Premessa
La legge 241/90, fin dalla sua formulazione originaria, nell’ambito delle norme finalizzate alla semplificazione dell’azione amministrativa, prevedeva con l’articolo 19, la disciplina dell’istituto della denuncia di inizio attività, successivamente modificato dall’articolo 2 della legge 537 del 1993, e dall’articolo 21 della legge 15 del 2005 ed infine dall’articolo 3 del decreto legge n°35 del 2005.
Tradizionalmente il provvedimento amministrativo autorizzatorio e concessorio è il risultato di una attività istruttoria compiuta dagli uffici che si sostanzia prevalentemente nell’attività di acquisizione di pareri, nulla osta e di ogni atto idoneo alla corretta cura dell’interesse pubblico a fondamento dell’azione amministrativa.
L’ originaria formulazione dell’articolo 19 della legge 241/90 determina un ingresso della denuncia di inizio attività piuttosto debole,favorendo conseguentemente un attività di interpretazione dei giudici amministrativi che collocando la D.I.A più come azione di liberalizzazione piuttosto che di semplificazione dell’attività amministrativa.
La D.I.A è stata ritenuta quale atto “soggettivamente ed oggettivamente privato,con il significato sostanziale di una comunicazione rivolta all’amministrazione; ove il silenzio serbato dall’amministrazione a seguito della comunicazione, è inidoneo a formare un provvedimento di assenso implicito e non può che assumere il significato di mero comportamento e non si forma un titolo che possa essere impugnato innanzia la giudice amministrativo” (tar Piemonte 4 maggio 2005 n°1359).
E’ stato sostenuto altresì che : “ al silenzio della pubblica amministrazione a fronte di una denuncia di inizio attività,non può essere attribuito valore né di tacito atto di assenso all’esercizio delle attività denunciate dal privato,né di implicito provvedimento positivo di controllo a rilevanza esterna, ma piuttosto un mero comportamento rapportabile,sul piano degli effetti legali tipici, ad una attività di verifica conclusasi positivamente ed inidonea,di per sé a sostanziare un’autonoma determinazione di natura sostanziale,direttamente impugnabile in sede giurisdizionale con una azione di annullamento” (Tar Abruzzo 31 luglio 2006 n° 625).
In conseguenza di ciò, la procedura che trae inizio dalla presentazione della D.I.A, informata alla semplificazione e alla celerità, è inidonea ad avviare una sequenza procedimentale assoggettata alla disciplina di cui alla legge 241/90.
Ragioni di celerità e semplificazione sembrerebbero sottrarre l’istituto della D.I.A a quelle garanzie procedimentali della legge 241/90 per spostare l’eventuale tutela ad una successiva fase contenziosa giurisdizionale. Vi sono quindi problemi, oggettivamente presenti, di configurazione di un istituto complesso come la dia, a metà tra il diritto comune e il diritto amministrativo.
1) le finalità della DIA
L’introduzione della Dia appare l’esercizio di un potere di disitermediazione provvedimentale e soprattutto di deformalizzazione dell’attività amministrativa, ovvero nel far venir meno per il privato di munirsi di un previo titolo abilitativo.
Il rilascio del titolo abilitativo non costituisce più condizione per svolgere quell’attività.
E’ stata l’interpretazione della giurisprudenza amministrativa ad agganciare la D.I.A alla liberalizzazione facendo in questo modo emergere esigenze private piuttosto che amministrative.
L’interpretazione pretoria ha evidenziato due modalità della liberalizzazione di settori pubblici : liberalizzazione tecnica e quella atecnica, quest’ultima ha inaugurato l’ingresso della dia nell’ordinamento giuridico abbandonando ogni tipo di procedimentalizzazione rafforzando di conseguenza non il potere autorizzatorio ma di controllo sull’attività del privato.
L’articolo 19 originario prevedeva la sostituzione della denuncia di inizio di attività agli atti di autorizzazione, permessi e nulla osta, la denuncia è stata definita dalla Cassazione come informazione.
Mentre il silenzio assenso è stato procedimentalizzato non lo è la Dia; nel silenzio assenso è applicabile l’articolo 10- bis sull’obbligo del preavviso di rigetto, ciò non avveniva con la D.I.A.
