Il Consiglio di Stato ribalta la tesi del T.A.R. Lazio: possibile la concessione di servizio per la manutenzione stradale

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            Così scrivevamo:
«Non è male per niente l’idea del Comune di Roma di affidare manutenzione stradale e servizi annessi tramite concessione di servizio (…). Intanto, se è vero che i lavori di manutenzione stradale sono appunto lavori (codice CPV: 45233141-9), accanto a tale componente vi è tutta una serie di prestazioni che sono servizi. Non è vero che non potrebbe configurarsi una concessione, perché mancherebbe sostanzialmente l’alea economico-finanziaria. Anzi, la funzione giuridico-amministrativa perseguita nel caso concreto è proprio quella di scaricare tutto il rischio gestionale dall’Amministrazione al concessionario. Pertanto, anche se si tratta di un project freddo – in quanto acquirente del servizio è l’Amministrazione aggiudicatrice stessa – tuttavia si può configurare comunque una concessione, in quanto appare rispettato il cànone comunitario della sussistenza del rischio imprenditoriale. Non è per nulla corretto affermare che in tal modo viene disapplicata la “Merloni”. Che possa configurarsi una concessione di servizio e non di lavori, ciò trova fondamento possibile non solo nel fatto che l’opera pubblica esiste già, ma anche e soprattutto nella considerazione che la finalità primaria e non dissimulata dell’Amministrazione – ovvero la funzione giuridico-amministrativa perseguita nel caso concreto – è proprio quella di affidare un servizio pubblico. Un’idea certamente da approfondire, in particolare per quanto riguarda il rapporto fra discrezionalità amministrativa (valutazione del pubblico interesse) e assegnazione del rapporto concessorio all’uno o all’altro settore (lavori o servizi)» (L. BELLAGAMBA, Il Comune di Roma e l’affidamento in concessione, di servizio e non di lavori, della manutenzione stradale e di servizi annessi, in www.appaltiecontratti.it, 20 gennaio 2006).
 
La tesi dell’impossibilità di configurare una concessione di servizio per la manutenzione stradale venne smentita da T.A.R. Lazio, Roma, II, 11 maggio 2007, n. 4315.
 
«L’ente locale non può tuttavia evadere dal rigoroso disposto del citato art. 112, c. 1, in virtù del quale gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici, che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. A tal riguardo, il Collegio ritiene di non doversi discostare dalla giurisprudenza consolidata (cfr., per tutti, Cons. St., V, 9 maggio 2001 n. 2605; id., 16 dicembre 2004 n. 8090; id., 22 dicembre 2005 n. 7345), per cui sono indifferentemente servizi pubblici locali, a’ sensi del ripetuto art. 112, quelli di cui i cittadini usufruiscano uti singuli e/o come componenti la collettività, purché rivolti alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali. Non basta allora predicare che gli enti locali ed il Comune in particolare, siano enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria (cfr l’art. 3 del Dlg 267/2000) -nel senso che essi hanno la facoltà di determinare da sé i propri scopi-, per consentire loro di sussumere un qualunque oggetto nella forma del servizio pubblico locale. La genericità dell’art. 112 certo si spiega con la circostanza che il Comune può discrezionalmente decidere quali attività di produzione di beni ed attività, purché rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile della collettività locale di riferimento, intenda assumere come doverose (cfr., da ultimo, Cons. St., V, 13 dicembre 2006 n. 7369), a condizione, però, che vi sia l’effettività della produzione ex novo di beni ed attività, dapprima non esistenti. Ecco, appunto in ciò consiste l’impossibilità di configurare i beni stradali, che già appartengono agli enti e soggiacciono al regime demaniale ex art. 824 c.c., a guisa di servizio pubblico nel senso testé evidenziato». «3.4. – In realtà, nella specie, la definizione primigenia dell’appalto de quo, ossia quella contenuta nei documenti comunali del 2004 ed intesa ad assimilarlo ad una concessione d’opera pubblica, s’appalesa, pur se per alcuni aspetti, la più corretta ed aderente al tipo di prestazioni dedotte, ancorché il complesso dei servizi sia configurato come stipulazione pure a favore di terzo (ossia della collettività fruitrice del patrimonio della Grande Viabilità)».
 
            Tale tesi è stata completamente disattesa da Cons. Stato, V, 15 gennaio 2008, n. 36.
 
«Orbene, è indubitabile che nell’ambito dell’affidamento siano comprese prestazioni riconducibili alla categoria dei lavori: vi rientra certamente la manutenzione straordinaria ed è discutibile se vi rientri o meno quella ordinaria.
     Tuttavia, il criterio quantitativo, cui si rifà la sentenza impugnata – sulla base dell’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge  n. 109 del 1994 – è erroneamente assunto senza tenere conto del terzo periodo dello stesso comma (modificato dall’art. 24, comma 2, della legge 18 aprile 2005 n. 62 – legge comunitaria del 2004) in forza del quale, il precetto di cui al secondo periodo “non si applica ove i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto all’oggetto principale dedotto in contratto”.
     La norma indica dunque quale debba essere il percorso interpretativo e lo individua nella volontà negoziale dell’Amministrazione, quale enunciata negli appositi atti.
     Sono gli strumenti di gara e gli atti presupposti la sede nella quale ricercare l’«oggetto principale», al fine di stabilire se sussista o meno una relazione di accessorietà dei lavori rispetto ai servizi, nelle procedure miste in cui l’affidamento comprenda gli uni e gli altri.
     4.5. Nel caso in esame l’accessorietà dei lavori rispetto al servizio pubblico è reso evidente, nel bando come nel disciplinare, nella clausola che richiede al concorrente singolo ed alla impresa mandataria (in caso di raggruppamento) il requisito prioritario del fatturato specifico – nel triennio 2002-2003-2004  – “per i servizi di gestione integrata di patrimoni immobiliari per conto terzi non inferiore ad EURO 30.000.000,00 (Euro trentamilioni/00) con l’elenco dei servizi, degli importi e dei committenti” e nell’altra che esige, in caso di raggruppamento, che il ruolo di capogruppo mandataria sia ricoperto “dal soggetto che svolgerà l’attività di cui al punto II.1..6, lettera a) ovvero centrale di governo comprensiva delle attività di gestione dei dati del censimento, monitoraggio e controllo di tutti i dati”.
     La coerenza di tali indicazioni con gli obiettivi fissati negli atti presupposti non possono ingenerare alcun dubbio sulla prevalenza annessa ai servizi e sul carattere di accessorietà della manutenzione (ordinaria e straordinaria) rispetto ad essi.
     4.5. A parte ciò, non sfuggono gli errori in cui incorre la sentenza impugnata nel ritenere la non riconducibilità di attività inerenti all’amministrazione e gestione di pubbliche strade (comprendenti manutenzione ordinaria e straordinaria delle stesse) nell’ambito dei servizi pubblici locali (in argomento, la Sezione si è già espressa in termini favorevoli con la decisione n. 7369 del 13 dicembre 2006).
     Invero la finalità della realizzazione dei “fini sociali” e della promozione dello “sviluppo economico e civili delle comunità locali” cui si ispira la facoltà conferita all’Ente locale dall’art. 112 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, non incontra limiti nella preesistenza della “rete”, strumentale alla prestazione del servizio.
     L’art. 112 del testo unico coglie, infatti, l’essenza stessa dell’autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria dell’ente locale ed in particolare del Comune, che – come la stessa sentenza impugnata riconosce – è Ente a fini generali, cui spetta di determinare da sé i propri scopi ed in particolare di decidere su quali beni della vita della collettività debba convergere la scelta politico-amministrava di soddisfarne gli interessi in modo continuativo e coordinato.
     La strumentalità del bene strada, rispetto all’interesse che il Comune intende realizzare mediante il servizio pubblico di amministrazione e gestione del patrimonio viario, ed il suo affidamento in concessione, è resa evidente dalla complessità ed organicità degli interventi la cui consistenza maggiore è appunto rappresentata dalle attività e dalle prestazioni strettamente riconducibili alla amministrazione e gestione, rispetto alle quali è cedevole l’aspetto statico della “strada” inteso come bene già esistente e fruibile dalla collettività.
     Quanto, poi, al modello gestionale prescelto, la Sezione non può che condividere gli argomenti che il Comune, nella sua relazione, ha contrapposto alla Commissione europea,  che, ponendo a base delle sue obiezioni la sentenza dalla Corte di Giustizia 7 dicembre 2000 nella causa C-324/98, aveva osservato come le attività oggetto di affidamento fossero remunerate esclusivamente mediante il pagamento di un prezzo, non essendo prevista alcuna forma di remunerazione legata alla gestione del servizio.
     La giurisprudenza formatasi sulla materia ha già avuto modo di chiarire che non incide sulla qualifica di servizio pubblico locale il fatto che il servizio sia, o meno, subordinato al pagamento di un corrispettivo (Cons. Stato, Sez. V, 16 dicembre 2004 n. 8090).
     Nel citato precedente si è anche avuto modo di precisare che il fatto che il Titolo V del testo unico n. 267 del 2000 disciplini anche i criteri per la determinazione e la riscossione delle tariffe non esclude dall’ambito dei servizi pubblici locali quelli erogati senza un corrispettivo, allorché le prestazioni siano strumentali all’assolvimento delle finalità sociali dell’Ente; mentre, sotto differente profilo, è stato anche precisato che l’elemento distintivo della concessione (ovvero l’assunzione del rischio di gestione) non resta escluso dalla circostanza che il costo del servizio non sia fatto gravare sugli utenti, in quanto questo elemento assume rilievo soltanto quando il servizio pubblico, per le sue caratteristiche oggettive è divisibile fra quanti, in concreto ne beneficiano direttamente (Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 2002 n. 2294, citata nella Relazione del Comune alla Commissione europea)».

Bellagamba Lino

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