Il caso pruriginoso della Preside del Liceo Montale di Roma che avrebbe avuto una relazione intima con uno studente maggiorenne della propria scuola ormai è sulla bocca di tutti.
La notizia ha avuto ampio risalto sui quotidiani nazionali, ma per chi si fosse perso per qualche motivo lo scoop, ecco un breve riassunto: preside cinquantenne intrattiene, almeno così sembra, relazione sessuale consenziente con studente di poco maggiorenne, il quale a un certo punto desidera chiamarsene fuori (legittimo), ma lei niente, insiste. A questo punto, e non è del tutto chiaro come, le chat e le fotografie intime che i due si sono scambiati durante la relazione cominciano a circolare tra i ragazzi del liceo e, sempre non si sa come, vengono pubblicate sui principali quotidiani nazionali, in particolare su “La Repubblica”, che ci tiene a dare risalto alla vicenda con tanto di nome e cognome della Malafemmina.
Immediato l’intervento del Garante per la Protezione dei dati personali, che con provvedimento d’urgenza blocca la divulgazione dei dati personali della preside e impone ai quotidiani di eliminare ogni riferimento personale alle parti coinvolte nell’affaire, sottolineando peraltro come la giusta prudenza dimostrata nei confronti dello studente, di cui non è stato fatto il nome, non è invece stata usata per la controparte femminile, di cui oggi si sanno più dettagli di quanti sarebbe opportuno e utile conoscere. Altrettanto immediata, anche se non del tutto propria, per i motivi che vedremo, la risposta di Repubblica, che giustifica il proprio operato innanzi tutto sul rilevo che sarebbe stata la Preside per prima a voler parlare rendendo quindi pubblica la propria immagine ed il proprio nome. Secondariamente, a chi contesta la mancanza di rilevanza giornalistica della vicenda, che di fatto non fa altro se non raccontare una storia di sesso tra due maggiorenni consenzienti, il quotidiano risponde che si tratta di una “lettura superficiale e persino pericolosa dei fatti che dimentica il contesto in cui la storia si è svolta, e cioè tra le mura di un liceo, all’interno di un sistema di valori e di poteri ben delineato e regolamentato, nel quale, per fare un esempio, è vietato persino dare ripetizioni pomeridiane agli allievi, indipendentemente se maggiorenni o minorenni, figurarsi intrattenere relazioni sentimentali. Non a caso è stata aperta un’inchiesta ministeriale.” (Repubblica online del 3 aprile scorso).
Consigliamo:
Ora, senza voler entrare nel merito della vicenda in sé, non avendone né le competenze (non sono una giornalista) né alcun interesse, vorrei provare a richiamare l’attenzione su alcuni punti in diritto fondamentali.
Primo, il Garante è un’Autorità indipendente dello Stato Italiano, che ha, tra l’altro, il potere-dovere di sorveglianza sulla corretta applicazione della normativa in tema di protezione dei dati personali e di irrogare sanzioni nel caso in cui detto trattamento travalichi i limiti della liceità e della correttezza o crei danni agli interessati. Dunque, poiché Repubblica è così attenta al “sistema di valori e poteri ben delineato e regolamentato” che vige all’interno di una scuola e sottolinea l’apertura di una inchiesta ministeriale sull’argomento, appare quanto meno fuori luogo che nel medesimo articolo, poche righe più sopra, affermi di dover fornire risposta solo ai propri lettori, non tanto al Garante, il cui ruolo, in tre parole, viene sminuito al pari di un fastidioso orpello burocratico. Au contraire, sarà proprio al Garante, Autorità preposta, che il quotidiano dovrà rispondere per la violazione di quelli che non sono principi di buon senso e articoli di buona condotta, ma precise e vincolanti norme di legge in vigore nello Stato italiano a cui tutti, anche i quotidiani, devono sottostare.
Secondo, il Garante ha ricordato, nel disporre ulteriori blocchi anche nei confronti di altri quotidiani, tra cui Open on line, Letto quotidiano, Il Giornale, Il Riformista, Skuola.net e La notizia giornale, che il codice della privacy (aka il d. lgs. 196/2003, per l’appunto una legge dello stato) prevede che in caso di diffusione o di comunicazione di dati personali per finalità giornalistiche devono essere sempre rispettati i limiti del diritto di cronaca, rappresentati dalla tutela della dignità, della riservatezza, dell’identità personale e della protezione dei dati personali e, in particolare, il limite dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Dunque nessuno, tanto meno il Garante, si è sognato di sostenere che la vicenda non dovesse essere portata agli onori della cronaca, anzi, ma soltanto che la notizia poteva (e doveva) essere data in altro modo, con il rispetto dei diritti fondamentali di ogni individuo, tra cui, e su questo ci si augura che nessun giornale voglia discutere, rientrano a pieno titolo la tutela della dignità e della riservatezza. E nemmeno vale a “scusare” il fatto che sia stata l’interessata stessa a rivelare i propri dati, perché l’utilizzo che ciascuno di noi fa dei propri diritti inalienabili e fondamentali, quand’anche sia sconsiderato e incurante, non giustifica e non autorizza altri a fare lo stesso: cioè in altre parole, il fatto che io stessa non mi curi della mia privacy non autorizza terzi a violarla a proprio piacimento.
Infine terzo, ma non ultimo, questo clima da gogna mediatica, che in un caso analogo, ma a parti invertite, avrebbe indugiato invece che sul preside seduttore sulla ragazza sedotta, novella Lolita del terzo millennio, ha francamente stufato.
È un caso che riguarda tutti, perché tutti noi, potenzialmente, siamo o potremmo essere esposti a rischi analoghi, e non perché intratteniamo relazioni con persone molto più giovani o molto più adulte di noi, ma perché l’utilizzo della tecnologia è entrato in maniera prepotente anche in camera da letto, tra le lenzuola di ciascuno di noi. Ed è triste pensare che, ancora una volta, si punti il dito in maniera mono direzionale, sulla parte femminile della coppia e che i processi si svolgano non più solo sui social, ma anche sui quotidiani, sempre a caccia di quel click in più che faccia vendere più euro in pubblicità.
Ricordando che non esistono rilievi penalistici nella vicenda in questione, in quanto entrambi i soggetti coinvolti sono maggiorenni e consenzienti, come giustamente ha affermato Repubblica è stata aperta una inchiesta ministeriale ed è a quella che bisogna attenersi.
La notizia, scevra da condizionamenti e dettagli pruriginosi, può avere un senso. Il contorno alla commedia sexy degli anni ‘70 con Alvaro Vitali, onestamente no.
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