La costante giurisprudenza della Suprema Corte e la prevalente dottrina hanno sempre ritenuto che il “contratto atipico di posteggio” di un veicolo in un pubblico parcheggio va inquadrato nello schema generale del contratto di deposito, il quale comporta l’obbligo per il depositario di custodire l’automezzo e di restituirlo nello stato in cui è stata consegnato, ed il conseguente obbligo – ove l’automezzo stesso venga sottratto o danneggiato – al risarcimento del danno. [1]
In linea generale il fine essenziale cui tende il deposito è quello della conservazione della cosa, laddove l’obbligazione di custodire rappresenti la prestazione qualificatrice del contratto tale da determinare il tipo negoziale in cui il contratto stesso si sostanzia.
Il contratto di deposito si perfeziona con la traditio della cosa, la quale fa sorgere l’obbligo della restituzione senza che sia necessario il previo scambio espresso del consenso dei contraenti. Il “contratto atipico di posteggio” è concluso nel momento in cui il veicolo viene immesso e lasciato nell’apposito spazio all’interno del parcheggio, senza che sia richiesta anche la consegna delle chiavi o del documento di circolazione e anche se il pagamento del compenso non avviene anticipatamente, non essendo siffatte formalità necessarie al perfezionarsi del contratto stesso. [2]
L’obbligo del gestore di pubblico parcheggio al risarcimento del danno – ove la cosa depositata venga sottratta o danneggiata – sussiste ove lo stesso non fornisca la prova, su di lui incombente, dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità dell’evento nonostante la diligenza del buon padre di famiglia, e cioè in presenza di un fatto fortuito, nel quale tuttavia non rientra il furto (con o senza violenza o minaccia alla persona).[3]
La stessa Cassazione Civile ha poi affermato che “la tesi della locazione d’area non può essere seguita, perché è di tutta evidenza che l’obbligazione principale del gestore del parcheggio, in relazione a quello che è l’interesse prevalente del cliente, è certamente quella di custodire l’autovettura che il cliente lascia nel parcheggio proprio per evitare di lasciarla in luogo pubblico, con i conseguenti rischi relativi alla mancanza di custodia. In realtà non è il titolare del parcheggio che consegna l’area al cliente (come dovrebbe essere se si trattasse di locazione), ma esattamente il contrario: è il cliente che consegna la sua automobile al predetto titolare, ricevendone in cambio un documento che lo legittima a riprenderla. È quindi evidente la preponderanza dell’elemento dell’affidamento del veicolo con conseguente obbligo di custodia e di riconsegna secondo lo schema generale del contratto di deposito”. [4]
Non ha poi alcuna rilevanza, secondo noi, il fatto che in un parcheggio esista un regolamento che esclude la responsabilità per eventuali furti o danni. Una clausola che esclude la responsabilità del posteggiatore, infatti, configura un atto limitativo delle obbligazioni tipiche del depositario, con la conseguenza che – ove contenuta in condizioni generali di contratto – deve considerarsi vessatoria, e perciò inefficace se non specificamente approvata per iscritto.[5] Ne discende l’irrilevanza di una manifestazione unilaterale di volontà del depositario che, a mezzo di cartelli esposti, declini la propria responsabilità sugli oggetti depositati.[6]
Per quanto riguarda infine il furto dell’autoradio che un veicolo
subisca allorquando è depositato presso il suddetto posteggio, occorre rilevare che le obbligazioni di custodia e di restituzione del titolare di pubblico parcheggio si estendono alle singole componenti del veicolo depositato che costituiscano elementi essenziali dello stesso, tali da non poter essere considerate cose trasportate (tra le quali, appunto, l’impianto di autoradio che, nel caso di specie, era oltre tutto incorporato stabilmente nella plancia della vettura).
note
[1] Cass. Civ. 23/8/90 n°8615, Cass. Civ. 2/3/1985 n°1787, Cass. Civ. 22/12/1983 n°7557, Cass. Civ. 25/2/81 n°1144.
[2] Cfr. Cass. Civ. 2/3/1985 n°1787, Cass. Civ. 23/12/1983 n°7557.
[3] Cass. Civ. 23/12/1983 n°7557, Cass. Civ. 3/11/1984 n°5578
[4] Cass. Civ. 23/8/1990 n°8615.
[5] Cass. Civ. 21/6/1993 n°6866.
[6] Cass. Civ. 16/4/1993 n°4540
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