Il conflitto di interesse non può essere valutato solo in via astratta ma va accertato in concreto sulla base di prove specifiche

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Riferimenti normativi: art. 53, comma 16 ter del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – art. 42 del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 – appalti – divieto di pantouflage – conflitto di interesse

La vicenda trae origine dall’aggiudicazione di una gara per la concessione in uso dell’area di sosta e di un immobile ad uso bar di proprietà pubblica.

Con ricorso al Tar, la società collocatasi al secondo posto nella graduatoria impugna l’aggiudicazione, denunciando il rapporto lavorativo che, alla data della presentazione dell’offerta, legava la stazione appaltante e due suoi dipendenti, che, al tempo stesso, erano rispettivamente anche legale rappresentante e socio della società aggiudicataria. Tale situazione avrebbe determinato la violazione del Piano triennale anticorruzione adottato dall’ente appaltante, in particolare del divieto per tutti i dipendenti di instaurare rapporti di lavoro autonomo o subordinato con soggetti privati che siano destinatari di accordi, contratti o provvedimenti con l’ente stesso, per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro; circostanza che, a dire della ricorrente, concretizza una palese violazione del principio fondamentale della par condicio tra i partecipanti alla gara e il divieto di pantouflage disciplinato dall’art. 53, comma 16-ter, del D. Lgs. n. 165/2001.

La ricorrente, tra i vari motivi, lamenta anche la violazione delle disposizioni sul conflitto di interesse, in particolare dell’art. 42 del D. Lgs. n. 50/2016, denunciando la situazione lavorativa di colleganza tra i due lavoratori (facenti parte della compagine sociale della ditta aggiudicataria) ed i componenti della commissione aggiudicatrice, tutti dipendenti della stazione appaltante.

Avverso la sentenza di rigetto del Tar viene proposto appello, con il quale la ricorrente ribadisce le predette censure formulate in primo grado.

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Per il Consiglio di Stato i motivi di ricorso sono infondati.

In ordine al primo profilo il Collegio richiama la portata dell’art. 53, comma 16 ter, del D. Lgs. n. 165/2001, che pone il divieto per i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, di svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della Pubblica Amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.

Per il Consiglio di Stato il divieto di pantouflage va interpretato nel senso che “gli ex dipendenti pubblici non possono nei tre anni successivi assumere rapporti di lavoro privati o incarichi professionali presso soggetti privati destinatari dell’attività del soggetto pubblico al tempo datore di lavoro di tali ex dipendenti”. Il Collegio, però, in virtù del fatto che dagli atti processuali emerge che le persone interessate avevano avuto la qualifica di “operai ex qualificati”, addetti a compiti esecutivi variabili e non complessi presso la stazione appaltante, ritiene che “i due non esercitassero quei poteri autoritativi o negoziali che impediscono assunzioni o incarichi da parte di soggetti privati e che dunque il richiamo ai divieti di pantouflage non possa trovare nessi di collegamento con la fattispecie concreta in esame”.

Con riferimento all’altro motivo di ricorso innanzi richiamato, ossia la violazione delle norme stabilite dal Codice dei contratti pubblici in tema di conflitto di interesse, profilo più complesso sotto  l’aspetto interpretativo, la ricorrente ipotizza che la situazione di colleganza (dismessa solo dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte), derivante dal fatto che i rappresentanti della ditta aggiudicataria ed i componenti della commissione aggiudicatrice lavoravano nella stessa stazione appaltante, avrebbe compromesso l’imparzialità dell’operato della commissione, provocando di fatto “un giudizio non cristallino, stante l’assenza di sub criteri di scelta del contraente”.

Il Collegio, alla luce del contenuto dall’art. 42 del D. Lgs. n. 50/2016[1], evidenzia, in linea di principio, come si possa pacificamente desumere dalla norma che “il conflitto non può sussistere in via astratta” per il semplice pregresso rapporto di conoscenza o di colleganza, in cui non era nemmeno dimostrato se i componenti della commissione di gara lavoravano nello stesso ufficio dei rappresentanti della ditta aggiudicataria, “ma deve fondarsi per lo meno su indizi concreti che dimostrino la sussistenza di un interesse comune tra concorrenti e commissari”.

Tale decisione è supportata dall’orientamento giurisprudenziale secondo cui la situazione del conflitto di interessi ex art. 42, comma 2, D. Lgs. n. 50/2016 con riferimento all’attività di un funzionario che, contestualmente, sia anche titolare di interessi personali o di terzi “non può essere predicata in via astratta, dovendo essere accertata in concreto sulla base di prove specifiche ed in ogni caso[2]. Per il Collegio, inoltre, l’assenza di sub criteri, richiamata dalla ricorrente, non concretizza quelle prove specifiche richieste per qualificare la situazione come conflitto di interesse, “visto che la stessa indicazione di sub criteri non è obbligo specifico di qualsiasi gara e nemmeno essi devono essere determinati dalla commissione, ma dalla stessa stazione appaltante”.

A parere di chi scrive, se si aderisce alla tesi del conflitto reale, secondo cui sono necessari indizi concreti per configurare una situazione rilevante, le motivazioni sull’assenza di conflitto rappresentate dai Giudici di Palazzo Spada sono condivisibili in relazione al caso di specie. Ne consegue che nella vicenda esaminata non può essere configurata una plausibile situazione di conflitto, dal momento che non è riscontrabile, tra i componenti della commissione e i colleghi di lavoro, la concreta comunanza di interessi che possa aver realmente condizionato la gara.

Al riguardo, però, per completezza descrittiva, vanno richiamate alcune affermazioni di principio contenute in recenti pronunce che, in materia di appalti, qualificano le disposizioni sul conflitto di interesse come norme di pericolo e considerano ogni situazione che determini un conflitto, anche solo virtuale, tra il soggetto e le funzioni attribuitegli, rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 42 del Codice degli appalti perché in grado, anche solo potenzialmente, di mettere a rischio l’imparzialità richiesta nell’esercizio del potere decisionale[3]. Tali considerazioni sono peraltro coerenti con il principio che emerge dal Parere n. 667 reso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato nell’adunanza del 5 marzo 2019, secondo cui “il conflitto di interessi non consiste quindi in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno”, per cui l’essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti distinti e la norma va intesa come operante indipendentemente dal concretizzarsi di un vantaggio, per il solo pericolo di pregiudizio che la situazione determina[4].

La tesi della vicinanza tra funzionario e concorrenti

Se si aderisce alla tesi del conflitto potenziale, la “vicinanza” tra funzionario e concorrenti è di per sé sufficiente a configurarlo perché, a prescindere dalla distanza degli stessi interessi, espone l’interesse pubblico (cd. funzionalizzato) al pericolo del pregiudizio che la situazione di contiguità possa determinare.

A chi scrive, però, appare più coerente con il quadro normativo di riferimento e con il sistema delle garanzie costituzionali (artt. 41 e 97 Cost.) una lettura del citato articolo 42 che contemperi i due criteri, in maniera tale da valutare, ai fini dell’insorgenza del conflitto, quanto la vicinanza tra i soggetti sia circostanziata e caratterizzata da dati oggettivi. Occorre privilegiare un’analisi contestualizzata dell’assetto di interessi piuttosto che l’automatica sussunzione della situazione (fattispecie concreta) nella norma che disciplina il conflitto (fattispecie astratta): la correlazione tra le posizioni confliggenti e l’intreccio di rapporti, se concreti e tangibili, rendono ancor più verosimili l’interferenza nella procedura e la lesione della gara e dei principi che la governano (par condicio dei concorrenti, imparzialità dell’azione amministrativa, acquisizione della migliore offerta), evitando, così, il rischio che la qualificazione del conflitto possa coincidere con una mera ipotesi astratta e congetturale.

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Note

[1] Per chiarezza espositiva si riporta il contenuto testuale dell’art. 42 del D. Lgs. n. 50/2016:

Art. 42 Conflitto di interesse

  1. Le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici.
  2. Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.
  3. Il personale che versa nelle ipotesi di cui al comma 2 è tenuto a darne comunicazione alla stazione appaltante, ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni. Fatte salve le ipotesi di responsabilità amministrativa e penale, la mancata astensione nei casi di cui al primo periodo costituisce comunque fonte di responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico.
  4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 valgono anche per la fase di esecuzione dei contratti pubblici.
  5. La stazione appaltante vigila affinché gli adempimenti di cui ai commi 3 e 4 siano rispettati.

 

[2] Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2020 n. 2863; Cons. Stato, sez. V, 17 aprile 2019, n. 2511.

[3] Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415; Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 2020, n. 3048; Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2019, n. 355.

[4] Si vedano anche: Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415; Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2020, n. 5151.

Sentenza collegata

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Giacomo Giuseppe Verde

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