In linea generale, ex art 1333 cc, nel contratto che prevede obbligazioni a carico del solo proponente, la proposta è irrevocabile appena giunge a conoscenza del destinatario, che può rifiutarla nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi. In mancanza di rifiuto il contratto si intende concluso.
Dalla predetta disposizione codicistica dianzi richiamata, traspare una particolare modalità di conclusione del contratto che, anziché perfezionarsi con l’incontro delle manifestazioni di volontà delle parti (ex art 1325 n 1 cc) ovvero quando chi fa la proposta viene a conoscenza dell’accettazione dell’altra parte, in ossequio al principio consensualistico di cui all’art. 1326c.c., si perfeziona, invece, con il “mancato rifiuto” del soggetto nei cui confronti la proposta è rivolta.
Nel nostro ordinamento, in linea generale, il silenzio non ha valore giuridico di tacito consenso. Vi sono tuttavia delle ipotesi eccezionali in cui quando ricorrono particolari circostanze o quando è la legge stessa che lo prevede, il silenzio acquista valore di tacito consenso. In tali circostanze, ne deriva che il rifiuto produce effetti risolutivi di un contratto già perfezionatosi con effetti retroattivi.
Le suddette ipotesi eccezionali si giustificano in virtù del fatto che tale particolare modalità di conclusione del contratto può essere utilizzata solo allorquando non ponga obbligazioni a carico dell’oblato, in ossequio al principio dell’intangibilità della sfera giuridica altrui che trova il proprio riconoscimento nell’autonomia delle parti.
L’art 1333 c.c. sembrerebbe quindi derogare non solo con il principio di cognizione, basato sull’incontro di volontà coeve, ma anche con la disposizione di cui all’art. 1328 c.c., che sancisce il principio di revocabilità della proposta fino a quando il contratto non si sia concluso, qualificandosi come irrevocabile.
Tale particolare disciplina, che si sottrae al binomio proposta-accettazione, ha dato vita ad un intenso dibattito dottrinale circa la ricostruzione strutturale di tale norma ovvero del modo di formarsi del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente.
Una prima impostazione concepisce tale fattispecie come un contratto bilaterale che non deroga allo scambio di proposta e accettazione. Il mancato rifiuto viene infatti equiparato ad una accettazione tacita o presunta. Quindi, secondo tale orientamento, ne consegue che il contratto si intende concluso alla scadenza del termine entro il quale l’oblato può rifiutare la proposta.
Una seconda impostazione esegetica, pur concependo anch’essa l’art. 1333 c.c. come un normale contratto bilaterale, rileva come l’accettazione della parte nei cui confronti sia rivolta la proposta debba considerarsi sostituita da un comportamento tipico legalmente tipizzato. Ergo, il mancato rifiuto non viene assimilato ad una accettazione tacita ma si qualifica come un atto tipico a cui la legge conferisce valore di accettazione esclusivamente ed indipendentemente dalla volontà delle parti.
Entrambe le sopracitate opzioni interpretative sono state fortemente criticate da parte della dottrina che non ha mancato di osservare come si vengano a creare in tal modo delle finzioni. Infatti, è finzione per alcuni autori considerare il mancato rifiuto come tacita accettazione, ed è parimenti una finzione legale assimilare il mancato rifiuto a un atto tipico a cui la legge attribuisce il valore di accettazione.
In buona sostanza, secondo tale dottrina, si rischierebbe di operare un’interpretazione eccessivamente estensiva della norma che trascenderebbe il dato letterale della stessa, poiché non si evincerebbe in maniera esplicita alcuna indicazione da cui far scaturire che il mancato rifiuto possa considerarsi alla stessa stregua dell’ accettazione.
Alla base degli orientamenti sopra esposti, che riconducono l’art 1333 c.c. nell’alveo dei contratti, vi era l’idea della predominanza del contratto come unico strumento di autonomia negoziale.
Un ulteriore più recente orientamento, supportato anche da parte della giurisprudenza di legittimità, ha statuito come la norma di cui all’art 1333 c.c. debba essere intesa come un negozio unilaterale recettizio ovvero, detto in altri termini, come una promessa unilaterale atipica.
Tale tesi rimarca e consacra la crisi del modello contrattualista dell’intangibilità del contratto e del dogma della volontà, affermando che anche un atto diverso dal contratto dal quale emerga un’effettiva volontà di costituire un rapporto giuridico, pur in mancanza di copertura normativa, può essere lecito purchè tenda alla tutela di un interesse meritevole.
Le argomentazioni a favore di tale ultimo orientamento si concretano, da un lato, nel fatto che, configurando il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente come un’obbligazione a carico di una parte consistente nella promessa di una prestazione e nel vincolo ad eseguirla a favore di un altro soggetto senza necessità che questo accetti, viene comunque sufficientemente garantito il principio di intangibilità della sfera giuridica altrui, fin tanto che la promessa produca effetti favorevoli nei confronti della controparte (c.d. modifiche solo in senso positivo); dall’altro, si ritiene applicabile l’art 1324 c.c, che riguarda non solo i contratti ma anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, nonché l’art 1322, secondo comma, cc che ammette nel nostro ordinamento la conclusione di contratti atipici.
Tale tesi, in buona sostanza, estendendo la disciplina dei contratti agli atti unilaterali, giustificherebbe la sussistenza di promesse unilaterali atipiche frantumando quella discrasia tra l’atipicità dei primi e la tipicità dei secondi.
Secondo parte della dottrina, sebbene il contratto con obbligazioni del solo proponente (ex art 1333 c.c.) faccia riferimento formalmente ai contratti, come si evince dalla stessa rubrica della norma, deve ritenersi come di fatto tale fattispecie esuli dalla schema del contratto e si collochi nell’alveo delle promesse unilaterali atipiche.
Tale impostazione, quindi, sembrerebbe ammettere l’ammissibilità nel nostro ordinamento di promesse unilaterali atipiche.
Orbene, al fine di un corretto inquadramento sistematico di tale disciplina, si appalesa quindi indispensabile una disamina delle promesse unilaterali in generale.
Le promesse unilaterali sono collocate nel titolo IV del libro IV dedicato alle obbligazioni, e disciplinate dagli artt 1987 ss cc. Esse sono, altresì, indicate nell’art. 1173 c.c. tra le fonti delle obbligazioni in particolare tra quegli “atti o fatti idonee a produrle in conformità all’ordinamento giuridico” accanto al contratto e al fatto illecito.
Dalla disposizione da ultimo richiamata traspare l’intento del legislatore di dar vita ad un sistema aperto, come già accadeva nel diritto romano, e non più chiuso come nel codice del 1865. Il legislatore pur preso atto della predominanza dello strumento contrattuale nelle dinamiche relazionali e soprattutto in ambito economico, ha creato un sistema di fonti aperto che tiene conto delle esigenze che possono presentarsi in una data contingenza storica.
Ciò premesso, è utile richiamare il tenore letterale di cui all’art. 1987 c.c. rubricato “Efficacia delle promesse” il quale dispone che la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge. Dalla norma è dato desumere il principio di tipicità delle promesse unilaterali in quanto esse non possono produrre effetti obbligatori se non nei casi ammessi dalla legge che sono: promessa di pagamento, ricognizione di debito (art. 1988. 1 e 2 co. cc) e promessa al pubblico (art. 1989 cc).
Si discute, inoltre, se la figura della donazione obnunziale (art. 785 cc), ovvero quella effettuata in previsione di un futuro matrimonio, si qualifichi come promessa unilaterale in deroga alla disciplina generale che qualifica la donazione come la principale figura di contratto a titolo gratuito. La dottrina la riconduce nell’alveo delle promesse unilaterali a fronte del dettato letterale della norma la quale dispone che tale tipologia di donazione si “perfeziona senza bisogno di accettazione”.
Altre figure controverse di cui si discute con riguardo alla riconducibilità o meno delle promesse atipiche sono: la c.d. purgazione di ipoteca volontaria da parte del terzo, la quale, sostanziandosi in un’offerta, da parte del terzo che non sia personalmente obbligato, del prezzo del bene o del valore dello stesso, può, ad avviso di parte della dottrina, essere assimilata a una promessa; nonchè la proposta irrevocabile ex art. 1329 cc la cui natura è dibattuta, poiché taluni la riconducono alla categoria delle promesse unilaterali e altri alla categoria del negozio giuridico.
Sebbene l’ambito di applicabilità dell’art 1333 cc si estenda a contratti a effetti obbligatori a titolo gratuito (es. fideiussione) occorre spendere qualche precisazione al riguardo, poiché l’ambito applicativo della norma è più ristretto. Si escludono, infatti, dalla sfera di operatività di cui all’art. 1333 cc le donazioni, in quanto esse, pur concretandosi nella principale figura di negozio a titolo gratuito, devono essere fatte per atto pubblico, nonché la stessa accettazione deve essere fatta nell’atto stesso o con atto pubblico posteriore e tale peculiarità le rende distanti dalle promesse unilaterali. Si escludono, altresì, i contratti che prevedono obbligazioni modali, ovvero che impongono un modus o onere che limita il beneficio. Ricondurre tale tipologia nell’alveo delle promesse unilaterali e quindi dell’art 1333 cc, se si abbraccia la tesi che tale norma costituirebbe il referente normativo attraverso il quale le promesse unilaterali troverebbero ingresso nel nostro ordinamento, significherebbe violare la ratio sottesa alla norma che consente l’instaurarsi di un rapporto giuridico evitando gli effetti pregiudizievoli che potrebbero nascere dall’efficacia dell’atto nei confronti della persona verso la quale è destinato (nella specie, l’onere potrebbe pregiudicare il beneficiario).
Solo modifiche positive possono, in buona sostanza, giustificare un’ingerenza nell’altrui sfera giuridica.
Tale conclusione è confermata, sebbene in ambito contrattuale, anche dalla figura del contratto a favore di terzo (art. 1411 cc). Si evidenzia, infatti, come lo stesso principio di relatività del contratto, ai sensi dell’art 1372 cc, subisca delle limitazioni in quanto il contratto oltre ad avere efficacia tra le parti può produrre altresì effetti nei confronti dei terzi che non sono esposti al libero arbitrio di ingerenze altrui ma possono rifiutare gli effetti del contratto qualora questi siano per essi pregiudizievoli.
Milano, 14 maggio 2017
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