Il silenzio assenso implica lo svolgimento del procedimento amministrativo e si conclude con la cristallizzazione di una inerzia alla quale l’ordinamento giuridico attribuisce un significato ben preciso.
Il legislatore si rese conto dell’effetto dirompente dell’istituto e ne circostanziò l’operatività dell’istituto e previde pure l’emanazione del regolamento attuativo con la novella del 1993.
L’articolazione del regolamento prevedeva una serie di attività da intraprendere subito e una serie di attività esercitabili con un metodo più gravoso.
Per poter meglio inquadrare il fenomeno della denuncia di inizio attività occorre soffermarsi sui meccanismi che generano effetti giuridici rispetto ad una norma che attribuisce il potere, alla pubblica amministrazione.
Il meccanismo sugli effetti giuridici degli atti posti in essere dalla amministrazione segue due strade, seguendo il metodo bipartito o tripartito : 1) la prima prevede la sequenza norma – effetto ; la seconda : norma –potere – effetto. La D.I.A si inquadra nella prima sequenza secondo il meccanismo norma – effetto, abbandonando la sequenza norma – potere – effetto.
Nella bipartizione è la norma stessa a prevedere la liberalizzazione, il privato non si munisce del titolo ma è la stessa legge a consentirlo, il privato è legittimato ex legge.
Nella tripartizione il diritto del privato passa attraverso il potere della pubblica amministrazione, che ponendo in moto l’attività istruttoria approda al provvedimento finale.
La denuncia di inizio attività apre una interferenza complessa tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, perché se il potere deriva dalla legge il privato può vantare solo un diritto soggettivo, ma se l’esercizio del potere è affidato alla pubblica amministrazione, la situazione giuridica soggettiva è di interesse legittimo.
La denuncia di inizio attività, essendo collocata fuori dagli schemi del procedimento amministrativo, sollecita di conseguenza un potere di controllo della pubblica amministrazione, stante che fonda la sua esistenza sul metodo bipartito e cioè norma – effetti della norma sul privato.
Il controllo è limitato alla sussistenza delle condizioni di legge poste dall’ordinamento giuridico e poste per l’esercizio di quelle attività.
Questa collocazione sembra precludere la giurisdizione del giudice amministrativo quando l’attività del privato mediante la denuncia lede i diritti dei terzi, preferendo invece la giurisdizione ordinaria.
Ma rispetto allo svolgimento dell’attività emerge un interesse legittimo del privato interessato all’attività mediante la D.I.A.
2) il potere di controllo della P:A
Occorre approfondire la natura del controllo posto in capo alla pubblica amministrazione. Esso è in realtà di due tipi : controllo – riscontro; controllo – misura.
Il potere di controllo riscontro deve essere esercitato entra i trenta giorni e determina il sorgere di un effetto provvedimentale soltanto eventauale.
Il superamento dei trenta giorni , entro i quali esercitare il controllo – riscontro,determina l’estinzione del potere di controllo infatti è ad effetto provvedimentale eventuale; con l’esercizio del controllo – riscontro inizia il termine per poter esercitare il controllo – misura attraverso il quale la pubblica amministrazione inibisce l’attività o addirittura sospendendo la stessa.
Questo tipo di controllo diventa costitutivo anch’esso sottoposto al termine di decadenza di trenta giorni.
La lacunosità della formulazione originaria dell’articolo 19 della legge 241/90 fornì l’occasione alla giurisprudenza amministrativa di interrogarsi sulla natura giuridica della denuncia di inizio attività.
La formulazione originaria quindi dell’articolo 19 della legge 241/90 diede luogo alla formulazione di due orientamenti sulla natura giuridica della D.I.A: secondo l’interpretazione prevalente in giurisprudenza ed in dottrina è un atto oggettivamente e soggettivamente privato e si sostanzia in un meccanismo informativo; la seconda interpretazione sulla natura giuridica recupera la valenza pubblicistica stabilendo che esso è un meccanismo complesso a formazione progressiva composto da tre elementi: 1)un atto del privato;2) è determinato dal decorso del tempo ed è : 3) un meccanismo autorizzatorio.
3) la tutela del terzo
A queste due tesi si agganciavano due tesi speculari sul piano della giurisdizione.
La scelta dell’una o dell’altra interpretazione ha delle ricadute indubbiamente sulla giurisdizione.
Il primo orientamento conduce alla giurisdizione del giudice ordinario sia da parte dei terzi che da parte del denunciante; il secondo orientamento, privilegiando l’aspetto pubblicicistico – autorizzatorio, riconduce la giurisdizione al giudice amministrativo.
In realtà si è di fronte ad un comportamento espressivo di un potere anche quando non esercita il potere riscontro e adotta un comportamento di poteri pubblicistici privilegiando la giurisdizione del giudice amministrativo.
Il terzo può attivare i rimedi civilistici e nell’ipotesi in cui voglia lamentare l’esercizio dei poteri di controllo può agire attraverso i rimedi del silenzio rifiuto.
La seconda teoria ipotizza l’impugnativa della fattispecie autorizzatoria innanzia la giudice amministrativo trovando collocazione nella natura pubblicistica del denuncia.
C’è infine una terza tesi che ha trovato nell’azione di accertamento lo sbocco dell’azione dei terzi verso la D.i.A emanata in maniera illegittima.
Il terzo può impugnare una fattispecie autorizzatoria che si fonda sulla denuncia di inizio attività chiedendone l’accertamento sulla legittimità della fattispecie. questa tesi sul piano sistematico è una costruzione che non ha fondamento giuridico perché contraddice l’impianto ontologico della denuncia ma ci sono due appigli normativi forti: 1) l’articolo 19 prefigurava la sostituzione del provvedimento con la denuncia; 2) il testo unico sull’edilizia stabilisce la necessità di informazione e gli estremi del permesso di costruire e in mancanza gli estremi della D.I.A.
L’azione di accertamento può essere esercitata solo in presenza di diritti soggettivi ed il terzo che agisce innanzi al giudice amministrativo sta tutelando una posizione di diritto soggettivo; in linea di massima ciò è verificato quando si tutelano posizioni soggettive; ma se l’oggetto della lesione è circoscritta al potere di controllo si è di fronte ad interessi legittimi.
Il denunciante, secondo alcuni, vanta una posizione di diritto soggettivo perfetto; ma è pur vero che innanzi alla p.a è di fronte al controllo, potere pubblicistico e di fronte all’esercizio del potere di controllo vanta esclusivamente interessi legittimi.
Una posizione analoga è quella del terzo, l’istaurarsi dei meccanismi di controllo pone la situazione giuridica soggettiva come interesse legittimo.
L’evoluzione della D.I.A passa per la legge 537 del 1993 che introduce il regolamento ed infine con le novelle del 2005, legge n° 15 e legge n° 80.
Dopo questo intervento vi è un mutamento di prospettiva, perché il legislatore amplia l’ambito di operatività della D.I.A.
C’è stato un capovolgimento anche del silenzio assenso che adesso è la regola secondo l’articolo 2 della 241 in combinato disposto con l’articolo 20.
C’è infine un mutamento terminologico perché non è definita denuncia ma dichiarazione di inizio attività, e vi è un ampliamento dei settori.
Vi è una diversa procedimentalizzazione della dichiarazione : il cittadino deve attendere trenta giorni, decorsi i quali deve effettuare una seconda dichiarazione e da questa dichiarazione decorrono altri trenta giorni per poter esercitare il potere inibitorio, effettuata la seconda dichiarazione il privato può iniziare l’attività, salvo eventuale esercizio potere di controllo di natura inibitoria.
Cambia la natura dei termini che non sono più decadenziali, tuttavia c’è giurisprudenza che qualifica il potere inibitorio come decadenziale.
C’è un riferimento espresso, nell’articolo 19 modificato, dei provvedimenti di autotutela quali la revoca e l’annullamento, questa novella ha definitivamente sancito la natura pubblicistica della dichiarazione di inizio attività e questo risulta l’aspetto più innovativo della novella.
Se nella stesura originaria dell’articolo 19 si dubitava della natura giuridica della D.I.A, dopo le novelle il legislatore che definitivamente cristallizzato la natura della d.I.A quale natuta autorizzatoria implicita.
E’ di recente una sentenza del Tar Brescia(sen. N°15 del 10 Gennaio 2009) con la quale il giudice precisa che: “il terzo è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativi formatosi a seguito di d.i.a, il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata”.
Questo inciso è stato visto come una forma di avallo legislativo alla tesi sulla natura provvedimentale della D.I.A.
Nel 2007 il Consiglio di Stato
[1], mutando orientamento, rileva la natura autorizzatoria della dia, come procedimento complesso a formazione progressiva.
Se il legislatore non avesse modificato l’articolo 19 inserendo esplicitamente l’utilizzo dei poteri provvedimentali di secondo grado, l’interpretazione prevalente sarebbe rimasta quella che colloca la dia quale atto oggettivamente e soggettivamente privato.
4) silenzio assenso e DIA : sono uguali?
Ci si chiede se è altrettanto razionale mantenere una distinta disciplina tra il silenzio assenso e la dichiarazione di inizio attività.
Sul piano strutturale la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso hanno una radice comune perché in linea di massima la dottrina e la giurisprudenza convengono sulla radice comune del silenzio e della dichiarazione però le ragioni della distinzione permangono e ciò permettono il mantenimento delle due figure.
L’operativita del silenzio è da ricercare nell’attività amministrativa caratterizzata dalla discrezionalità e la dia invece è circoscritta ad ambiti di operatività dell’azione vincolata della pubblica amministrazione.
5) il dibattito giurisprudenziale in corso sulla natura giuridica della DIA.
La recente sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n° 717 del Febbraio del 2009 riaccende il dibattito sulla natura giuridica della DIA attribuendole natura di atto privato e non costituisce esplicazione di una potestà pubblicistica.
Da tale definizione ne discende che il terzo potrà agire in giudizio, nei termini di sessanta giorni dal completamento dell’opera o da quando,in presenza di altri elementi oggettivi, si possa considerare pregiudizievole per il terzo.
Per effetto della previsione della DIA la legittimazione del privato non è più fondata sull’atto di consenso della P.A, secondo lo schema “norma – potere – effetto”, ma è una legittimazione ex lege, secondo lo schema “norma – effetto”, in forza del quale il soggetto è abilitato allo svolgimento dell’attività direttamente dalla legge, la quale disciplina l’esercizio del diritto eliminando l’intermediazione del potere autorizzatorio della P.A.
Di diverso avviso è la sezione IV del Consiglio di Stato che con sentenza n° 5811 del 2008 aveva sottolineato la funzine di semplificazione procedimentale della DIA, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativi, sub specie dell’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso di un termine – 30 giorni della presentazione della denuncia.
Un forte indizio a favore della tesi provvedimentale è offerto dalla previsione espressa dell’amministrazione di assumere i provvedimenti in via di autotuela ai sensi degli articoli 21 – quinquies e 21 nonies ; tale riferimento all’autotutela sembra presupporre un provvedimento ,o comunque, un titolo, su cui sono destinati ad incidere i provvedimenti di revoca o di annullamento, quali atti di secondo grado.
La sezione VI con sentenza n° 717 afferma che il riferimento ai provvedimenti di secondo grado sia estremamente enfatizzato sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina per ricondurre la dia a provvedimento implicito sub specie autorizzatorio perché l’affidamento ingenerato nel terzo, tale da meritare un affidamento meritevole di tutela non escluderebbe a priori qualsiasi intervento da parte della P.a, diversamente si finirebbe con il consolidare una posizione più stabile rispetto a quello che deriva del provvedimento autorizzatorio.
Aggiunge il Consiglio di Stato
[2] che :
“ il richiamo dell’articolo 19 all’autotutela decisoria va quindi ridimensionato”.
Appare debole la tesi della VI sezione relativamente alla necessità di ridimensionare l’esplicito riferimento normativo di rinvio agli strumenti di autotuela della P.A posto che il legislatore ha espressamente richiamato, con le modifiche apportate dalla legge 15/05 e con legge 80 del 2005 di conversione del decreto legge 35 del 2005, l’applicazione dell’articolo 21 – quinquies e nonies della legge 241/90.
Carolina Ferro
Segretario Generale
Del Comune di Piazza Armerina (EN)
[1] Vedi sentenza n° 4828 del 12.09.2007 sezione IV
[2] Vedi sentenza n° 717 del 9 Febbraio del 2009.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento