La censura del ricorrente
Il ricorrente assume l’erroneità della sentenza di primo grado e l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui hanno ritenuto che le norme tecniche di attuazione, prescrivendo la distanza minima di cinque metri dal confine, vietassero l’operatività del principio di prevenzione.
La normativa di riferimento
L’art. 36 del d.lgs. n. 380 del 2001 dispone che in caso di interventi realizzati in violazione delle norme che prevedono il permesso di costruire «il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda».
L’art. 871 cod. civ. prevede che «le regole da osservarsi nelle costruzioni sono stabilite dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi comunali».
L’art. 872 cod. civ. dispone che: i) «le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate nell’articolo precedente sono stabilite da leggi speciali»; ii) «colui che per effetto della violazione ha subito un danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate».
L’art. 873 cod. civ. prevede che «le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri», aggiungendosi che «nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore».
Dal complesso delle norme del Codice civile sopra indicate si ricava, in via interpretativa, l’esistenza del cd. principio di prevenzione. Esso comporta che il confinante che costruisce per primo ha una triplice facoltà, potendo edificare: i) rispettando una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice civile; ii) sul confine; iii) a una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta.
La sentenza
Il Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n.5496 del 21/7/2021 si pronuncia sul principio di prevenzione, chiarendo se tale principio possa operare anche nel caso in cui trovino applicazione fonti di diritto pubblico.
Le Sezioni unite della Cassazione hanno affermato che la portata “integrativa” delle norme di diritto pubblico non si limita soltanto alle prescrizioni che impongono una distanza minima, ma «si estende all’intero impianto di regole e principi dallo stesso dettato per disciplinare la materia, compreso il meccanismo della prevenzione», aggiungendo, però, che i regolamenti locali possono eventualmente escludere l’operatività di tale meccanismo «prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza» (Cass. civ., sez. un., 19 maggio 2016, n. 10318).
Nel caso oggetto del giudizio le norme tecniche di attuazione, da un lato, impongono a chi costruisce di rispettare la distanza minima di cinque metri dal confine, dall’altro, consentono di derogare a tale prescrizione nei seguenti casi: i) «se preesiste parete in aderenza senza finestre»; ii) «in base alla presentazione di progetto unitario per i fabbricati da realizzare in aderenza»; iii) «in base ad un accordo con il confinante».
Tali prescrizioni non possono, per il loro contenuto, impedire l’operatività del principio di prevenzione, in quanto non pongono una regola inderogabile di distanza minima a tutela dell’interesse pubblico connesso ad una maggiore intercapedine tra i fabbricati ma ammettono deroghe legali e deroghe convenzionali. In particolare, quest’ultima deroga dimostra, in modo evidente, come le norme tecniche siano suscettibili di essere modificate anche mediante un atto di autonomia negoziale e, pertanto, non può assegnarsi ad esse una valenza tale da escludere che possa trovare applicazione il principio generale di prevenzione.
La disciplina delle distanze tra costruzioni
Il regime delle distanze tra le costruzioni è un limite pubblicistico al diritto di proprietà del privato, tale limite è volto ad evitare l’esistenza di intercapedini dannose.
Il diritto di proprietà trova il suo fondamento all’articolo 42 della Costituzione e viene disciplinato nel libro terzo del codice civile.
L’articolo 832 c.c. definisce il diritto di proprietà come “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.
Dalla stessa definizione, pertanto, si evince che il diritto di proprietà è soggetto a limiti. Tali limiti sono posti nell’interesse pubblico.
L’articolo 873 del Codice civile prevede un limite al diritto di proprietà ed i regolamenti locali hanno carattere integrativo della norma primaria.
Il d.P.R. 6 giugno, n.380 ha previsto che “i comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa […] disciplinano l’attività edilizia”.
I regolamenti edilizi devono contenere la disciplina delle modalità costruttive, con riferimento al rispetto delle normative tecnico-estetico, igienico- sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze.
Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate circa la natura della disciplina delle distanze, in particolare, se tale normativa abbia carattere dispositivo o no.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, la norma fissata nell’art.873 c.c. ha natura dispositiva ma può essere derogata dalle parti mediante convenzioni private. Tali disposizioni possono essere derogate dalle parti attraverso convenzioni private tendenti alla costituzione di una servitù.
Il principio di prevenzione
Principio fondamentale in materia di distanze è il principio di prevenzione.
Chi edifica per primo su un fondo contiguo non ha alcun limite. Infatti, chi edifica per primo può costruire sul confine oppure costruire con distacco dal confine.
Tuttavia, il criterio della prevenzione non può superare i limiti imposti dai regolamenti locali qualora da questi si desume l’inderogabilità delle distanze minime stabilite.
La giurisprudenza ha esteso la disciplina delle distanze legali tra costruzioni su fondi finitimi anche alle sopraelevazioni. Pertanto, il diritto di prevenzione è applicabile anche alle ipotesi di sopraelevazione. Da ciò si desume che chi sopraeleva per primo la costruzione esistente può avvalersi della facoltà riconosciuta al preveniente, può pertanto seguire le linee verticali della precedente costruzione o osservare la distanza legale.
L’articolo 9 del d.m. 1444/1968 ha per oggetto i limiti di distanza tra i fabbricati.
In particolare, vengono distinte tre zone territoriali omogenee.
Nella zona A) ovvero per le parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di pregio ambientale, le operazioni di risanamento conservative per le ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti.
Per i nuovi edifici ricadenti in altre zone è prescritta la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Nella zona C) ovvero per le parti di territorio destinati a nuovi complessi insediativi che risultino inedificate è prescritta la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto.
Risulta fondamentale per l’applicazione del regime delle distanze la nozione di nuovo edificio. Sono qualificati come nuove costruzioni: la ricostruzione su ruderi, la costruzione di un muro di contenimento in cemento armato, interventi edilizi su edifici esistenti quando l’organismo edilizio venga oggettivamente trasformato.
L’articolo 9 prevede che la distanza minima debba intercorrere tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Si tratta pertanto, di una misura lineare orizzontale minima che deve intercorrere tra le pareti di due edifici antistanti. Tale spazio minimo qualora non rispettato potrebbe essere potenzialmente nocivo per sicurezza, igiene e salubrità.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento