Indice
- La legge Cirinnà e l’assist alla diatriba sulla fedeltà
- Il binomio fedeltà e matrimonio tra filosofia, storia e diritto
- Le influenze religiose e il paradigma cattolico
1. La legge Cirinnà e l’assist alla diatriba sulla fedeltà
>>>Leggi qui la legge 76/2016<<<
La legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà), rubricata Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze[1], ha riportato in auge il tema della fedeltà di coppia, valore da sempre al centro di diatribe giuridiche, morali, filosofiche, sociali.
Un valore che ha attraversato secoli, istituzioni, guerre e costumi, eppure ancora intellegibile nella sua reale essenza e che non manca di fomentare contrasti e polemiche.
Orbene, la legge Cirinnà interviene per frenare l’oramai solido corpo di condanne che erano giunte al Paese dalla Corte Europea.
Con la sentenza del 21 luglio 2015, emessa a definizione del caso Oliari e altri c. Italia[2], la Corte di Strasburgo aveva infatti ancora una volta contestato al Bel Paese la violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per aver omesso di adottare una legislazione volta al riconoscimento e alla protezione delle unioni civili tra persone del medesimo sesso.
Invero, nonostante l’intervento legislativo, la Corte europea non ha in alcun modo arrestato il proprio monito, atteso che con la sentenza del 14 dicembre 2017 Orlandi e altri vs Italia[3] – successiva dunque alla citata Legge Cirinnà – la prima sezione della Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) ha nuovamente condannato l’Italia per non aver garantito, alle coppie dello stesso sesso e sposate all’estero, protezione o riconoscimento legale prima del 5 giugno 2016, data di entrata in vigore della citata Legge n. 76/2016.
Pertanto, il passo in avanti compiuto dallo Stato italiano con il riconoscimento delle unioni civili appare ancora troppo corto e certamente instabile rispetto al panorama legislativo europeo e non solo[4].
Ma la Legge Cirinnà, oltre a non risultare bastevole ed ancora quasi embrionale nella risoluzione di un radicato problema giuridico-sociale, si presenta omissiva anche con riferimento ad altri aspetti, uno dei quali è qui di pregnante interesse: in essa non si menziona mai la fedeltà.
Orbene, l’unione civile è la possibilità riconosciuta ad individui dello stesso sesso, legati tra loro da un vincolo affettivo, di stabilire un legame valido dinanzi allo Stato. Essa appare pertanto molto simile all’istituto del matrimonio. I partners di un’unione civile possono adottare un bambino, ereditare in caso di morte di uno dei due, presentarsi alla società come coppia ufficiale ed istituzionalizzata. Sono reciprocamente obbligati alla coabitazione, alla reciproca assistenza morale e materiale, alla contribuzione ai bisogni comuni (della famiglia). Ma nessun cenno all’obbligo reciproco alla fedeltà.
L’omissione ha prodotto vivaci reazioni di giuristi e studiosi.
Da una parte, vi è chi ha voluto con forza ritenere che il legislatore, non menzionando la fedeltà reciproca, abbia voluto affermare che l’unione civile è comunque qualcosa di diverso rispetto al matrimonio “tradizionale” di cui all’art. 29 della Carta Costituzionale e come descritto in seno al codice civile; secondo questa interpretazione, il matrimonio di cui all’art. 29 Cost. permarrebbe sempre la forma di unione posta a reale fondamento della nostra società. Dopotutto, i sostenitori di questa tesi hanno voluto ripetutamente sottolineare come la Legge Cirinnà definisca l’unione civile tra individui del medesimo sesso come una “specifica formazione sociale”, così richiamando l’art. 2 e 3 della Costituzione in luogo del citato art. 29 che resterebbe quindi riferibile al solo rapporto di coniugio[5].
Dall’altra parte, vi è chi ha ritenuto l’omissione inesistente, richiamando una corposa letteratura – non solo giuridica – secondo cui, invero, l’obbligo di fedeltà è implicito ed intrinseco in ogni forma di rapporto che si fonda sull’affetto (e non solo), considerando come ovvio il fatto che qualsiasi unione debba basarsi sulla fiducia e sulla lealtà reciproca; di talché, risulterebbe innecessaria l’espressa previsione risultando l’obbligo di fedeltà in limine nel concetto stesso di unione.
Vi è infine chi ritenga lo stralcio della fedeltà[6] nella recente previsione legislativa solo come atto precursore di una significativa modifica dei costumi ai quali il diritto deve dare riscontro, assumendo come la fedeltà sia oggi sempre più elemento accidentale del matrimonio, indipendente dall’istituzione, non fondante la medesima e di fatto e sotto molteplici profili, non più rilevante ai fini della stabilità e prosecuzione del coniugio[7]. In quest’ottica, nella massima disamina evolutiva, la fedeltà dovrebbe essere stralciata anche dai doveri connessi al matrimonio, non potendosi diversamente ammettere una discriminazione a contrario delle coppie eterosessuali unite in matrimonio verso quelle omosessuali unite civilmente. A quest’ultima prospettiva fa da cassa di risonanza il timore espresso dai più radicali studiosi circa un’implicita positivizzazione della dissolutezza dei costumi.
Ma quest’ultimo punto, a ben vedere, ha assai più connessione con la morale che con il diritto.
Se ne desume facilmente, quindi, che la diatriba è specchio non tanto della capacità regolatrice del legislatore, quanto del senso stesso del valore fedeltà, da sempre in oscillazione continua tra le categorie dell’obbligo, del dovere o della libera scelta.
La sfumatura, oltre che filosofica, ha un chiaro richiamo giuridico: nella tradizione, l’obbligo concerne la necessità di soddisfare, adempiendo al comportamento imposto dalla legge, l’interesse specifico verso un soggetto o una parte identificata in un rapporto sinallagmatico; mentre il dovere, consta della necessità di soddisfare, adempiendo ad un comportamento imposto dalla legge, un interesse specifico generale e della comunità tutta, con riflessi che escono dal rapporto sinallagmatico e giungono alla generalità dei consociati.
Resta la scelta, libera, autonoma, frutto dell’arbitrio personale.
La legge Cirinnà risveglia così sopiti annosi quesiti.
Il presente elaborato pertanto, unitamente ad altre due successive disamine ad esso strettamente connesse (Il concetto di fedeltà tra diritti e società. La fedeltà nella storia – Parte II e Il concetto di fedeltà tra diritti e società. Un obbligo, un dovere, una scelta. Parte III) offrirà un quadro sul concetto di fedeltà sia in senso giuridico che filosofico al fine di comprendere quale sia il percorso che la società civile sta effettivamente compiendo.
Per meglio comprendere però la diatriba sul valore giuridico della fedeltà, occorre prima di tutto inquadrare il senso morale e filosofico del concetto stesso e pertanto in questo primo elaborato si offrirà una prima ricostruzione filosofica del concetto di fedeltà, con inevitabili riferimenti all’influenza religiosa, assegnando al successivo elaborato il compito dell’excursus storico, per poi concludere il percorso qui intrapreso con l’ultimo elaborato che restituirà al lettore la concezione giuridica e l’attualità della critica.
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2. Il binomio fedeltà e matrimonio tra filosofia, storia e diritto
Platone affermava che “col matrimonio si deve perpetuare se stessi nell’eternità, lasciando una successione ininterrotta di figli e nipoti che dopo di noi ci sostituiranno nella funzione di devoti servitori del dio“[8]. Egli vedeva dunque nella società coniugale il principio e l’origine di tutti gli stati[9]. Ed affermava: “L’unione di un uomo e di una donna comporta un parto, e questo è cosa divina. Nell’essere vivente mortale vi è questo di immortale: la gravidanza e la generazione. Ma queste non si possono produrre in ciò che sia disarmonico“[10].
Quanto ad Aristotele, la famiglia è considerata come prima organizzazione naturale: “l’uomo, infatti, è per sua natura più incline a vivere in coppia che ad associarsi politicamente, in quanto la famiglia è qualcosa di anteriore e di più necessario dello Stato, e l’istinto di procreazione è più comune tra gli animali. Ma mentre per gli animali la comunità giunge solo alla procreazione, gli uomini si mettono a vivere insieme non solo per generare figli, ma anche per provvedere alle necessità della vita. Fin dall’inizio, infatti, si dividono le funzioni: quelle del marito sono diverse da quelle della moglie, quindi si aiutano l’un l’altro, ponendo in comune le specifiche qualità personali”[11]. Aristotele pertanto considerava la famiglia come elemento primario (che viene per prima nell’ordine temporale) ed antecedente allo Stato.
