In generale: il contenuto dell’accordo
Il contratto autonomo di garanzia, pur non essendo specificamente disciplinato all’interno dell’ordinamento italiano, è ben noto e molto utilizzato nel nostro Paese, sia in relazione ad operazioni che vedono il coinvolgimento di controparti straniere, sia in relazione ad operazioni poste in essere in ambito strettamente domestico. Per questa ragione, tanto i Giudici di merito, quanto la Suprema Corte di cassazione, hanno avuto modo di occuparsene in più occasioni, riconoscendone ormai da anni l’ammissibilità[1]. Proprio una recente sentenza della Suprema Corte – la n. 1186, del 21 gennaio 2020 – fornisce l’occasione per una sintetica analisi di alcune delle principali caratteristiche di questa tipologia di accordo.
Prima di entrare nel vivo della trattazione, appare opportuno formulare una breve premessa in relazione all’accordo in sé, così da coglierne alcune delle principali caratteristiche strutturali, ed evidenziarne l’utilità in concreto.
In via di prima approssimazione, si può osservare che il contratto autonomo di garanzia determina l’assunzione di un impegno, da parte del garante, ad effettuare un pagamento al beneficiario della garanzia, a seguito di una richiesta da parte di quest’ultimo. Come rivelato dalla stessa denominazione, tale contratto si differenzia nettamente da altre garanzie personali, e in particolare dalla fideiussione, per l’autonomia che lo caratterizza rispetto all’obbligazione garantita.
Più nello specifico, la garanzia in esame si inserisce abitualmente in un più ampio rapporto trilaterale, che prevede:
- un rapporto principale di debito / credito (cd. rapporto di valuta), che potrebbe ad esempio derivare da un contratto di compravendita di beni o di partecipazioni sociali, di appalto, di finanziamento, o da un altro accordo, a seconda del caso;
- un rapporto tra il debitore-ordinante e il garante (spesso, un istituto di credito), in forza del quale quest’ultimo si impegna al rilascio della garanzia, a fronte del pagamento di un corrispettivo da parte dell’ordinante (cd. rapporto di provvista). In generale, questo rapporto appare inquadrabile nello schema del contratto di mandato, tant’è che, nel caso di escussione della garanzia autonoma, il garante si può rivalere nei confronti del proprio mandante;
- infine, un rapporto tra il garante e il beneficiario-creditore, specificamente regolato da un contratto autonomo di garanzia, in forza del quale il garante si obbliga a provvedere al pagamento di una data somma in favore del beneficiario, a fronte di semplice richiesta scritta di quest’ultimo, e senza la possibilità di far valere le eccezioni derivanti dal rapporto tra l’ordinante e il beneficiario[2].
Come accennato, la principale caratteristica che identifica il contratto autonomo di garanzia, e che lo contraddistingue rispetto alla garanzia fideiussoria disciplinata dal codice civile, è la mancanza di accessorietà rispetto al rapporto principale tra il debitore e il creditore[3]. Questa caratteristica può rendere il contratto autonomo più tutelante per il creditore, rispetto ad una fideiussione: non a caso, è stato osservato che il contratto autonomo di garanzia produce in sostanza “risultati non dissimili da una cauzione, senza tuttavia comportare l’immobilizzazione di rilevanti risorse economiche trasferendo dall’una all’altra parte i costi dell’iniziativa processuale”[4].
Ciò chiarito, si tenga presente che nella prassi commerciale la garanzia di cui si discute può assumere forme e contenuti differenti, sia per quanto concerne gli obblighi assunti dal garante, sia in relazione ai presupposti per poter chiedere l’adempimento di tali impegni[5]. Al fine di ottenere un quadro esaustivo della portata del singolo contratto, sarà quindi necessario esaminare di volta in volta con attenzione tanto la garanzia, quanto il rapporto complessivo tra le parti coinvolte.
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La controversia in esame
Avendo inquadrato in termini generali il contratto in esame, veniamo ad esaminare la già richiamata sentenza n. 1186/2020 della Corte di cassazione, nella quale quest’ultima ha evidenziato alcuni fondamentali principi che caratterizzano, a suo avviso, il contratto autonomo di garanzia (c.d. Garantievertrag).
Per meglio comprendere il contenuto della pronuncia, appare utile semplificare i fatti rilevanti, come segue[6]:
- in esecuzione di un obbligo contrattuale assunto nel contesto di un trasferimento di partecipazioni sociali[7], i venditori di tali partecipazioni ottenevano il rilascio, da parte di un istituto bancario, di una garanzia in favore dell’acquirente (beneficiario) in relazione a eventuali obblighi di indennizzo;
- a distanza di alcuni anni dal rilascio della garanzia, l’acquirente provvedeva all’escussione della suddetta garanzia, dichiarando che vi sarebbe stato un inadempimento da parte dei cedenti, con conseguente diritto dell’acquirente stesso all’indennizzo;
- l’istituto bancario-garante effettuava il pagamento in favore del beneficiario della garanzia, tramite la liquidazione di alcuni titoli di proprietà dei venditori, che erano stati in precedenza depositati presso il medesimo istituto.
