L’entrata in vigore del d. lgs. n.
12 aprile 2006, n. 163 (“
Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”) ripropone la questione dell’immediata efficacia o meno di detta disciplina statale nell’ordinamento della Regione Siciliana. Quest’ultima, riveste una competenza legislativa esclusiva nella materia dei “lavori pubblici eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale” (art. 14 comma 1 lett.
g St.)mentre nella materia degli appalti di forniture e di servizi esercita una competenza legislativa concorrente (art. 17 St.)
[1].
Il D.lgs. n. 163 del 2006, ha ridisciplinato la materia degli appalti pubblici ricomprendendo in un unico corpus normativo tutta la disciplina comunitaria e, ad un tempo, abrogando tutta la legislazione interna previgente. Orbene, se per le forniture di beni, per gli appalti di servizi e per gli appalti inerenti ai settori esclusi il legislatore regionale ha operato un rinvio dinamico alla disciplinastatale (a sua volta di recepimento di direttive comunitarie, cfr. artt. 31, 32 e 33 L.R. n. 7/02), così non è stato, nel tempo, per gli appalti di lavori, in ordine ai quali, la Regione Siciliana ha dettato proprie disposizioni, seppur richiamando, con modifiche, la legge (statale) n. 109 del 1994. Va chiarito da subito che il richiamo della predetta legge statale fa riferimento al dato legislativo, quale è, cristallizzato, al momento dell’emanazione della legge regionale. In buona sostanza, in materia di lavori pubblici, il legislatore regionale, esercitando la sua competenza legislativa esclusiva di cui all’art. 14 comma 1 lett. g) dello Statuto siciliano, ha inteso non operare alcun rinvio “dinamico” alla fonte statale, con il verosimile scopo di impedire l’ingresso “automatico”, in assenza di apposito intervento normativo regionale ad hoc, di disposizioni legislative “esterne” all’ambito di normazione locale. Vi è dunque la sussistenza di un doppio binario d’azione normativa nel senso che, per gli appalti di forniture e di servizi, sussiste un rinvio dinamico, mentre per i lavori no. Per la prima tipologia di appalti la questione dell’applicabilità del D. Lgs. n. 163/06 non si pone in quanto l’abrogazione dei decreti legislativi nn. 358/92, 157/95 e 158/95 la si ricomprende tra le “successive modifiche ed integrazioni” di cui al comma 1 degli artt. 31,32,e 33 della L.R. n. 7/92 (e quindi oggetto di rinvio dinamico).
Occorre approfondire la questione relativa agli appalti di lavori in relazione ai quali è vigente la L.R. n. 7/02 come successivamente modificata che, come precisato, dispone l’applicazione in Sicilia della L. n. 109 del 1994 e dei collegati provvedimenti di rango regolamentare nella stessa richiamati. Si tratta di capire quali sono gli effetti in Sicilia del D. Lgs. n. 163/06 e delle pertinenti statuizioni sui lavori, ossia se le disposizioni nello stesso contenute trovino efficacia in assenza di richiamo legislativo regionale espresso.
In linea di principio, la competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana nella predetta come nelle altre materie dovrebbe escludere l’efficacia di disposizioni promananti da fonti statali, fatte salve le eccezioni relative alle norme fondamentali di riforma economico-sociale, al rispetto degli obblighi internazionali ed a quant’altro costituisca limitazione alla esclusività del potere legislativo regionale. Invero, la disciplina degli appalti di lavori oggetto del D.Lgs. n. 163/06 (nonché la disciplina degli altri tipi di appalti) è di promanazione comunitaria, cosicché più che scrutinare le ipotesi di applicabilità del D. Lgs. n. 163/06 (codice dei contratti) per il quale sembrano non sussistere dubbi sui fenomeni giuridici impeditivi dell’efficacia nella Regione Siciliana (limitatamente alla materia dei lavori), deve essere opportunamente verificata la posizione della Regione Siciliana rispetto alla efficacia della Direttiva comunitaria (
n. 2004/18/CE del 31 marzo 2004 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi), richiamata nel codice dei contratti, per la quale sussisterebbe l’obbligo di recepimento locale[2]. Le questioni che si pongono sono, sinteticamente, quella relativa al predetto obbligo regionale di recepimento nonché quella, di diritto intertemporale, inerente all’efficacia diretta nella Regione nel periodo intercorrente tra il termine ultimo per il recepimento fissato dalla stessa direttiva e l’effettivo recepimento.
Circa l’obbligo della Regione di uniformarsi all’ordinamento comunitario,
l’art. 80 della direttiva 2004/18/CE, prevede che gli Stati membri avrebbero dovuto conformarsi alla direttiva entro 31 gennaio 2006, recepimento che come già segnalato, la Regione Siciliana non ha operato. Invero, l’Amministrazione regionale, pur essendo intervenuta la scadenza del termine per il recepimento –che per i motivi di seguito indicati ha comportato la diretta applicazione della stessa – ha continuato ad emanare disposizioni attuative della vecchia legge n. 109/94 (nel testo oggetto della L.R. n. 7/02)[3] e talora contrastanti con il dato normativo comunitario.
La direttiva in questione presenta aspetti di dettaglio che la rendono assolutamente attuabile, cosicchè il mancato recepimento regionale non osta alla sua concreta applicazione. Peraltro, a fronte di una disciplina interna (nel nostro caso regionale) contrastante con quella comunitaria è la stessa giurisprudenza comunitaria e costituzionale
[4] ad insegnare due importanti principi: il primo che la direttiva non recepita nei termini che presenti elementi di attuabilità concreta trova efficacia diretta; il secondo che vede l’obbligo per il giudice chiamato a decidere una controversia, da una parte, e per la pubblica amministrazione chiamata ad istruire un procedimento amministrativo, dall’altra, di disapplicare le norme interne in contrasto con quelle comunitarie
[5].
Peraltro, ai sensi dell’art. 117 comma 1 della Costituzione “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” e la stessa azione amministrativa delle autonomie locali persegue i fini determinati dalla legge secondo le modalità previste dalla legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell’ordinamento comunitario (v. art. 1 L. 7 agosto 1990 n. 241 come modificato dall’art. 1 comma 1 legge n. 15/05).
A sostegno dell’
applicabilità in icilia delle disposizioni concernenti i lavori pubblici contenute nel D. Lgs. n. 163/06, non soccorre neanche il combinato disposto di cui agli artt. 11 comma 8 e 16 della L. 4 febbraio 2005, n. 11 (“Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”), atteso che la specifica esclusività della competenza legislativa (in una materia che tale forza assume non già in forza del novellato art. 117 Cost. ma in base allo Statuto autonomistico), non consente l’attuazione del meccanismo sostitutivo che vede l’applicazione “automatica” delle norme statali di recezione delle direttive nelle more dell’adeguamento regionale (c.d. principio di cedevolezza”)[6] ma l’efficacia diretta della direttiva “madre”[7]. Dubbi, infatti, sorgono in ordine alla cogenza, per la Regione Siciliana dell’art. 4, comma 4 del D. Lgs. n. 163/06 ai sensi del quale “
nelle materie di competenza normativa regionale, concorrente o esclusiva, le disposizioni del presente codice si applicano alle regioni nelle quali non sia ancora in vigore la normativa di attuazione e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione”, atteso che la specialità della competenza normativa regionale possa ritenersi sufficientemente idonea ad “isolare” l’intervento legislativo statale di recepimento ed avvalersi della diretta attuabilità delle norme comunitarie. L’art. 117 comma 5
Cost.,siccome modificato dalla L.C. n. 3/01, infatti, ha previsto sì che “le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, (…) provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”, ma la relativa portata deve essere letta in relazione all’art. 10 della predetta Legge costituzionale di modifica dell’intero Titolo V della Costituzione, allorché è stato, ad un tempo, stabilito che “
sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.
Il principio dell’effetto diretto presenta forti aspetti innovativi in tema di incompatibilità con la previgente legislazione regionale incompatibile. In primo luogo, per il criterio interpretativo seguito dalla Corte di Giustizia, “
che attribuisce alle norme del Trattato un significato corrispondente alla natura ed agli scopi del diritto comunitario. In secondo luogo, per i suoi effetti: riconoscendo il diritto dei singoli di agire contro le violazioni del diritto comunitario, il principio dell’effetto diretto contribuisce a trasformare la natura stessa dell’ordinamento giuridico comunitario”
[8]. Uno dei corollari più significativi del principio di preminenza del diritto comunitario sul diritto nazionale è che nell’applicazione del diritto comunitario non è opponibile alcuna norma interna che vi contrasti
[9].
Da ultimo appare chiaro come in assenza del prescritto recepimento, limitatamente ai lavori, la legge 109/94 come richiamata dalla L.R. n. 7/02 possa continuare a regolare la materia ed i relativi procedimenti con tutte le disposizioni in essa contenute che non siano diverse dalle specifiche disposizioni della Direttiva, ferma l’efficacia di quest’ultima in ogni altra fattispecie; mentre in ordine agli appalti di forniture e servizi trova pacifica applicazione nell’ordinamento della Regione Siciliana il Codice dei contratti pubblici di cui al D. Lgs. n. 163/06, atteso che lo stesso rimane oggetto del rinvio dinamico previsto dagli artt. 31, 32 e 33 della predetta L.R. n. 7/02 e successive modifiche.
Di Giuseppe LA GRECA
(Segretario comunale)
[1] “Conferma di quanto detto si trae dall’art. 17 lett. h dello Statuto che attribuisce alla competenza legislativa concorrente della Regione la materia dell’assunzione di pubblici servizi; materia nella quale rientrano, con certezza, gli appalti che si conferiscono per l’assunzione di pubblici servizi e, forse, anche, gli appalti di forniture di beni poiché, sia pure in senso lato, anche la prestazione di forniture rientra nella nozione di pubblico servizio; in ogni caso la competenza legislativa concorrente nella Regione siciliana nella materia delle forniture resta consacrata dall’art. 17 lett. i) dello Statuto che sancisce la competenza legislativa concorrente "in tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse regionale" essendo questa una dizione nella quale sembra senz’altro ricomprensibile il concetto di forniture alla P.A.” (Ufficio Legisl. e Legale Reg. Sic., parere Gruppo IV /n. 91.99.11 anno 1999.
[2]Diverso orientamento era stato mostrato dalla Corte Cost. precedentemente alla riforma del Titolo V, la quale aveva chiarito come competesse “allo Stato garantire l’attuazione delle direttive comunitarie; che la legge o l’atto normativo di attuazione è operante in tutto il territorio nazionale; che le regioni e le province autonome, nell’ambito delle rispettive competenze, possono emanare le norme di attuazione delle direttive; che tali norme sono vincolate non soltanto, come è ovvio, dai contenuti della direttiva, bensì anche dalla normativa statale di attuazione in quanto necessaria all’esecuzione dell’obbligo comunitario” Cosrte cost., sentenza 8-10 giugno 1988, n. 632.
[3] Cfr. Decreto 4 maggio 2006 “
Nuovi schemi di bandi tipo uniformi per l’espletamento delle gare di pubblico incanto” (Gazzetta ufficiale regione Sicilia 19 maggio 2006 n. 25).
