Con decisione n.1170 del 30/12/2008 il Consiglio di Giustizia Amministrativa nel decidere in ordine ad una controversia, entra nel merito del campo delle professioni non regolamentate con particolare riferimento a quella del Pedagogista e del Pedagogista clinico. Il collegio, nel ritenere censurabile l’utilizzo di una dizione difforme a quella adottata dalle singole UU.SS.LL., giusta circolare dell’Assessorato per la Sanità della Regione Siciliana n. 845/NP del 17/06/1988, per l’individuazione del Dirigente Pedagogista del ruolo sanitario, afferma che l’accezione <<clinico>> “..definisce, con l’estensione terminologica, la sua tipicità, sotto il profilo professionale. Ciò trova conferma, del resto, nelle regole organizzative della relativa figura professionale, dettate dallo statuto di apposita associazione, che raggruppa, in sede nazionale la categoria (l’ANPEC), ben distinta da quella dei pedagogisti (ANPE) retta da differente statuto, con apposito e distinto albo professionale”.
Il Collegio aggiunge altresì che “per maggior precisione, lo statuto ANPEC prevede, ai fini della ammissione, <<una specifica formazione per la professione di pedagogista clinico>> ed il superamento di un puntuale esame di idoneità <<previsto e attuato da una commissione istituita dal Consiglio Nazionale dell’ANPEC>>, sulla base di una formazione post laurea (art. 7 Stat.) stabilita dallo stesso statuto, che per altro richiede, quale titolo di base, una laurea specialistica non meglio definita. Differentemente, per i propri iscritti, l’associazione dei pedagogisti italiani (L’ANPE) espressamente richiede la laurea in Pedagogia o in Scienze dell’educazione, accompagnata dal superamento di una prova di ammissione all’esercizio della professione”.
Conclude il Collegio affermando che “..l’Azienda ha introdotto una figura professionale tipica, fornita di specifica caratterizzazione, richiedente una formazione del tutto particolare e l’iscrizione in apposito Albo (art. 8 dello statuto dell’ANPEC)…”.
Tali argomentazioni non possono essere condivise. Se, per certi aspetti, può essere corretto sostenere la tesi che l’imprecisione terminologica adottata dalla Pubblica Amministrazione (e avallata dal Giudice di primo grado) nell’individuare uno specifico profilo professionale del ruolo sanitario non può essere superata attraverso l’istituto dell’equipollenza, occorrendo, al riguardo, uno atto di precisazione e/o di rettifica dell’eventuale errore materiale, stessa cosa non può dirsi allorquando si sostiene che il Pedagogista clinico rappresenta un profilo professionale con una sua tipizzazione.
Il campo di approfondimento è quello del riconoscimento di professioni e profili professionali in cui la giurisprudenza costituzionale si presenta negli ultimi anni in modo alluvionale.
Contrariamente a quanto sostiene il CGA il Pedagogista clinico, allo stato attuale, non è un profilo professionale distinto dal Pedagogista e dotato di una disciplina specifica né, tanto meno, una professione. Non esiste infatti alcuna declaratoria di tale profilo professionale né un albo professionale legalmente riconosciuto ai sensi dell’art. 33 della Costituzione. La certificazione post-universitaria rilasciata da enti privati, quali sono l’ISFAR e l’ANPEC, non può legittimare l’esistenza di un profilo professionale né, tanto meno, l’esistenza di una professione. Anche perché, l’individuazione di nuovi profili professionali, con i relativi profili e ordinamenti didattici, è riservata alla legislazione statale (tra le tante, Corte Cost. sent. del 26/07/2005 n. 319 e sent. del 19/12/2006 nn. 423 e 424). Giova ricordare che, già prima delle pronunce della Corte costituzionale, alla medesima conclusione era già pervenuto il Consiglio di Stato, sezione consultiva, Adunanza generale dell’11/04/2002, ad avviso del quale fino all’emanazione dei principi fondamentali “non possono ritenersi consentiti interventi della normativa regionale fondati sul presupposto dell’esistenza di una professione che non è ancora stata istituita dalla legislazione statale”. Solo il legislatore statale può quindi istituire nuovi profili professionali o nuove professioni e tale prerogativa risulta confermata dal Decreto legislativo 2/02/2006 n. 30, rubricato “Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articoli 1 della legge 5/06/2003, n. 131”.
Il CGA, in pratica, con la decisione in commento non discrimina tra profili professionali regolarmente istituiti da norme statali e profili professionali in attesa di tale riconoscimento. A tal proposito troncante appare quanto ammesso dalla lettera a) dell’art. 3 dello statuto dell’Associazione nazionale pedagogisti clinici allorquando, tra gli scopi, si prefigge di promuovere e coordinare iniziative volte al riconoscimento, alla tutela e alla certificazione della professione di Pedagogista clinico. Risulta evidente come lo scopo sia quello di perseguire il riconoscimento giuridico della professione ancora oggi mancante. Soccorrono, ad avvalorare tale affermazione, i numerosi disegni di legge che giacciono ancora nelle aule parlamentari e che mirano ad istituire i profili professionali del Pedagogista e del Pedagogista clinico con i relativi ordini professionali.
Nessuna utilità giuridica può quindi avere l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Pedagogisti Clinici tenuto dall’ANPEC e l’idoneità per l’ammissione alla Federazione Europea delle Associazioni dei Pedagogisti Clinici, poiché la portata normativa degli stessi è puramente interna come gli statuti degli enti o i regolamenti interni (Cass., sez. III, 5 luglio 1999, n. 6933; Cass. S.U. 28/11/94, n. 10124; Cass., 17/05/76, n. 1742). L’albo dei Pedagogisti clinici a cui si riferisce il CGA, infatti, è quello tenuto dall’Associazione ANPEC, così come si tiene un qualsiasi albo dei soci di una determinata associazione, raccogliendo un gruppo di persone che, per formazione culturale, accademica e professionale, sono a conoscenza delle problematiche inerenti la pedagogia clinica e, come tale, privo di rilievo pubblicistico.
L’iscrizione all’albo dei Pedagogisti clinici sembra non essere utile nemmeno ai fini concorsuali, perché detto titolo, costituito da un master in pedagogia clinica, non è valutabile nella Pubblica Amministrazione “per carenza del requisito soggettivo dell’ente rilasciante il titolo: si tratta, invero, di un titolo emesso da un istituto di formazione di Firenze, non già da una università” (Tar Molise, sez. Campobasso, sent. n. 120, 25/01/2006). Tale indirizzo risulta confermato anche dalla lettera c) intitolata “Altri titoli” della tabella approvata con il Decreto del Ministro della P.I. n. 27/2007 in cui non viene attribuito alcun punteggio ai corsi di formazione promossi da soggetti privati ancorché accreditati.
Peraltro, va evidenziato, che detta Associazione (come del resto tutte le altre) ad oggi non risulta dotata del riconoscimento ministeriale quale Associazione di professioni non regolamentata in forza dell’ art. 26, comma terzo del D.lgs. 206/2007.
Massimo Greco
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