La vicenda in esame prende le mosse dall’iniziativa di un medico che aveva proposto ricorso, presso il TAR Calabria, avverso un provvedimento regionale con cui l’Assessorato Regionale alla Sanità individuava i nuovi ambiti territoriali all’interno dei quali i medici di medicina generale potevano operare e, per converso, gli assistiti potevano scegliere il proprio medico. In particolare, il sanitario aveva impugnato il provvedimento con cui si limitava la facoltà di scelta degli assistiti in favore dei medici di medicina generale ai più ristretti elenchi dei Distretti in cui era suddivisa la ASP di Reggio Calabria, cioè in sostanza ad un ambito territoriale molto più circoscritto, rispetto a quello su cui insiste l’Azienda Sanitaria.
Il ricorrente lamentava come il provvedimento impugnato consentiva ai medici di esercitare la professione solo nell’ambito del Comune di residenza e che tale restrizione, in una realtà sostanzialmente metropolitana come nel caso di specie, penalizzava gravemente sia i medici che gli assisiti. A tal proposito, il ricorrente considerava come la scelta dell’Amministrazione risultava assolutamente inidonea a garantire la propria affermazione professionale e non teneva conto della sussistenza di rapporti di fiducia tra medici e assistiti che prescindono dal dato territoriale. Veniva, altresì, contestato dal sanitario che la determinazione assunta non era stata preceduta da alcun atto ufficiale di contrattazione collettiva.
Nel costituirsi in giudizio, la Regione affermava, per contro, che il provvedimento impugnato costituiva attuazione dell’Accordo Collettivo approvato con d.p.r. n. 270/2000.
Il TAR Calabria, nel condividere le tesi della P.A., aveva ritenuto infondato il ricorso del sanitario, affermando che il provvedimento impugnato costituiva applicazione di quanto previsto nell’Accordo Collettivo approvato con d.p.r. n. 270/2000. Secondo i Giudici, infatti, ai sensi degli artt. 19 e 26 del citato d.p.r. n. 270/2000 (e in applicazione dell’art. 25 della L. n. 833/1978), l’assistenza doveva essere organizzata per ambiti comunali, salvo deroghe particolari. Pertanto, per i Giudici Amministrativi era la stessa legge (e il conseguente accordo collettivo) a subordinare ad esigenze di razionalizzazione organizzativa l’interesse del singolo medico ad esercitare in un più esteso ambito territoriale la propria professione e quello dell’assistito a scegliere liberamente il proprio medico.
Il ricorrente, a seguito di tale decisione, proponeva Ricorso in Appello, presso il Consiglio di Stato, per la riforma della citata Sentenza del TAR Calabria.
Il Consiglio di Stato con la Sentenza n. 565/2016 del 10 febbraio 2016, nel riformare la decisione di primo grado, ha chiaramente affermato che, se è vero che l’accordo collettivo subordina l’interesse del singolo medico ad esigenze di razionalizzazione organizzativa, è altrettanto vero che il principio della libera scelta del medico da parte dell’assistito, è principio prevalente rispetto ad una clausola dell’accordo che ne impedisca la concreta applicazione, senza che alla base vi siano gravi e reali esigenze di natura organizzativa.
I Giudici di Palazzo Spada, citando giurisprudenza costante dello stesso Consiglio di Stato, hanno preliminarmente posto in evidenza come la scelta del medico di base, da parte dell’assistito, è regolata dal principio della fiducia personale, attese le finalità prevalenti di tutela della salute pubblica (cfr. Sentenza CdS sez III n. 128/2012). Secondo l’organo giudicante, tale libertà di scelta non è illimitata, ma deve collegarsi con l’ambito territoriale di riferimento che ordinariamente coincide con quello della ASL di appartenenza. Nei grandi Comuni ove operano più ASL, così come esplicitamente chiarito in sentenza, è evidente che l’ambito territoriale coincide con una frazione del comune stesso, mentre nel caso in cui la ASL sia pluricomunale, non appare ammissibile un potere di scelta infracircoscrizionale, cioè ristretto ad una parte soltanto del territorio su cui insiste l’Azienda Sanitaria. Ciò infatti comporterebbe, a parte una limitazione del potere di scelta non consentita dall’art. 25 L. n. 833/1978, anche un’evidente disparità di trattamento tra cittadini e sanitari di grossi centri e quelli residenti in piccoli comuni ai quali ultimi verrebbe, di conseguenza, attribuito un bacino di utenza più limitato con evidenti conseguenze sul libero esplicarsi dell’attività professionale e sui profili della capacità e dell’esperienza del medico.
Nel caso in esame il medico, per effetto del provvedimento impugnato, sarebbe stato tenuto ad operare in un Distretto limitato a soli cinque piccoli Comuni, per abbandonare una parte della clientela acquisita negli altri Comuni ricompresi nella ex ASL 10 di Palmi, confluita nella ASP di Reggio Calabria, in cui esercitava le sue funzioni, rinunciando, nel contempo, al diritto di estendere la propria attività a tutto il territorio dell’Azienda Sanitaria.
Chiaro risulta, in definitiva, il principio enunciato nella Sentenza in commento: “esigenze interne di natura organizzativa (pur se legittime), non possono riconnettersi alla residenza anagrafica dei medici di base e condurre alla creazione di “Distretti infracircoscrizionali” di pochi o piccolissimi Comuni, tali da pregiudicare il principio del diritto di scelta più ampia possibile da parte dell’assistito”.
Per tutte le motivazioni riportate, il Consiglio di Stato ha pertanto accolto l’appello del medico e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato il provvedimento impugnato.
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