[4] “Può(…) puntualizzarsi che dall’affermata autonomia, rispetto all’ordinamento nazionale, dell’ordinamento comunitario, ritenuto idoneo ad attrarre direttamente nella disciplina da esso posta questioni rientranti nelle materie dei trattati comunitari, discende che e proprio nel sistema delle fonti del medesimo ordinamento comunitario che vanno verificate le condizioni per l’immediata applicabilità, nei singoli ordinamenti degli Stati membri, della normativa in esso prodotta (fatto sempre salvo il ricordato limite desumibile dall’art. 11 Cost.). Quindi per le direttive, in particolare, occorre far riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, che – interpretando l’art.189 del Trattato di Roma sul carattere vincolante delle direttive per gli Stati membri-ha da tempo elaborato principi molto puntuali, ritenendo che <in tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei con fronti dello Stato, sia che questo non abbia tempestivamente recepito la direttiva nel diritto nazionale sia che l’abbia recepita in modo inadeguato> (sent. 22 giugno 1989, in causa 103/88; sent. 20 settembre 1988, in causa 31/87; sent.8 ottobre 1987, in causa 80/86; sent. 24 marzo 1987, in causa 286/85). In particolare in quest’ultima pronuncia la Corte del Lussemburgo ha puntualizzato che la disposizione della direttiva che risponda ai presupposti suddetti possa essere invocata dal singolo innanzi al giudice nazionale <onde far disapplicare qualsiasi norma di diritto interno non conforme a detto articolo>. Pertanto la diretta applicabilità, in tutto od in parte, delle prescrizioni delle direttive comunitarie non discende unicamente dalla qualificazione formale dell’atto fonte, ma richiede ulteriormente il riscontro di alcuni presupposti sostanziali: la prescrizione deve essere incondizionata (si da non lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri nella loro attuazione) e sufficientemente precisa (nel senso che la fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa applicabile devono essere determinati con compiutezza, in tutti i loro elementi), ed inoltre lo Stato destinatario – nei cui confronti (e non già nei confronti di altri) il singolo faccia valere tale prescrizione-deve risultare inadempiente per essere inutilmente decorso il termine previsto per dar attuazione alla direttiva. La ricognizione in concreto di tali presupposti costituisce l’esito di un’attività di interpretazione della direttiva comunitaria e delle sue singole disposizioni, che il giudice nazionale può effettuare direttamente ovvero rimettere alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 177, secondo comma, del Trattato di Roma, facoltà quest’ultima che invece costituisce obbligo per il giudice nazionale di ultima istanza (art.177, terzo comma, cit.), sempre che-secondo quanto ritenuto dalla stessa giurisprudenza della Corte di giustizia (sent. 6 ottobre 1982, in causa 283/81)-il precetto della norma comunitaria non si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla sua esegesi” (Corte Cost. sentenza 8 aprile 1991, n. 168).
[5] “In tutti i casi in cui talune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, tanto se questo non abbia trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se l’ abbia trasposta in modo inadeguato . Qualora sussistano i presupposti occorrenti perché la direttiva possa essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi della pubblica amministrazione, ivi compresi gli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare la direttiva stessa(…)”, Corte di Giustizia, sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88.
[6] “
Per quanto riguarda l’attuazione regionale del diritto comunitario, le Regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, non erano tenute ad attendere l’intervento statale di recepimento già sotto la precedente disciplina dell’art. 9 della legge 86/89. Secondo la ripartizione di competenze di cui all’art. 117, nelle materie di competenza esclusiva, il legislatore regionale o provinciale non incontra alcuno strumento legislativo di intermediazione statale nel dare attuazione alle direttive comunitarie; per le materie di competenza concorrente, invece, il limite è da individuarsi nei principi fondamentali stabiliti con legge dello Stato. Essi sono indicati nella legge comunitaria statale e si pongono come parametro di legittimità della legislazione regionale o provinciale, essendo definiti come inderogabili dalla legge regionale o provinciale sopravvenuta e prevalenti sulle contrarie disposizioni eventualmente già emanate” (Regione Emilia Romagna, Direzione Generale, “
La legge 4 febbraio 2005, n. 11.Le norme regionali di procedura, l’organizzazione interna dei consigli e il rapporto con le giunte”, Bologna, Dicembre 2005).
[7]Sull’efficacia nelle Regioni e Province autonomie di provvedimenti statali di recepimento di direttive comunitarie in caso di inerzia delle stesse, v. Corte Cost. sentenza n. 425/99 e Cons. St. Ad. Gen. parere 25 febbraio 2002.
[8] G. Arrigo, “Il diritto del lavoro nell’Unione Europea”, Milano, 1998, pp.68-69
[9] Cfr. M. Chiti, “Diritto Amministrativo Europeo”, Milano, 1999, p. 98
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