Atteso il valore istitutivo del matrimonio, quale appunto istituzione naturale, tanto il primo quanto il secondo filosofo, ritenevano compito dello Stato disciplinare modalità e condizioni del coniugio, alla luce della somma considerazione che esso era finalizzato esclusivamente alla procreazione ed educazione della prole, e quindi alla creazione di comunità. Il connubio terminologico ed ideologico matrimonio-filiazione permarrà inalterato sino ai giorni nostri, trovando autonomia, lessicale e non, solo di recente.
E’ invece propriamente kantiana l’idea del matrimonio come contratto: il pragmatico filosofo lo definiva come l’unione di due persone di sesso diverso per il possesso reciproco delle loro facoltà sessuali durante tutta la vita[12]. Più precisamente: “[…]il matrimonio [Ehe] (matrimonium), cioè l’unione di due persone di sesso diverso per il reciproco possesso durante tutta la vita delle loro caratteristiche sessuali [Geschlechtseigenschaften]. – Lo scopo di generare e di educare i figli, può sempre essere uno scopo della natura, per il quale scopo essa ha instillato l’inclinazione dei sessi l’uno verso l’altro; tuttavia, che l’essere umano che si sposa, debba proporsi questo scopo, non viene richiesto ai fini della legittimità di questo suo legame; poiché altrimenti, una volta terminata la procreazione, il matrimonio si scioglierebbe da sé. Infatti, anche alla condizione del desiderio dell’uso reciproco delle loro caratteristiche sessuali, il contratto matrimoniale non è un contratto qualsiasi, bensì un contratto necessario secondo la legge dell’umanità, cioè, nel caso in cui un uomo e una donna vogliano l’uno con l’altro godere reciprocamente delle loro proprietà sessuali, allora devono necessariamente sposarsi, e ciò è necessario secondo le leggi giuridiche della ragion pura“[13]
Kant considerava il matrimonio come fonte di un diritto reale oltre che personale; tale prospettazione aveva il sapore di considerare il matrimonio come un contratto per tramite del quale ognuna delle due persone acquista reciprocamente l’altra proprio come una cosa, ma proprio nella reciprocità di tale acquisto insiste il riscatto della personalità dei due coniugi[14]. Ma è ancor più pregnante, quando afferma: “Per gli stessi motivi il legame tra coniugi è un rapporto di uguaglianza di possesso, tanto delle persone che si posseggono l’un l’altra reciprocamente (di conseguenza soltanto nella monogamia, poiché in una poligamia la persona, che si dà a un altro, acquisisce soltanto una parte dell’altro, al quale questa persona si abbandona completamente, facendosi quindi soltanto cosa), quanto dei doni della sorte, quantunque essi abbiano la facoltà, benché solo attraverso un particolare contratto, di rinunciare all’uso di una parte dei doni stessi“[15]
Risulta invece assai più sentimentale Hegel: pur ritrovandosi quel sapore civilistico contrattuale, il matrimonio, egli diceva, va inteso come un’unione morale del sentimento, nel mutuo amore e fiducia, che fa di due persone una sola persona. Egli afferma che il matrimonio è basato sul “libero consenso delle persone […]proprio a costituire una persona, a rinunziare alla loro personalità naturale e singola in quella unità” e dunque “come ciò che è elevato sopra l’accidentalità delle passioni e del temporaneo libito particolare, come ciò che è in sé indissolubile” [16].
Dovrà attendersi la letteratura dei sociologi per cominciare a ritenere il matrimonio un’istituzione sociale[17].
Non può poi trascurarsi quanto affermava Kierkegaard che allacciava strettamente il matrimonio alla concezione etica (Il matrimonio è divino[18]). Egli riteneva che la vita etica si caratterizza per la sua storicità, per la centralità che in essa assume la scelta, per la quotidianità. Vale a dire che per il filosofo è etica una data scelta assunta nella vita, ripetuta nel tempo, riconfermata e consolidata giorno per giorno, che per questo esula la continua ricerca del momento eccezionale ma concede e riconosce valore anche alle vicende più semplici rendendole elementi magnifici del medesimo quadro[19].
Kierkegaard usa il termine “ripresa” nel senso di riaffermazione delle scelte compiute, vale a dire un atto che si rinnova momento per momento nella libertà e nella serietà e che trova nell’amore coniugale la propria raffigurazione più efficace: “la ripresa è una sposa amata di cui non accade mai di stancarsi, perché ci si stanca soltanto del nuovo, mai del vecchio e la presenza delle cose a cui si è abituati rende felici”[20].
3. Le influenze religiose e il paradigma cattolico
E’ poi tutt’oggi citata e richiamata, sebbene a volte con delle significative alterazioni rispetto alla fonte originale, l’idea Agostiniana del matrimonio: “Ciascun uomo è parte del genere umano; la sua natura è qualcosa di sociale e anche la forza dell’amicizia è un grande bene che egli possiede come innato. Per questa ragione Dio volle dare origine a tutti gli uomini da un unico individuo, in modo che nella loro società fossero stretti non solo dall’appartenenza al medesimo genere, ma anche dal vincolo della parentela. Pertanto il primo naturale legame della società umana è quello fra uomo e donna. E Dio non produsse neppure ciascuno dei due separatamente, congiungendoli poi come stranieri, ma creò l’una dall’altro, e il fianco dell’uomo, da cui la donna fu estratta e formata, sta ad indicare la forza della loro congiunzione. Fianco a fianco infatti si uniscono coloro che camminano insieme e che insieme guardano alla stessa meta. Conseguenza è che la società si continua nei figli che sono l’unico frutto onesto non del legame tra l’uomo e la donna, ma della relazione sessuale. Infatti anche senza un simile rapporto vi sarebbe potuta essere nei due sessi una forma di amichevole e fraterna congiunzione, fungendo l’uomo da guida e la donna da compagna”[21].
Dall’idea di Agostino ricaviamo tre elementi dirimenti: il matrimonio è tale quando si basa sul bonum fidei, bonum prolis, bonum sacramenti. Per Sant’Agostino il matrimonio è un bene retto sull’esclusività del vincolo e sulla reciproca fedeltà dei coniugi (bonum fidei: “E a questa fedeltà l’Apostolo attribuisce un diritto tanto grande da chiamarla potestà, quando dice: Non è la moglie che ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo non è il marito che ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie”); sulla procreazione e educazione della prole (bonum prolis); sull’indissolubilità del vincolo (bonum sacramenti)[22].
A ben vedere, i tre principi che fondano il matrimonio agostiniano si ritrovano come sfondo dei più alti e svariati dibattiti giuridico-sociali sull’istituzione matrimoniale.
Sant’Agostino invero offre un facile assist per richiamare la concezione canonica dell’obbligo di fedeltà, una concezione che ha significativamente strutturato il costume sociale.
Il matrimonio canonico, con l’accettazione delle regole che ad esso sono direttamente connesse, è considerato dalla Chiesa Cattolica l’unico paradigma possibile. Alla base del paradigma vi è l’indissolubilità, a sua volta giustificata ed argomentata sulla scorta non solo del valore sacramentale dell’unione, ma della sua stessa finalità, identificata nella “conservazione e sviluppo del genere umano e dell’innalzamento delle anime”[23]. Al di là della finalità matrimoniale, e dunque della procreazione, non vi è innalzamento di anime ma depravazione e dissoluzione.
La Chiesa dunque permane ancorata alla condanna delle relazioni sessuali fine a se stesse, definite negativamente fornicazione.
Tale concezione ha fortemente influenzato storia e costumi, relegando la figura femminile ad una funzione procreatrice dentro il matrimonio, e la cui pudicità, nella sacralità del concepimento e della gestazione, le impedisce per secoli un affrancamento da tale funzione, corroborata dalla discrasia di funzioni e ruoli uomo/donna, e dalla disparità di trattamento nell’ipotesi di violazione dei voti matrimoniali[24].
E’ sempre di Sant’Agostino l’affermazione secondo la quale, come afferma la Divina Scrittura, “non è consentito di passare a nuove nozze a una donna ripudiata dal marito, finché il marito vive, né è consentito di risposarsi all’uomo respinto dalla moglie, finché non sia morta quella che lo ha abbandonato”[25]; pertanto, mentre la donna è ripudiata, l’uomo potrebbe essere meramente respinto, con conseguenze, va da sé, giuridicamente differenti.
Sul ripudio i paesi al di là del Mediterraneo molto ci dicono tutt’oggi.
La finalità procreativa – e dunque la funzione della donna – è inequivocabile lì dove Sant’Agostino afferma che “anzi, quanto migliori sono i coniugi, tanto più presto cominceranno ad astenersi di reciproco accordo dall’unione della carne: in tal modo non diventa in seguito inevitabile non potere più ciò che ancora si vorrebbe, ma si acquista il merito di aver rinunciato fin da prima a ciò che ancora si poteva”[26]. Ed ancora: “Inoltre così la concupiscenza carnale viene frenata e in un certo qual modo arde più pudicamente, perché la mitiga il sentimento della paternità. Si frappone infatti una specie di dignità nell’ardore del piacere, se nel momento in cui l’uomo e la donna sono congiunti l’uno con l’altro, pensano di essere padre e madre”[27].
Orbene, alla luce della descritta finalità matrimoniale e funzione procreativa e gestionale della donna, al di fuori della quale è l’accoppiamento carnale e privo di dignità, la Chiesa segue un’argomentazione miliare nella descrizione del valore della fedeltà.
I coniugi sono sì tenuti alla reciproca fedeltà, e riconduce, come citato in ragione del bonum fidei, la fedeltà alla potestà dell’uno sul corpo dell’altra.
La violazione di tale potestà si chiama adulterio, quando cioè per impulso di mera libidine o per accondiscendenza a quella altrui, si hanno rapporti con persona diversa dal coniuge, contrariamente al patto coniugale[28]. Ma nelle logiche più restrittive – si pensi ai paesi che applicano la Sharia – è adulterio anche solo consentire la fugace ed accidentale visione di brevi parti del corpo della donna (la caviglia, le mani,e certamente il volto).
Ne consegue che quel connubio terminologico tra fedeltà e potestà richiamato da Sant’Agostino, raggiunge le agghiaccianti conseguenze dell’assoluta proprietà della donna, intesa come oggetto, posseduto, di cui si dispone arbitrariamente, privo di autorità alcuna sul proprio corpo, sui propri desideri, e rimessa assolutamente alla volontà e voglia dispositiva del coniuge, aprendosi sempre di più la forbice del divario tra le differenti e non equivalenti posizioni dei coniugi da dentro il matrimonio ed al suo esterno nella società.
Ma ciò non sorprende. E’ assai conosciuto l’incipit offerto dallo studio antropologico sul matrimonio di Mayr che così incalza: “A che serve un marito?”- “A fare una donna onesta”[29]. Ne consegue che la valenza dell’accordo matrimoniale è tutto riferito alla fedeltà sessuale, con un importante “salvataggio” in favore della figura femminile che diversamente risulterebbe donna disonesta. Ma non solo. L’onestà femminile è ricondotta sì ad una valutazione personale sulla valenza morale della donna, ma pure è sempre e strettamente connessa alla certezza dell’attribuzione della paternità alla quale, a secondo delle epoche, era poi strettamente collegato l’accesso all’eredità.
La donna era (ed è) responsabile altresì della genuinità della discendenza.
Su tale punto, un’interessante elemento di lettura sull’evoluzione del matrimonio e sul concetto di fedeltà coniugale è da attribuirsi al diritto romano ed all’evoluzione del concetto di fedeltà nella storia.
>>>Segue: Il concetto di fedeltà tra diritto e società. La fedeltà nella storia
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Note
[1] (GU Serie Generale n.118 del 21-05-2016) Legge 20 maggio 2016 n. 76, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.
[2] Corte Europea dei Diritti Umani, 21 luglio 2015 , Ricorsi nn. 18766/11 e 36030/11, ric.18 766/11 e 36030/11, Oliari e altri vs Italia, CeduinCammino, http://www.ceduincammino.it/
[3] Corte Europea dei Diritti Umani, 14 Dicembre 2017 Ricorsi nn. 26431/12, 26742/12, 44057/12 e 60088/12 – Causa Orlandi e altri vs Italia, CeduinCammino, http://www.ceduincammino.it/
[4] Cfr. F. Romeo, Nuovi modelli familiari e autonomia negoziale, in Quaderni di Diritto delle successioni e della famiglia, Ed. Scientifiche Italiane, n. 19/2022 e F. Romeo in Genitori e figli nel quadro del pluralismo familiare in Quaderni di Diritto delle successioni e della famiglia, Ed. Scientifiche Italiane, n.1/2022.