Successivamente a tali eventi, i venditori hanno agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano, affermando di non aver posto in essere alcun inadempimento e lamentando quindi l’illegittimità dell’escussione della garanzia.
Al termine del giudizio di primo grado, la domanda dei venditori è stata accolta, salvo poi essere invece respinta al termine del successivo giudizio di appello, sulla base di ragioni di diritto processuale in merito alle quali non risulta utile soffermarsi, essendo estranee al tema in esame.
Ciò che invece sicuramente rileva sono i criteri enunciati dalla Corte di cassazione ai fini della qualificazione del contratto di garanzia autonomo, che ne individuano le differenze rispetto alla garanzia fideiussoria. Questo tema infatti, pur essendo già stato oggetto di altre pronunce in passato (anche delle Sezioni Unite[8]), merita rinnovata considerazione. A riprova di ciò, basti sottolineare che i Giudici di primo e secondo grado erano giunti, sul punto, a considerazioni diametralmente opposte: mentre infatti il Tribunale di Milano aveva qualificato il negozio come fideiussione, la Corte di appello ha ritenuto che l’accordo fosse qualificabile come garanzia autonoma.
Le clausole contrattuali alla base della controversia
Nel ricostruire gli elementi necessari per determinare la natura dell’accordo, la Corte di cassazione riferisce anzitutto che la garanzia in esame prevedeva un’espressa rinuncia all’applicazione degli artt. 1945, 1955 e 1957 c.c.
Senza dilungarsi, si rammenta che:
- ai sensi dell’art. 1945 c.c., “il fideiussore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella derivante dall’incapacità”;
- in forza dell’art. 1955 c.c., “la fideiussione si estingue quando, per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore”;
- l’art. 1957 c.c., infine, sancisce che: “1. Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate. 2. La disposizione si applica anche al caso in cui il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale […]”.
Queste previsioni normative (ed altre, previste sempre nel codice civile) riflettono l’accessorietà della garanzia fideiussoria rispetto al contratto principale: escluderne l’applicazione implica una scelta di tipo opposto, come si dirà meglio qui di seguito.
I criteri rilevanti per la qualificazione giuridica del contratto in esame
Dopo aver ripercorso le premesse fattuali sopra illustrate, la Suprema Corte afferma anzitutto che il contratto autonomo di garanzia è espressione dell’autonomia negoziale riconosciuta alle parti contraenti dall’art. 1322 c.c.[9].
La Corte prosegue poi il proprio percorso argomentativo tracciando alcune basilari differenze tra il contratto in esame e la fideiussione, ed in particolare osservando che:
- la garanzia autonoma ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un “fare” infungibile (come ad esempio l’obbligazione dell’appaltatore). Diversamente, la fideiussione ha come oggetto la garanzia della stessa obbligazione principale altrui, proprio in ragione dell’identità tra la prestazione principale e quella del fideiussore;
- mentre la causa concreta del contratto autonomo riguarda il trasferimento del rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione (derivante, o meno, da inadempimento colpevole), la fideiussione tutela l’interesse del creditore all’esatto adempimento della stessa prestazione principale.
Sulla base di queste premesse, la Corte giunge alla conclusione secondo cui il fideiussore è un “vicario del debitore”, essendo obbligato ad una prestazione caratterizzata dall’elemento dell’accessorietà.
Per contro, il garante autonomo è tenuto a eseguire una prestazione “del tutto autonoma”, “non necessariamente sovrapponibile [alla prestazione garantita] e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore”.
Ai fini della qualificazione del contratto, precisa la Cassazione, costituiscono indici di una deroga all’accessorietà le clausole in forza delle quali:
- sia esclusa la legittimazione del debitore principale a chiedere che il garante opponga al garantito le eccezioni scaturenti dal rapporto contrattuale principale;
- venga pattuita la rinuncia ad opporre eccezioni da parte del garante che, dopo il pagamento, abbia agito in regresso.
Facendo un ulteriore passo in avanti, la Corte inoltre ribadisce che l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” consente di per sé di qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (essendo incompatibile con la natura accessoria della fideiussione). Ciò, però, salvo quando vi sia un’“evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale”.
In assenza di un rapporto di accessorietà, nel caso di garanzia autonoma, il garante “non può opporre eccezioni riguardanti il rapporto principale, salva l’esperibilità del rimedio generale dell’”exceptio doli”, potendo però sollevare nei confronti del creditore eccezioni fondate sul contratto di garanzia”. Ciò proprio perché, a seconda della qualificazione del contratto come fideiussione, oppure come garanzia autonoma, discendono delle rilevanti conseguenze in merito alle eccezioni opponibili (o non opponibili) da parte del garante e dal debitore principale.
