Indice:
- Premessa (vai alla prima parte dell’articolo)
- Inquadramento giuridico del fatto (vai alla prima parte dell’articolo)
- La formulazione proposta dalla Procura (vai alla prima parte dell’articolo)
- L’interpretazione contrapposta del g.i.p. (vai alla seconda parte dell’articolo)
- Gli sviluppi e la rimessione alla Corte Costituzionale (vai alla seconda parte dell’articolo)
- Il panorama giurisprudenziale sovranazionale (vai alla seconda parte dell’articolo)
- La legge n. 219/2017
- La pronuncia della Corte Costituzionale
- Conclusioni
Leggi la prima parte e la seconda del presente articolo
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La legge n. 219/2017
Nell’ordinanza di rimessione viene richiamato il recentissimo approdo legislativo nell’ordinamento nazionale che è di indubbia utilità nell’interpretazione dell’art. 580 c.p.
La novella riconosce la facoltà all’individuo di disporre anticipatamente le proprie volontà sul fine vita[1].
In particolare, la normativa, in determinati casi e qualora il consenso sia libero e autonomo, ha riconosciuto il diritto di lasciarsi morire.
Nell’analisi della disciplina è possibile effettuare una distinzione tra le varie forme di eutanasia, tenendo in considerazione che l’obiettivo del legislatore è la tutela della dignità nella fase finale della vita e l’autodeterminazione della persona.
L’art. 2, I co., disciplina la c.d. eutanasia “pura” consentendo la pratica di terapie da parte del medico dirette a rendere indolore o meno sofferente la morte naturale del paziente che rifiuta le cure[2].
In tale ipotesi, il sanitario non risponde penalmente della propria condotta poiché opera la scriminante dell’ adempimento del dovere ex art. 51 c.p. al fine di evitare dolori insopportabili al paziente[3].
Altra forma di eutanasia, regolata dalla novella, è quella passiva, che consiste nella morte del paziente attraverso l’omissione o la sospensione di trattamenti medico chirurgici.
La normativa ritiene lecita soltanto l’eutanasia passiva consensuale[4] mentre stabilisce come illecita quella non consensuale poiché grava sul medico l’obbligo del trattamento sanitario.
Pertanto se il medico decidesse di sospendere il trattamento senza il consenso del paziente risponderebbe di omicidio ai sensi dell’art. 40, 2 co.[5]
A tutela della libertà della persona di disporre della propria vita la legge ha previsto il divieto dell’ accanimento terapeutico consistente nell’ostinazione di trattamenti inutili e sproporzionati dai quali non consegue alcun miglioramento.
Per quanto riguarda l’eutanasia attiva, essa s’identifica nella morte provocata da un comportamento attivo al fine di evitare ulteriori sofferenze del paziente.
Se questa avviene senza il consenso del paziente si tratta di omicidio doloso[6].
Il focus del caso in esame riguarda, invece, l’eutanasia attiva consensuale di cui si risponderebbe penalmente degli artt. 579 o 580 c.p. poiché tale forma non è stata menzionata nella legge 219 del 2017.
La disciplina legislativa, invero, ha riconosciuto il diritto a lasciarsi morire ma non anche il diritto al suicidio assistito, pertanto, allo stato non è possibile pretendere che il medico adotti tale pratica[7].
La Corte d’Assise di Milano, non riuscendo a trovare una soluzione interpretativa nel panorama normativo e giurisprudenziale, solleva, dunque, la questione di legittimità costituzionale della disposizione sotto vari profili.
In primo luogo non è chiaro se nel concetto di aiuto al suicido punito dalla norma debba rientrare anche la condotta di agevolazione che non abbia inciso sul processo della formazione della volontà.
In secondo luogo occorre capire se alla luce del riconoscimento di un diritto della persona di scegliere quando e come porre fine alla propria vita è possibile riconoscere un diritto al suicidio assistito.
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La pronuncia della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale nel 2018 afferma che i parametri invocati per sostenere l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui prevede l’aiuto (l’agevolazione all’esecuzione) non sono pertinenti. In particolare, ritiene che nonostante alla base dell’art 580 vi sia l’idea dell’indisponibilità della vita e del disvalore del suicidio non può sostenersi che quell’aiuto sia in contrasto con il diritto alla vita ai sensi dell’art 2 cost perché lo stato ha l’obbligo di tutelare la vita di ognuno e non anche quello di riconoscere un diritto di ottenere dal terzo il diritto a morire.