[5] Vedi anche M. R. Marella, Dal diritto alla bigenitorialità al ddl Cirinnà: un’incursione nelle strutture profonde del diritto di famiglia, 2016, www.europeanrights.eu
[6] Cfr. Prof. Carlo Rimini, docente di Diritto Privato, su La Stampa del 26/02/2016:«Nell’elencare i diritti e i doveri che nascono dall’unione civile, il nuovo testo trascrive letteralmente quelli che derivano dal matrimonio ma non menziona la fedeltà. Lo stralcio al dovere di fedeltà nella coppia formata con l’unione civile è una differenza di trattamento rispetto al matrimonio che non ha alcuna ragionevole giustificazione: è come dire che non si può pretendere che gli omosessuali siano fedeli. Ma non può tacersi che anche nel matrimonio la giurisprudenza tende ormai ad attribuire sempre minor rilievo alla violazione dell’obbligo di fedeltà».
[7] Secondo Cassazione Civile sentenza n. 2059/2012: “in tema di addebito della separazione personale l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile.” Ciò nonostante, secondo l’orientamento più diffuso in giurisprudenza il nesso di causalità fra il tradimento e la fine del matrimonio è indispensabile e difficilmente questo potrà essere provato se nel frattempo era stato recuperato un rapporto apparentemente armonico (Corte di Cassazione n. 25560/2010, n.16270/2013 e ancora n. 11448/2017). In caso di tradimento quindi a rilevare ai fini dell’addebito è il tempo. Come infatti ha precisato la Cassazione nella sentenza n. 1715/2019 “la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto rende irrilevante la successiva inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale ai fini della dichiarazione di addebito della separazione.” Tuttavia qualora si dimostra che il coniuge tradito, ha perdonato unicamente per cercare di salvare il matrimonio e per i figli, e che il coniuge adultero ha mantenuto un comportamento poco rispettose nei confronti della moglie, sarà possibile procedere con la richiesta di addebito della separazione. In tal senso si è espressa la Cassazione con sentenza n. 12541/16 del 7.06.2017. Lo ha poi nuovamente confermato anche la Cassazione n. 14591/2019, a cui ha fatto ricorso un marito che ha chiesto l’addebito della separazione alla moglie traditrice che ha abbandonato anche il tetto coniugale. La Corte infatti ha spiegato: “l’abbandono del tetto coniugale non giustifica l’addebito ove sia motivato da una giusta causa costituita dal determinarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza coniugale.” Nel caso di specie infatti la fine del matrimonio è stata cagionata dalla preesistente conflittualità tra i coniugi, che quindi toglie valore al tradimento e al successivo allontanamento da casa della moglie ai fini dell’addebito. Negli anni, il concetto di tradimento si è poi nuovamente modificato, giungendo alla nuova interpretazione offerta con la sentenza n. 1136/2020 Cass. Civ., sulla quale torneremo nel corso di questa trattazione. Resta inteso che la Cassazione oggi ha chiarito che “la relazione con estranei che dia luogo a plausibili sospetti d’infedeltà rende addebitabile la separazione, quando comporti offesa alla dignità ed all’onore del coniuge, anche se non si sostanzi in adulterio.” Non è quindi necessario in sostanza che il tradimento sia stato consumato, così ulteriormente destituendosi di fondamento l’obbligo di fedeltà, ma prende maggior spazio e vigore altro concetto vale a dire la lesione dell’onore e della dignità del coniuge tradito.
[8] Platone, Le Leggi, VI 773E.
[9] Platone, Le Leggi, Libro IV, 721 a
[10] Platone, Simposio, 206 C-D.
[11] Aristotele, Etica Nicomachea, 13, 1162 A, 17-24.
[12] I. Kant, Del diritto personale di specie reale, Metafisica dei costumi, Dottrina del diritto §§ 22 – 30: “Questo diritto è quello del possesso di un oggetto esterno come di una cosa e dell’uso della stessa come di una persona. Il mio e il tuo secondo questo diritto costituiscono il domestico, e il rapporto in questa condizione è quello della comunità di esseri liberi, che per la reciproca influenza (della persona dell’uno su quella dell’altro) formano, secondo il principio della libertà esterna (della causalità), una società di membri di un tutto (di persone che si trovano in comunità) che si chiama casa. Il modo in cui si acquisisce questa condizione e all’interno della stessa non avviene né per atto autoritario (facto), né per semplice contratto (pacto), ma soltanto attraverso la legge (lege), la quale, poiché non è un diritto su una cosa e neanche un puro e semplice diritto verso una persona, ma è contemporaneamente anche un possesso della stessa, dev’essere un diritto al disopra del diritto reale e del diritto personale, cioè il diritto dell’umanità che risiede nella nostra persona, il quale ha per conseguenza una legge naturale permissiva, attraverso il cui favore è possibile un tale acquisto“; “L’acquisto che si fonda su questa legge è, quanto al suo oggetto, di tre specie: l’uomo acquista una moglie, la coppia dei figli, e la famiglia dei domestici. Ognuno di questi acquisti è nello stesso tempo inalienabile, e il diritto del possessore di questi oggetti è il più personale di tutti i diritti”.
[13]I. Kant, Metafisica dei costumi, Dottrina del diritto; Il diritto della società domestica, Titolo primo: Il diritto coniugale, § 24
[14] Vedi nota 12; cfr. Beever, A. (2013). Kant on the Law of Marriage. Kantian Review, 18(3), 339-362; cfr. Denis, Lara. “From Friendship to Marriage: Revising Kant.” Philosophy and Phenomenological Research, vol. 63, no. 1, 2001, pp. 1–28. JSTOR; cfr. Hanley, Ryan Patrick. “Kant’s Sexual Contract.” The Journal of Politics, vol. 76, no. 4, 2014, pp. 914–27. JSTOR,
[15] I. Kant, Metafisica dei costumi, Dottrina del diritto; Il diritto della società domestica, Titolo primo: Il diritto coniugale, § 26
[16] Hegel Lineamenti di filosofia del diritto, Par. 162-164
[17] Cfr. Grillo D., Il pensiero filosofico sul matrimonio e sulla famiglia, Ed. QuiEdit, Verona, 2017
[18] S. Kierkegaard, Sul Matrimonio. In risposta alle obiezioni di un marito, Ed. BUR Rizzoli, 2006
[19] Vedi nota 10
[20] S. Kierkegaard, La ripresa, Edizioni di Comunità, Milano 1963, p. 23
[21] S’Agostino, De bono coniugali – De Sancta Virginitate di Saint Augustine of Hippo, Oxford Univ. Pr.
[22] Cfr. anche Gianluca Tracuzzi, Spunti filosofico-giuridici sull’amore. A proposito delle unioni civili, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 32/2016 17 ottobre 2016 ISSN 1971- 8543
[23] Sul punto si veda Concilio di Trento, sess. XXIV, De riformatione Matrimonii.
[24]Cfr. I. Kant, Metafisica dei costumi, Dottrina del diritto; Il diritto della società domestica, Titolo primo: Il diritto coniugale, § 26.
[25] Cfr. Sacre Scritture, I Vangeli, Matteo 19, 9.
[26] S’Agostino, De bono coniugali – De Sancta Virginitate di Saint Augustine of Hippo, Oxford Univ. Pr. 1,1
[27] S’Agostino, De bono coniugali – De Sancta Virginitate di Saint Augustine of Hippo, Oxford Univ. Pr. 12, 14
[28] Cfr. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA – DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA; CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE GIURIDICHE CICLO XIX; Tesi “Adulterium e Stuprum Declinazioni della giustizia nella criminalistica moderna (secc. XVI-XVII)”; RELATORE Chiar.mo Prof. Massimo Meccarelli; Dottorando Dott. Gustavo Adolfo Nobile Mattei; COORDINATORE DI DOTTORATO Chiar.mo Prof. Paolo Palchetti.
[29] L. Mayr, Il matrimonio: un’analisi antropologica, Il Mulino, Bologna, 1976, p. 19
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