Di Stefano Martello*
1. Premessa
2. L’apertura di credito
3. La problematica del recesso della banca
4. Note
5. Bibliografia
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1. Premessa
Risulta lampante come attualmente il settore bancario stia vivendo una vera e propria trasformazione tesa alla ridefinizione radicale dei compiti istituzionali della stessa; esempio di quanto sopra si ravvede nei nuovi settori dell’attività finanziaria (1) che vedono sempre più protagonista la banca, intesa non più esclusivamente come impresa commerciale il cui compito è finalizzato alla raccolta del risparmio tra il pubblico unitamente all’esercizio del credito, comprendendo nel suo piano d’azione globale anche attività finanziarie che nel tempo hanno acquistato importante peso economico.
La moderna struttura bancaria assume così le ingombranti vesti di gruppo bancario plurifunzionale.
Risulta anche chiaro come l’esercizio del credito, inserito in un contesto sociale, rivesta una fondamentale importanza, necessitando così di una attenta tutela sia nei confronti dell’istituzione “banca”, sia nei confronti dell’utente della banca; tale protezione giuridica aumenterebbe così la possibilità di usufruire di detti servizi in maniera sicura, eliminando quell’odiosa situazione per cui l’utente, estromesso dal circuito creditizio istituzionale, si rivolge al più pericoloso circuito usuraio (2).
Lo scritto in esame volge lo sguardo all’apertura di credito, delineando tecniche di utilizzo unitamente alle problematiche che, nell’argomento in esame, si concentrano sul cd. recesso della banca, cercando di attuare riflessioni in merito.
2. L’apertura di credito
L’apertura di credito si realizza come un contratto per cui la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaro (3) per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (articolo 1842 c.c.).
Dalla stessa nozione del codice si evince anche la tipologia attiva (4) dell’operazione, ma a ben vedere l’istituto stesso potrebbe confondersi con la promessa di mutuo (articolo 1822) così che è necessaria una doverosa premessa; premessa che viene sciolta e risolta dalle sapienti parole di Gian Franco Campobasso che spiega come l’apertura di credito non possa essere identificata con la promessa di mutuo in quanto “la banca è obbligata già con la stipula del contratto di apertura di credito e non è necessaria un’ulteriore manifestazione di volontà della stessa” (5).
Ma andando oltre sempre il Campobasso spiega come sia impossibile identificare la figura in esame con quella del mutuo consensuale “dato che all’obbligo della banca di tenere a disposizione corrisponde un diritto potestativo del cliente. Questi è infatti libero di utilizzare o meno, in tutto o in parte, il credito concessogli, se e quando lo riterrà opportuno. Ed in ciò consiste il vantaggio pratico dell’apertura di credito rispetto al mutuo” (6).
Il discorso in esame dimostra poi tutta la sua importanza soprattutto in merito agli interessi che, nel caso dell’apertura di credito, sono dovuti dal cliente solo e solamente sulle somme effettivamente utilizzate e non sull’intera somma concessa dalla banca, che, comunque, potrà essere utilizzata in una unica volta o, al contrario, in più volte e potrà poi essere ripristinata dal cliente con successivi versamenti.
Sempre a proposito dell’utilizzo del credito, lo stesso potrà essere erogato anche attraverso l’emissione degli assegni bancari o, previo “avvertimento” alla banca, per il pagamento di un terzo da parte della stessa banca (7).
Quanto sopra per quanto riguarda l’utilizzo del credito.
Per quanto riguarda invece il tema delle garanzie, si afferma come l’apertura di credito possa essere allo scoperto, al contrario, sorretta da garanzie reali o personali a favore della banca.
Per quest’ultima, il disposto dell’articolo 1844 c.c. afferma come “se per l’apertura di credito è data una garanzia reale o personale, questa non si estingue prima della fine del rapporto per il solo fatto che l’accreditato cessa di essere debitore della banca”; e ancora l’articolo prevede il caso in cui la garanzia precedentemente data sia divenuta insufficiente rispetto alla linea di credito concessa (8), prevedendo al secondo comma come “la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante. Se l’accreditato non ottempera alla richiesta, la banca può ridurre il credito proporzionalmente al diminuito valore della garanzia o recedere dal contratto”.
Quanto sopra per quanto riguarda gli aspetti di prassi dell’istituto; aspetti che, nella loro attuazione, sicuramente tutelano sia l’istituzione che il cliente all’interno di un quadro sostanzialmente omogeneo ed equilibrato.
Un equilibrio che si afferma invece come elemento aleatorio nel recesso della banca, come si vedrà nel paragrafo seguente.