Infine, la Cassazione prende atto che la Corte di appello, nella sentenza oggetto di impugnazione, aveva qualificato la garanzia come contratto autonomo di garanzia. Sulla base di tale premessa, i Giudici di legittimità hanno precisato che l’unica circostanza rilevante per valutare le eccezioni sollevabili poteva essere l’“eventuale condotta fraudolenta ed abusiva [del beneficiario del pagamento] e, dunque, l’esperibilità del rimedio generale dell’exceptio doli, e ciò proprio perché la fraudolenza dell’escussione della garanzia da parte del beneficiario qualifica come indebito (e, dunque, non dovuto) il pagamento di cui si richiede, ora, la restituzione”.
Considerazioni conclusive
Nella pronuncia in commento si trova attuale conferma di molti dei principi applicabili al contratto autonomo di garanzia già enunciati in precedenti arresti giurisprudenziali, anche in relazione alle differenze che lo contraddistinguono rispetto alla garanzia fideiussoria, nonché della necessità di avere accorto riguardo all’effettivo contenuto del documento costituente la garanzia e degli altri contratti regolanti il rapporto principale.
In attesa di eventuali sviluppi successivi sul punto, allo stato risulta opportuno sottolineare, una volta ancora, la particolare attenzione necessaria in relazione alla predisposizione e/o interpretazione del testo contrattuale, atteso che la qualificazione come contratto autonomo, oppure come fideiussione, può determinare conseguenze del tutto differenti relativamente all’operatività (o meno) della garanzia. Di sicuro, ogni specifica considerazione in merito necessita di una precisa ricostruzione in fatto ed in diritto, alla luce della fattispecie concreta.
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Note
[1] Per una succinta ricostruzione del dibattito sull’ammissibilità del negozio in esame, si veda A. Cetra, Contratto autonomo di garanzia, in Diritto on line (2019), www.treccani.it, ove sono presenti appositi richiami ad alcune tra le plurime trattazioni sul tema.
[2] Si tenga comunque presente che per poter valutare compiutamente il rapporto tra le parti non si può prescindere da un esame specifico della fattispecie concreta.
Ad esempio, quando il contratto di garanzia si inserisce in un’operazione tra controparti provenienti da Stati differenti, il rapporto non di rado coinvolge quattro soggetti, invece che tre. Ciò avviene “se la banca (incaricata dal debitore) dà, a sua volta, mandato ad una seconda banca (situata in un diverso paese) di rilasciare la garanzia in favore del beneficiario. Successivamente, una volta escussa la garanzia, la seconda banca (cd. garante) si rivale sulla prima (c.d. controgarante) e quest’ultima, infine, sull’ordinante” (A. Cetra, Contratto autonomo di garanzia, cit.). In questo modo, il beneficiario può avere un rapporto diretto con un ente creditizio del suo stesso Stato, il che potrebbe rendere più semplici alcuni “passaggi”, anche dal punto di vista operativo e processuale.
[3] Tra le norme che implicano l’esistenza di un rapporto di accessorietà tra la fideiussione e l’obbligazione principale, si considerino, in particolare, gli artt. 1939, 1941 e 1945 c.c.
[4] L. Mula, Le garanzie autonome a prima richiesta nella prassi internazionale, in www.dirittobancario.it (aprile 2019), cui si rinvia anche per alcuni riferimenti di pronto riscontro in merito a taluni aspetti della prassi del commercio internazionale in materia. Sul punto, ci si limita qui a rilevare l’esistenza di significative raccolte di regole uniformi, tra le quali le Uniform Rules for Demand Guarantees elaborate dalla Camera di Commercio Internazionale (ICC).
[5] A titolo di esempio dei diversi contenuti del contratto in esame, basti richiamare alcune delle possibili garanzie utilizzate in relazione ai contratti di appalto, soprattutto in ambito internazionale:
- il cd. “bid bond”, che può assumere la forma di una garanzia per mezzo della quale il garante si obbliga ad effettuare una certa prestazione, per il caso in cui il soggetto che ha effettuato un’offerta contrattuale non ne rispetti i termini (ad esempio ritirandosi dalla procedura di gara e non sottoscrivendo il contratto di appalto);
- il cd. “performance bond”, avente ad oggetto una garanzia relativa alla buona esecuzione del contratto di appalto;
- il cd. “advance payment bond”, garanzia che solitamente ha lo scopo di assicurare la restituzione al committente dell’anticipo corrisposto all’appaltatore, nel caso in cui sorga un simile obbligo.
[6] La ricostruzione (semplificata) fornita nel testo di questo scritto è funzionale alle finalità illustrative della trattazione. Ove si voglia avere un quadro di dettaglio della vicenda, si potrà ovviamente fare riferimento al testo integrale della sentenza in esame.
[7] Comunemente anche denominato, nella prassi, Share purchase agreement, o SPA.
[8] Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3947.
[9] Al riguardo, la Suprema Corte richiama espressamente la ben nota pronuncia delle proprie Sezioni Unite, già citata nella nota che precede, ove il tema della garanzia autonoma è stato ampiamente esaminato.
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