Il comodato è definito dal primo comma dell’art.1803 c.c. come “il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta”.
Il comodato è, dunque, un contratto reale e a forma libera, che si perfeziona con la mera consegna della cosa dal comodante al comodatario. Ha, inoltre, efficacia obbligatoria, in quanto non determina il trasferimento del diritto di proprietà. Si configura, dunque, come un prestito d’uso e, infatti, il Codice evidenzia l’obbligo del comodatario di restituire la cosa al comodante. Oggetto del contratto possono essere sia cose mobili che immobili inconsumabili, sia cose fungibili e anche consumabili ove le parti pattuiscano una restituzione in specie. Ai sensi dell’art.1807 c.c., anche le cose deteriorabili possono costituire oggetto del contratto, ma il rischio dell’incolpevole deterioramento grava sul comodante solo nei limiti dell’uso pattuito.
Il comodato si caratterizza, poi, per essere essenzialmente gratuito e tale carattere non viene meno neanche ove sia imposto un modus a carico del comodatario – si discorre, a tal proposito, di “comodato modale” – a patto che l’onere previsto non assuma il carattere della corrispettività.
Il contratto di comodato è, inoltre, necessariamente temporaneo. A tal proposito, occorre precisare che il Codice Civile distingue tra due ipotesi.
L’art.1809 c.c., in particolare, delinea il comodato a tempo determinato, sancendo l’obbligo del comodatario di restituire la cosa “alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto”. Il secondo comma attribuisce poi al comodante, in presenza di un bisogno urgente ed imprevedibile, la possibilità di pretendere la restituzione immediata della cosa prima che sia decorso il temine pattuito o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa.
Diversamente, l’art.1810 c.c. prevede l’obbligo del comodatario di restituire la cosa non appena il comodante lo richieda, ove non sia stato convenuto un termine e questo non risulti dall’uso cui la cosa doveva essere destinata. Si discorre a tal proposito di comodato senza determinazione di durata o precario.
Molto discusso in dottrina e in giurisprudenza è stato l’inquadramento del comodato di immobile da adibire a casa familiare. Spesso accade, infatti, che i genitori di giovani sposi concedano al figlio o alla figlia un immobile in comodato senza determinarne la durata. La questione assume un certo rilievo nell’ipotesi in cui il rapporto di coppia attraversi una fase patologica, che conduca alla separazione. In queste circostanze, se la casa viene assegnata con provvedimento giudiziale al coniuge non comodatario, ci si è chiesti se il comodante abbia o meno il diritto alla restituzione ad nutum, ex art.1810 c.c..
La giurisprudenza un tempo maggioritaria riteneva di poter rispondere affermativamente al suesposto quesito, riconoscendo, in sostanza, ai genitori del coniuge non assegnatario il diritto di ottenere l’immediata restituzione del bene a semplice richiesta. Tale tesi si fondava sull’assunto che la mancata pattuizione di un termine implicasse l’applicazione dell’art.1809 c.c., configurandosi il contratto come comodato precario. La suddetta impostazione riservava, evidentemente, al comodante una tutela rafforzata.
Nel 2004, tuttavia, la Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n.13603 ha ribaltato il precedente orientamento, preservando la funzione sociale del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, volto a tutelare la prole, tentando di garantire nei limiti del possibile una certa stabilità della preesistente organizzazione familiare. La Suprema Corte precisa, nello specifico, che il comodatario non riceve la casa familiare solo a titolo personale, ma soprattutto quale membro della comunità familiare. L’immobile è, dunque, vincolato alle esigenze della famiglia e tale vincolo non viene reciso da eventuali patologie del rapporto. Le Sezioni Unite del 2004 ritengono, quindi, che, ove sia provata l’effettiva destinazione a casa familiare dell’immobile, il nucleo familiare residuo sia comunque assoggettato, nei rapporti con il comodante, alla medesima disciplina che avrebbe regolato il contratto ove non si fosse verificata alcuna crisi coniugale. Ne deriverebbe dunque l’impossibilità per il comodante di recedere ad nutum, avendo solo la possibilità di chiedere la restituzione dell’immobile nel caso di sopravvenienza di un bisogno urgente e non previsto, ai sensi dell’art.1809, comma 2, c.c..
Decorsi dieci anni dalla pronuncia del 2004, le Sezioni Unite tornano ad analizzare la questione, affrontando le critiche mosse alla sentenza, che avrebbe determinato una sostanziale espropriazione delle facoltà del comodante, senza distinguere tra comodante genitore del beneficiario e comodante terzo estraneo.
La sentenza n.20448 del 29 settembre 2014, in particolare, puntualizza che le SS.UU. del 2004, inquadrando il comodato di casa familiare nello “schema del comodato a termine indeterminato”, non hanno affatto inteso sussumere il suddetto rapporto negoziale nell’art.1810 c.c. e, cioè, nella disciplina del comodato precario. Precisa, infatti, la Corte che la determinazione della durata della concessione in comodato è implicita nella destinazione dell’immobile a casa familiare e a tale uso deve essere rapportata.
Nè può ritenersi che tale disciplina sia particolarmente pregiudizievole nei confronti del comodante. Rientra infatti nel potere di quest’ultimo la possibilità di prevedere un termine alla concessione, al momento della conclusione del contratto. Ove la relativa apposizione manchi e non sia neanche possibile desumere il termine dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, assumerà rilevanza il solo insorgere di un urgente ed imprevedibile bisogno, essendo precluso al comodante il recesso ad nutum.
La sentenza n.20448 del 2014 ha, dunque, confermato quanto già statuito dalla precedente pronuncia delle Sezioni Unite del 2004, inquadrando il comodato di immobile destinato ad abitazione familiare nella disciplina di cui all’art.1809 c.c., in quanto tale contratto sorge per un uso determinato e per un tempo indefinito, ma “determinabile per relationem”, ove non espressamente pattuito tra le parti. L’onere di provare l’esistenza di un contratto di comodato di casa familiare con scadenza non prefissata grava sul comodatario o sul coniuge assegnatario dell’immobile. Se così è – ritengono le Sezioni Unite – “risulta vano prospettare l’iniquità di uno sviluppo contrattuale che è stato voluto dalle stesse parti”.
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