3. La problematica del recesso della banca
La disciplina del recesso della banca si afferma come il tassello più delicato del mosaico “apertura di credito”, in quanto proprio la sua attuazione potrebbe comportare un grave pregiudizio per il cliente, improvvisamente privato di una disponibilità economica; e proprio la mancanza di una disponibilità economica si afferma come punto cruciale e bivio importante per il cittadino che, sentendosi escluso dal circuito creditizio istituzionale, spesso si rivolge al mondo sommerso quanto drammaticamente attivo dell’usura.
Risulta lampante, quindi, come tale punto debba essere analizzato non solo in una ottica giuridica di tutela per il cliente – ma anche per l’istituzione – ma soprattutto in una ottica sociale, stante ormai lo strettissimo legame tra mondo economico e comunità sociale.
Il recesso della banca viene analiticamente disciplinato dal codice nel disposto dell’articolo 1845 che differenzia l’apertura di credito a tempo determinato rispetto all’apertura di credito a tempo indeterminato.
Si legge infatti al primo comma come “salvo patto contrario, la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa” proseguendo poi al secondo comma con l’indicazione degli effetti del recesso che si riassumono in una sospensione immediata dell’utilizzo del credito unitamente alla restituzione delle somme utilizzate per cui la banca deve concedere un termine di almeno quindici giorni.
Si afferma così una tutela del cliente proprio nel termine dei quindici giorni e, soprattutto, nel limite della “giusta causa” imposto alla banca; un limite che “scompare” nel terzo comma dell’articolo in esame – apertura di credito a tempo indeterminato – in cui “ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni”, creando così una situazione di minore tutela, stemperata solo dal fatto che – a differenza del credito a tempo determinato dove il recesso implica la sospensione immediata dell’utilizzo del credito – nel caso in esame il cliente può continuare ad utilizzare il credito precedentemente concessogli (9).
Ma questo, come sapientemente enunciato dal Campobasso, è il diritto scritto nelle pagine del Codice; un diritto che si scontra con la prassi bancaria dedicata all’argomento e fissata dalle norme bancarie uniformi; un dato paradossale se si pensa che le stesse norme bancarie uniformi sono state al centro di numerose modifiche soprattutto in merito al miglioramento delle condizioni di tutela del cliente della banca.
Tra questi interventi, l’Autore vuole citare l’applicazione della disciplina antimonopolistica nazionale anche al settore bancario (10), per cui la Banca d’Italia – quale autorità competente per l’applicazione della normativa nel settore in esame – ha ritenuto nel 1994 le n.b.u. alla stregua di intese restrittive della concorrenza, imponendo all’Abi la soppressione e/o la modifica di diverse clausole che fissavano condizioni economiche in contrasto con le regole della concorrenza (11).
Di poi anche la disciplina dei contratti con i consumatori introdotta nel 1992 (12) che ha contribuito all’accentuazione del grado di tutela dei clienti delle banche quando questi siano persone fisiche che agiscono per scopi estranei alla loro attività imprenditoriale o professionale (13).
Ma evidentemente tutto questo non è stato sufficiente se è vero che nelle norme bancarie uniformi – in tema di recesso della banca nell’apertura di credito – si annulla ogni distinzione tra apertura di credito a tempo determinato e a tempo indeterminato, creando un piano d’azione in cui lo stesso recesso sospende immediatamente l’utilizzo di credito unitamente alla riduzione drammatica ad un giorno per la restituzione delle somme utilizzate dal cliente.
Di poi la clausola, ritenuta nel 1995 in contrasto con la sopra citata normativa antimonopolistica, ha subito una parziale modifica nel senso che il termine di preavviso deve essere necessariamente concordato tra la banca ed il cliente; una non soluzione, a parere di colui che scrive, resa ancora più lampante dalla evidente situazione di forza esercitata dall’istituzione bancaria.
La situazione in esame non migliora nemmeno se cliente della banca è un soggetto che riveste lo status di consumatore; e tale dato trova forza e conferma nel fatto che la disciplina non muta per l’apertura di credito a tempo indeterminato (14), determinandosi un vero cambiamento solo per la fattispecie a tempo determinato, dove anche le norme bancarie uniformi prevedono un parziale “ritorno” al Codice, introducendo nuovamente il limite della giusta causa.
Il quadro così contrassegnato risulta essere permeato da numerose problematiche; ed è a questo punto che sorge una spontanea domanda: perché questa tutela così pronta nei confronti dell’istituzione e, nel contempo, così poco attenta alle esigenze del cliente?
Affermare che tale tutela risulta essere l’unica “arma” possibile contro clienti/imprenditori inaffidabili è scontato quanto poco propizio per una risoluzione non solo teorica, bensì pratica; una soluzione che, a ben vedere, non viene “aiutata” dalla giurisprudenza che, pur riconoscendo la natura vessatoria delle clausole in esame, non ha esitato a riconoscere la validità, per esempio, della clausola che fissa il termine ad un giorno per la restituzione delle somme utilizzate nell’apertura di credito a tempo determinato (15).
In conclusione, una problematica ancora aperta, di difficile quanto necessaria risoluzione, soprattutto se si pensa alla funzione sociale del credito per la figura dell’imprenditore; una risoluzione che, in ogni caso, dovrà equilibrare gli interessi contrapposti delle parti, riuscendo ad approntare un piano d’azione permeato da una tutela reciproca che, inevitabilmente, si trasformerà in un utilizzo assiduo e consapevole dello strumento bancario.
*Giornalista
4. Note
(1) Tra queste attività, l’Autore cita il factoring, il leasing e la cartolarizzazione dei crediti.
(2) A tale proposito si rinvia il lettore all’articolo, pubblicato su questa stessa Rivista, “I fenomeni del sovraindebitamento e dell’usura – brevi cenni giuridici e riflessioni sociali” all’indirizzo www.diritto.it/articoli/penale/martello1.html.
(3) Proprio nella determinazione del fido complessivo al cliente, la banca non può esimersi dall’osservare dei limiti, fissati dai preposti organi di vigilanza, per evitare una concentrazione eccessiva dei rischi; per rischi si intendono quelli della banca, ma nel prosieguo dell’articolo si noterà come tale “prudenza” produca indirettamente degli strumenti di tutela anche e soprattutto per il cliente.
(4) Nell’attività commerciale delle banche si identificano operazioni passive – in quanto rendono la banca debitrice nei confronti dei propri clienti – , operazioni attive, il cui esempio più valido è costituito dalla concessione del credito unitamente alle operazioni accessorie o servizi bancari che si attuano in operazioni di tipo strumentale realizzate dalla banca nei confronti del cliente.
(5) G. F. Campobasso; Manuale di diritto commerciale, III tomo, terza edizione, UTET, Torino, 2001 – pagina 144 ss.
(6) Vedi Nota 5.
(7) Tutto questo è possibile in quanto, in base alle relative norme bancarie uniformi, l’apertura di credito integra gli stessi modi di utilizzo del conto corrente bancario.
(8) Si noti bene, la linea di credito concessa, non utilizzata.
(9) Fermo restando che, alla scadenza, dovrà immediatamente restituire le somme utilizzate.
(10) Legge 10/10/1990, n. 287.
(11) Il provvedimento della Banca d’Italia del 3 dicembre 1994, n. 12, in Banca e borsa, 1995, II, 393, con nota di Salanitro.
(12) Su di un piano generale, l’articolo 1469-bis ss. C.c. introdotti dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52.
(13) Tribunale di Roma, 21 gennaio 2000, in Banca e borsa, 2000, II, 207 ss, che ha dichiarato numerose clausole delle n.b.u come vessatorie, inibendone l’uso nei contratti con i consumatori.
(14) L’unica nota saliente riguarda il preavviso che deve essere esercitato attraverso lettera raccomandata.
(15) Tra le molte, Tribunale di Napoli, 18/7/1992, ivi, 1994, II, 206 con nota di Restio; Cassazione 9/2/1987, n. 1381; Cassazione 24/9/1996, n. 8409.
5. Bibliografia
1. Belli F., I servizi bancari, in Trattato Rescigno, volume 12, 1985;
2. Campobasso G. F., Diritto commerciale, III tomo (Contratti, titoli di credito, procedure concorsuali), terza edizione, UTET, Torino, 2001;
3. Fauceglia G., Il franchising: profili sistematici e contrattuali, Giuffrè, Milano, 1988;
4. Fiorentino A., Dei contratti bancari, in Commentario Scialoja – Branca (artt. 1823 – 1860), 1972, seconda edizione;
5. Frignani A. Rossi G., Il factoring, in Trattato Rescigno, volume 11, 2000;
6. Molle G., I contratti bancari, in Trattato Cicu – Messineo, 1973, seconda edizione;
7. Porzio M., L’anticipazione bancaria, Napoli, 1964;
8. Spinelli M. Gentile G., Diritto bancario, Cedam, Padova, 1990, seconda edizione;
9. Stagno D’Alcontres A., Il titolo di credito. Ricostruzione di una disciplina, Giappichelli, Torino, 1999;
10. Tucci G., Factoring, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, Trattato Galgano, UTET, Torino, 1995.
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