Il diritto ad una morte dignitosa, precisa la Corte Costituzionale, non può essere desunto dalla Corte edu (caso Pretty) in cui si esclude espressamente un diritto al suicidio. Pertanto, non può essere accolta la questione di legittimità costituzionale cosi come proposta dalla Corte d’Assise di Milano poiché quell’incriminazione ha ancora oggi una ragione d’essere a tutela delle persone malate, psicologicamente depresse che potrebbero essere facilmente indotte a “congedarsi” dalla vita, qualora l’ordinamento acconsentisse ad una loro scelta suicida.
Tuttavia, il giudice delle leggi prende atto del contesto attuale, indubbiamente mutato rispetto al periodo di formulazione della norma, e precisa che oggi è inimmaginabile non poter scegliere la morte almeno in presenza di 4 fattori.
In particolare quando si tratta di persone : a) affette da patologie irreversibili; b) da malattie che comportano sofferenze fisiche intollerabili, c) che vengono mantenute in vita da un sostegno vitale, d) che sono libere, capaci e consapevoli.
In presenza di questi fattori, che devono essere cumulativi, si potrebbe ritenere rispettabile la scelta di chi vuole morire in un modo dignitoso e, pertanto, la persona potrebbe scegliere il suicidio.
Diversamente, emerge dalla pronuncia costituzionale, sarebbe irragionevole ammetterlo nei casi di cui alla legge 219 e non anche nelle ipotesi in cui vi è la presenza delle quattro condizioni descritte. In questo caso, attraverso l’eutanasia attiva, si attribuisce al malato la scelta migliore, può opportuna per morire. Il fondamento di tale assunto viene ravvisato nell’art 32 cost che tutela la libertà di autodeterminazione terapeutica e nella sua forma più ampia anche la scelta di porre fine alle proprie sofferenze anche ingerendo un farmaco letale. Dunque, nel diritto della persona di scegliere le terapie va compreso anche quello che lo liberi dalle sofferenze.
La Corte Costituzionale fornita tale interpretazione ha rimesso la disciplina nelle mani del legislatore invitandolo ad intervenire sul procedimento di controllo. Al fine di evitare abusi sarebbe doverosa una disciplina puntuale che accerti la possibilità di ricorrere all’eutanasia attiva quando vi sono le quattro condizioni cumulativamente espresse dal giudice delle leggi. L’intervento legislatore dovrebbe specificare le strutture a cui è possibile rivolgersi e, in particolare, se potranno essere altresì private.
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Conclusioni
Posto che la novella esaminata non riconosce un diritto a morire ma la libertà (di fatto) di morire come conseguenza della scelta di rifiutare le terapie, allo stato è vietata l’eutanasia attiva consensuale.
Questa visione risulta favorevole ad una posizione paternalistica che prescinde dall’autodeterminazione personale del singolo andando a beneficio dell’interesse della società[8].
Seguendo il suddetto orientamento la vita è assolutamente un bene indisponibile e, pertanto, la scelta di non continuare a vivere non deve essere rimessa al singolo.
Tuttavia, ritenendo superata tale visione legata all’ordinamento fascista, si potrebbe ipotizzare un attenuamento della concezione paternalistica qualora si appurasse una volontà autentica della persona che chiede di morire.
In tale prospettiva, invero, sarebbe possibile ritenere ragionevole la rinuncia ad una sopravvivenza ritenuta insopportabile.
Relativamente alla punibilità dell’agente che “aiuta al suicidio”, al fine di comprendere se integra la fattispecie di cui all’art. 580 c.p., occorre una scrupolosa analisi della condotta.
Si potrebbe giungere a ritenere penalmente rilevante soltanto l’istigatore.
In tal modo, la struttura della fattispecie sanzionerebbe le due attuali e diverse condotte di partecipazione psichica all’altrui suicidio racchiudendole in una sola condotta.
Invero, risulta difficile nella prassi accertare correttamente e razionalmente il fenomeno della causalità psichica[9].
Pertanto, la stessa condotta istigativa dovrebbe essere oggetto di revisione.
Tutte le altre condotte semplicemente solidali con la vittima, invece, sarebbero escluse dall’ambito del socialmente rilevante poiché non influiscono sull’autodeterminazione dell’autore.
Invero, non sarebbero punibili le condotte dell’agente che si muove per fini altruistici.
Il comportamento dell’istigatore potrà essere punito secondo indici rivelatori di un’interferenza egoistica nella formazione della volontà del soggetto passivo.
Relativamente all’elemento soggettivo si potrebbe ipotizzare la condotta sanzionabile quando l’agente agisca con un dolo specifico di trarne profitto.
Il problema che si pone sarà quello di accertare l’effettiva influenza del comportamento dell’agente: punto di partenza sarà inevitabilmente la teoria della conditio sine qua non[10] in cui si può ritenere interrotto il nesso causale tra l’istigazione e l’evento solo dalla libera autodeterminazione del soggetto.
Rimane necessario l’intervento del legislatore per agevolare l’attività dell’interprete.
Indice bibliografico
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Indice delle decisioni citate
Giurisprudenza costituzionale
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Giurisprudenza di legittimità
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Cass. Pen., sez. I., n. 32851/2008, in Diritto penale contemporaneo, 8 settembre 2014;
Cass. Civ.,sez.I, sent. 16 ottobre 2007, n.21748 in Resp. Civ. prev., 2008, p. 23;
Cass., sez. IV pen., n. 7214/2004, in Cass. Pen., 2005, p. 75;
Cass., sez. I, 6 febbraio 1998 n.3147, in Riv. pen., 1998, p. 74;
Giurisprudenza di merito
Corte d’Assise di Milano, ord. 14 febbraio 2018, in Riv. trim. Diritto penale contemporaneo, 16 febbraio 2018, p. 11;
Trib. di Milano ord. Gip 10.07.2017, in Riv. trim. Diritto penale contemporaneo, 18 luglio 2017, p. 3;
Proc. Rep. Milano, richiesta di archiviazione in Riv. trim. Diritto penale contemporaneo, 2 maggio 2017 , p. 145;
G.U.P. del Tribunale di Vicenza, 14.10.2016, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 2017;
Gup Roma, sent. 23 luglio 2007 n. 2049, in Dir.pen. proc., 1/2008, p. 59;
Corte d’Assise di Messina, sent. 10.06.1997 in Giur. mer., 1998 fasc. 4-5, p. 731;
Giurisprudenza sovranazionale
EDU, 26 marzo 2013, Rapaz v. Svizzera in hudoc.echr.coe.int;
Corte edu, 19.06.2012, sentenza Koch c. Germania, in Riv. trim. Diritto penale contemporaneo, 8 maggio 2017;
Corte edu, sent. 20.01.2011, Haas c. Svizzera n. 31322 in hudoc.echr.coe.int;
edu, sent. 29 aprile 2002, Pretty c. Regno Unito, in hudoc.echr.coe.int., p. 74;
Note
[1] Il medico può disattendere, in accordo con il fiduciario, le DAT quando esse appaiono incongrue e non corrispondenti alla situazione cinica attuale, Pisu, Quando il <<bene della vita>> è la morte, una buona morte, in Resp. Civ. e prev., 201, III, 911
[2] Il medico tuttavia ha l’obbligo di informare il paziente degli effetti che derivano dal rifiuto della terapia e di adottare la c.d. strategia di persuasione, anche ricorrendo al supporto psichiatrico, M. Forconi, La Corte d’Assise di Milano nel caso Cappato: sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., in Riv. trim. Diritto penale contemporaneo, fasc. 2/2018, pp. 12 ss.
[3] Contra, per il caso in cui si sia determinata una morte subitanea, Eusebi, Omissione dell’intervento terapeutico ed eutanasia, in Archivio penale 1985. 510.
[4] Il medico ha l’obbligo di acquisire il consenso informato che tutela il diritto ad una scelta consapevole, cosi si è espressa, Cass. Pen., sez. IV, n. 2347/2014
[5] P. Fimiani, Le responsabilità penali nelle scelte di fine vita in attesa della Corte Costituzionale nel caso Cappato, in Riv. trim. Diritto penale contemporaneo, 2 maggio 2018, p. 3.
[6] Mantovani, Suicidio assistito: aiuto al suicidio od omicidio del consenziente, nota a Tribunale Vicenza, 2 marzo 2016, in La giustizia penale, 2017, I, Parte II, 31
[7] La dottrina è unanime sul punto. Per tutti Cupelli, Libertà di autodeterminazione terapeutica e disposizioni anticipate di trattamento: i risvolti penalistici, in Rivista, fasc. 12/2017, p. 123 ss.
[8] A. Spena, Esiste il paternalismo penale? Un contributo al dibattito sui principi di criminalizzazione, in Riv. it. Dir. Proc.pen., 2014, p. 1210.
[9] L. Risicato, La causalità psichica tra determinazione e partecipazione, Giappichelli, Torino, 2007; L. Cornacchia, Il problema della c.d. causalità psichica rispetto ai condizionamenti mentali, in A.A. V.V., Nuove esigenze di tutela nell’ambito dei reati contro la persona, Bologna, 2001, p. 187 e ss.; D. Goldoni, Complicity e concorso orale, Cedam, Padova, 2004, p. 311 e ss.
[10] M. Romano, Nesso causale e concretizzazione delle leggi scientifiche in diritto penale, in Scritti per Federico Stella, Napoli, 2007, p. 891 e ss. G. Messina, Concorso morale e causalità psichica nel diritto penale, in Studi in onore di Mario Romano, Milano 2011, pp. 111e e ss.
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