precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 20/02/1997
La vicenda
Un’assemblea condominiale aveva esaminato, con esito positivo, in sei riunioni avvenute tra il 2005 e il 2007, la ricorrenza dei presupposti previsti dall’art. 1120 c.c. e dalla legge n. 13/1989 per l’installazione di un ascensore nelle parti comuni del caseggiato. In altre parole, la collettività condominiale aveva autorizzato l’installazione del predetto impianto da parte di alcuni interessati condomini, autorizzando ripetutamente le opere, con decisioni mai impugnate.
Tuttavia, una successiva deliberazione, approvata il 22 settembre 2008, rinnegava le precedenti decisioni, negando la legittimità dell’installazione dell’ascensore. A sostegno di questa nuova presa di posizione l’assemblea deduceva, come fatto nuovo, l’assenza di un progetto esecutivo. Un gruppo di condomini impugnavano tale decisione che veniva dichiarata nulla dal Tribunale; successivamente, rigettando il gravame avanzato dai due condomini, la Corte d’Appello confermava la nullità della delibera del 2008. Secondo i giudici di secondo grado i condomini promotori dell’installazione dell’ascensore avevano già conseguito l’autorizzazione ad eseguire l’innovazione in forza dei precedenti deliberati, senza che fossero sopravvenuti elementi nuovi che potessero giustificare il ripensamento collegiale. In ogni caso, la Corte respingeva l’eccezione di inammissibilità dell’appello, giacché proposto da interventori adesivi dipendenti.
I due condomini soccombenti ricorrevano in cassazione eccependo che i giudici di secondo grado avevano compiuto un indebito controllo sulla delibera, la quale aveva, in realtà, preso atto dell’interesse contrario all’installazione dell’ascensore manifestato dai restanti condomini, non avendo mai l’assemblea in passato approvato il progetto tecnico esecutivo per la realizzazione dell’impianto. Il gruppo di condomini vittorioso nei primi due gradi di giudizio e contrari alla delibera del 2008, invece, proponevano ricorso incidentale condizionato, contestando l’eccezione di inammissibilità dell’appello in quanto proposto da interventori adesivi dipendenti.
La questione
È legittimo il comportamento del condominio che prima autorizza l’installazione di un ascensore nelle parti comuni, da parte di uno o più condomini, e poi revoca detta autorizzazione tramite una successiva assemblea?
La soluzione
I giudici supremi hanno notato come la Corte d’Appello avrebbero dovuto verificare la legittimità o meno alla legge o al regolamento della deliberazione del 2008; secondo la Cassazione, quindi, i giudici di secondo grado hanno errato nell’affermare che l’ultima delibera sopra detta aveva sostituito precedenti delibere sul medesimo argomento ritenute ormai inoppugnabili; del resto il consenso dei condomini è revocabile per fatti sopravvenuti. La fondatezza del ricorso principale ha reso attuale l’interesse a prendere in esame il ricorso incidentale condizionato. A tale proposito la Cassazione ha accertato il difetto di legittimazione ad appellare dei due ricorrenti con la conseguenza che è stata disposta la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata poiché il processo non poteva essere proseguito.
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Le riflessioni conclusive
Per apportare alle parti comuni delle modifiche, che non alterano la destinazione e non impediscono l’altrui pari uso, trattandosi di esercizio delle facoltà inerenti al diritto dominicale, il condomino non ha bisogno dell’approvazione dell’assemblea. Del resto, è stato già affermato che l’installazione di un ascensore, al fine dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi la disciplina dettata dall’art. 907 c.c., sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nella l. 9 gennaio 1989, n. 13, art. 3, comma 2, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale (Cass. civ., sez. II, 03/08/2012, n. 14096). Il consenso degli altri condomini, però, può evitare pericolosi contenziosi; in ogni caso, l’autorizzazione, concessa dall’assemblea su richiesta del condomino per ragioni di civile convivenza, non può interpretarsi che come riconoscimento, da parte del collegio, dell’inesistenza delle pretese degli altri condomini di usare la cosa comune, quindi, come apprezzamento in concreto del fatto che l’uso più intenso prospettato dal singolo non dà luogo ad un impedimento all’altrui pari uso, tenuto conto delle ragionevoli prospettive offerte dalla cosa, valutate in concreto con riferimento al caso di specie. Come precisa la Cassazione, però, il consenso ottenuto non può ritenersi come un autonomo diritto acquisito dai condomini, rimanendo così revocabile dalla medesima assemblea sulla base di una rivalutazione di dati ed apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione degli interessi comuni ed alla buona gestione dell’amministrazione.
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