo le regole della finanza islamica per poi proporle attraverso canali finanziari specifici.
Il tutto accompagnato dalla prestazione di servizi reali in favore dei migranti che vanno dalla formazione di interpreti e traduttori per gli sportelli bancari fino alla concessione di micro credito per favorire il rimpatrio degli immigrati,al rilascio di carte di credito collegate a conti correnti in Italia e spendibili i nei Paesi di origine senza costi aggiuntivi.
In tale contesto anche la Banca riuscirebbe ad assumere un ruolo di integrazione sociale fra cittadini italiani e stranieri.
Il Prof.Brugnoni ha anche chiarito che le ragioni della crescente domanda di finanziamenti da parte del mondo islamico è legata ad alcuni fattori fondamentali.
“In primo luogo vi è il fatto che l’Islam sia la religione in più rapida crescita con molti paesi europei che registrano un rapido aumento nelle loro popolazioni musulmane,sviluppo,questo, derivante dal costante aumento di una classe media musulmana abbiente in Europa.
È un dato di fatto che i musulmani nei Nord del mondo e in Europa rappresentino il 50% dei risparmi della classe media musulmana di tutto il mondo.
Questa sarà, probabilmente, la molla della prossima fase della crescita della finanza islamica con la preferenza sempre più evidente del cliente musulmano europeo accordata alla gestione halal dei propri affari finanziari.
In secondo luogo,un crescente interesse nei prodotti finanziari halal proviene anche dai non-musulmani. Gli investimenti da parte delle banche europee convenzionali e istituzioni nei Sukuk (le ‘obbligazioni’ islamiche) sono stati accompagnati da quelli di investitori privati che desiderano introdurre fattori etici e/o aspetti religiosi nella loro decisioni di investimento.
Scegliendo prodotti compatibili con la shariah essi possono stare sicuri di non investire in settori non etici mentre sia i cristiani che gli ebrei praticanti sanno che il divieto di interessi, che può essere valido anche per loro, è rispettato.
In sintesi: le iniziative e gli approcci innovativi della finanza islamica attirano gli investitori alla ricerca di investimenti etici.
In terzo luogo,l’ondata di permessi e autorizzazioni che ha consentito l’avvio di operazioni com merciali bancarie secondo la shariah – in particolare mutui, assicurazioni e prestiti – ed è stata
facilitata dai cambiamenti delle politiche da parte dei Governi che hanno prestato una maggio re attenzione alle esigenze delle comunità musulmane europee.
Alcuni Governi hanno,infatti,iniziato ad accogliere richieste che, anche se fatte a più riprese nel corso degli anni, erano stato regolarmente inevase.
Il timore di alienarsi una notevole percentuale della società europea e considerazioni di sicu rezza nazionale hanno giocato un ruolo importante in questo cambiamento di atteggia menti ufficiali.
Infine,i responsabili delle politiche economiche dei vari Paesi e le banche occidentalii hanno incominciato a vedere la finanza islamica come una nuova e lucrativa opportunità di business e non solo come un puntello alle minoranze etniche.
Vi è inoltre un crescente numero di investitori professionali che desiderano includere i prodotti della finanza islamica nei loro portafogli per ragioni di diversificazione.
Questo è vero, nonostante il fatto che molti prodotti finanziari “sciariatici” non possano ancora competere pienamente con i prodotti convenzionali per quanto riguarda il rapporto prezzo-pre stazioni”.
Il contatto fra i due sistemi diversi pone problemi di coordinamento sul piano economico, fiscale e normativo ma essi devono essere risolti rapidamente e non possono ancora essere ignorati all’interno di un sistema ormai globalizzato nel quale il contatto con il mondo islamico è diretto e percepibile,non solo nell’ingresso nel nostro Paese di stranieri che professano la religione musulmana e che portano con loro la cultura fortemente regolata da Corano, Sunna e diritto, ma anche dalla richiesta degli occidentali di prodotti finanziari non più solo occidentali.
Avv. Angela Allegria
Giornalista “La Voce dei Migranti”
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento