Autore: Francesco Galgano
Editrice: Cedam
Anno edizione:2007 ISBN: prezzo: 45
La centralità del contratto ,anche nell’ordinamento del lavoro.
Senza tema di smentita, possiamo senz’altro affermare che il contratto rappresenta il motore centrale dell’ordinamento giuridico, lo strumento con cui il commercio [ nel senso più lato della parola] si realizza nella Società.La società vive , si modifica, progredisce e si sviluppa usando tale mezzo. Anche in quei settori dell’ordinamento, come ad esempio il diritto del lavoro, nei quali alle volontà dei contraenti spesso di sostituiscono regolamenti del rapporto sopraindividuali il contratto conserva la sua centralità e insostituibilità.
Il testo che recensiamo tratteggia tutti gli aspetti dell’Istituto. Si presenta ricco di giurisprudenza recente e si confronta con dottrina civilistica di elevato valore.
L’esposizione è piana e chiara propria di chi ha a lungo coltivato la materia e la possiede .L’Autore è infatti notissimo civilista.
L’indice analitico è ricco di voci e ,come tale, ne agevola la consultazione.
Pur nella forma del Manuale è utile al professionista per le doti che abbiamo su accennato.
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E’ senz’altro utile una scorsa veloce all’indice (clicca qui):
Nell’introduzione l’autore ci parla dell’evoluzione del contratto da mero mezzo di traslazione della proprietà ,da un soggetto all’altro, nel diritto romano alle nuovissime forme << futures, .. swaps e così via, cui si dà il generale nome di new properties>>.
Eccone un interessante stralcio :
INTRODUZIONE
1. Il contratto nella storia del diritto civile. — Il contratto occupa una posizione dominante nel moderno diritto civile; assolve, in esso, una funzione diversa e ben più rilevante rispetto a quella che aveva svolto nelle epoche precedenti, dal diritto romano alle codificazioni dell‘Ottocento.
La figura che aveva dominato il diritto privato romano era stata la proprietà. In una società che aspirava alla sicurezza e alla stabilità, piuttosto che allo sviluppo, che mirava alla conservazione e al godimento della ricchezza, piuttosto che alla sua produzione, il diritto di proprietà si presentava come il diritto per eccellenza: «tutto il diritto», aveva insegnato Ulpiano,«tratta del come una cosa diventi di uno, o del come uno conservi la sua cosa, o del come uno la alieni o la perda». Il contratto era riguardato in questa prospettiva; era concepito come uno dei modi mediante i quali si acquista o mediante i quali si dispone della proprietà; la sua disciplina, soprattutto per il formalismo che lo caratterizzava, era dettata dall’esigenza di proteggere i contraenti in quanto proprietari che dispongono delle proprie cose.
Il primo codice civile dell’era moderna, il code Napoléon del 1804, era il codice di una società ad economia prevalentemente rurale, pensato per ceti che ritraevano la propria prosperità dalla rendita dei suo-li, soprattutto agricoli. Si incentrava sulla proprietà, in particolare immobiliare (2),quale strumento che garantiva lo sfruttamento e, al tempo stesso, la conservazione della ricchezza (3).La disciplina dei contratti era concepita, principalmente, in funzione della proprietà: il codice civile li regolava in un libro, il terzo, che recava il titolo Dei modi di acquistare o di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose. La libertà contrattuale era, oltre che facoltà di disporre della proprietà, garanzia di conservazione della stessa: la protezione rigorosa dell’autonomia ed effettività del volere – predisposta dalle norme sulle Condizioni essenziali per la validità delle convenzioni (artt. 1108 ss.) — era protezione del proprietario in sede di «trasmissione della proprietà». La libertà contrattuale si traduceva, sotto questo aspetto, nel principio secondo il quale nessuno poteva essere privato dei propri beni, o subire modificazioni della sua proprietà, senza il concorso di una sua libera ed effettiva volontà.
Per quanto ancora legato alla funzione, traslativa della proprietà, che il diritto romano gli aveva assegnato, il contratto del code Napoléon denotava, per altro aspetto, una rottura rispetto alla concezione romanistica. Il contratto non era più, come era stato per i Romani, un atto formale, idoneo a produrre effetti giuridici solo grazie al suo vestimentum, ossia in virtù delle forme di cui era rivestito. Veniva enunciato il generale principio della libertà delle forme (salva la forma
scritta richiesta per contratti immobiliari); e gli effetti giuridici del contratto erano collegati non più alle forme, ma alla volontà dei con-traenti, in quanto diretta a produrli. Il diritto romano aveva sì conosciuto i nudi patti, nudi in quanto sprovvisti di forme, pura e semplice espressione della volontà delle parti, ma ad essi aveva attribuito solo una eccezione (cioè il diritto di neutralizzare una altrui pretesa), non anche una azione (ossia il diritto di pretendere una altrui prestazione). La rivoluzione che, sotto questo aspetto, si compie con la codificazione francese del 1804 sta nell’attribuire anche azione, e non solo eccezione, al nudus pactum e, perciò, nell’assegnare all’atto di volontà in quanto tale la funzione che il diritto romano aveva assegnato al vestimentum del contratto.
I fattori che avevano generato questa rottura si erano-progressivamente prodotti, a partire dal Medioevo, nell’ambito degli usi del commercio, detti lex mercatoria, sensibili alle esigenze di sviluppo dei traffici e di celerità delle contrattazioni .Il code Napoléon generalizza,rendendolo proprio di ogni contratto, un principio che era nato per
i contratti del commercio.
Nella moderna società industriale il contratto è ormai disancorato dalla proprietà: assume una funzione a sé stante; diventa lo strumento caratteristico dell’attività imprenditoriale, diretta alla produzione e alla circolazione della ricchezza :con il contratto l’imprenditore si procura gli strumenti di produzione, provvedendosi dei capitali, delle merci e della forza lavoro che gli sono necessari; infine colloca sul mercato i prodotti finiti, che spesso arrivano al consumatore finale solo al termine della lunga catena della distribuzione commerciale, nel corso della quale i prodotti transitano da un intermediario all’altro, secondo una tipologia contrattuale che si è rivelata nel corso del tempo sempre
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più varia, dando luogo ad originali figure giuridiche, frutto di innovative tecniche distributive, dalla concessione di vendita al franchising.
La mutata funzione del contratto influisce potentemente sulla sua disciplina: il favor del legislatore è, nei codici civili del Novecento e, in particolare, nel codice civile, italiano del 1942, per la moltiplicazione degli affari, per la validità piuttosto che per l’invalidità del contratto; è per una circolazione della ricchezza, e soprattutto per quella mobilia-re, la più rapida, la più ampia, la più sicura possibile. Nel conflitto fra le ragioni della proprietà e le esigenze della produzione le prime cedo-no di fronte alle seconde.
Prende corpo, al tempo stesso, il fenomeno della tendenziale oggettivazione dello scambio contrattuale (in questo libro riassuntivamente descritto al n. 112.1): sull’elemento soggettivo del contratto, quale la volontà delle parti, tende a prendere il sopravvento l’elemento oggettivo, quale la causa del contratto; e questa tendenza, già forte-mente presente nel codice civile del 1942, ha ricevuto un potente impulso, fra la fine del secolo scorso e il principio del nuovo secolo, ad opera della giurisprudenza, che ha portato a conseguenze estreme l’applicazione delle clausole generali della equità, quale fonte del con-tratto, concorrente con la volontà delle parti, con la legge e con gli usi (art. 1374), e della buona fede contrattuale, nelle sue molteplici con-figurazioni legislative: buona fede nella formazione (art. 1337), nella interpretazione (art. 1366), nella esecuzione del contratto (art. 1375); fino a mettere capo ad una vera e propria funzione, quale è oggi definita dalla Cassazione, di «governo giudiziario della discrezionalità contrattuale», pervenendo così a concetti come quelli di equità e di giustizia del contratto, alla stregua dei quali il giudice è abilitato a correggere l‘atto di autonomia contrattuale ed a ristabilire l’equilibrio fra le prestazioni che esso abbia alterato (nn. 13, 114).
Ulteriore metamorfosi la figura del contratto ha subito nella odierna transizione dall’economia industriale all‘economia post-industriale, entro la quale primeggia l‘economia della finanza, che alla produzione industriale aggiunge quella dei «valori mobiliari» o «strumenti finanziari», definiti anch’essi come prodotti, ma con la specificazione di prodotti finanziari. Sono il frutto di una ingegnosa tecnica contrattuale che trasforma in nuove cose mobili gli investimenti di danaro, con-vertendoli in futures, in swaps e così via, cui si dà il generale nome di new properties, di nuova ricchezza. Qui la metamorfosi sta nel fatto che il contratto, nato per attuare la circolazione della ricchezza, è utilizzato per creare, esso stesso, nuova ricchezza.
( Massimo Viceconte)
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