Il contratto di fornitura di software personalizzato

Redazione 14/02/00
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Di Silvia Giannini

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L’evoluzione della tecnologia informatica ha favorito e accompagnato un nuovo approccio aziendale e di business evidenziando nuovi bisogni ed esigenze giuridiche, da soddisfare. L’approccio di molte aziende è legato alla ottimizzazione e razionalizzazione della propria struttura e della propria organizzazione, con ripercussioni notevoli anche nella predisposizione dei contratti. La tendenza è quella di esternalizzare alcune attività, che non costituiscono l’attività principale e centrale dell’azienda, appaltandola a terzi. Mi riferisco ad esempio alla gestione dei flussi documentali su supporto ottico o l’elaborazione del sistema di paghe.

La soluzione giuridica e la tipologia di contratto, che ha a disposizione l’imprenditore, si differenzia e si qualifica diversamente a seconda del soggetto incaricato del servizio. Se esso è un libero professionista, il contratto si qualificherà ex art. 2222 c.c. come contratto d’opera, se invece è un imprenditore, e mi riferisco ad una organizzazione di impresa, ad una strutturazione concreta di mezzi e risorse, si avrà un contratto di appalto, ex art. 1655 c.c. mediante il quale l’appaltatore (società informatica) con organizzazione di mezzi necessari e gestione a proprio rischio realizza il servizio, richiesto dal Committente, dietro corrispettivo. Distinguendo fra appalto d’opera, nel caso in cui l’appaltatore si limiti a produrre un nuovo bene materiale o a modificare quello preesistente, e appalto di servizi, nel caso in cui non vi sia una elaborazione di materia, ma si miri a realizzare un’utilità, un sistema, una applicazione software. La diversa qualificazione del contratto incide sul regime di responsabilità del fornitore: se professionista, assumerà nei confronti del committente una obbligazione di mezzi, e i profili di responsabilità saranno contenuti entro i limiti dell’art. 2236 c.c.; se è un soggetto con alle spalle un’organizzazione di impresa, l’obbligazione assunta sarà di risultato, vincolandosi alla piena corrispondenza del software realizzato alle specifiche tecniche e funzionali evidenziate dal committente e alla garanzia ex artt. 1667 – 1668 c.c.

In realtà la disciplina dell’appalto non è hic et nunc applicabile, in quanto, in relazione alla attività realizzata vi sono diversi profili da prendere in  considerazione, non tutti imputabili alla specie contrattuale dell’appalto. Sicuramente in un contratto di outsourcing, di sviluppo software personalizzato, sono coinvolti profili relativi al:

contratto di compravendita, in relazione al supporto magnetico, all’hardware sul quale il software, l’applicazione viene installata;

contratto di appalto, in relazione ai profili di organizzazione di mezzi idonei  e alle modalità di gestione della prestazione, concretatesi nella realizzazione di un sistema o applicazione costruita ad hoc sulle esigenze del committente e esternalizzata rispetto alla struttura aziendale;

licenza d’uso, in relazione ai profili di proprietà intellettuale relativi alla applicazione software.

Pertanto il contratto di sviluppo software si qualifica come un contratto misto in quanto partecipa delle caratteristiche proprie di tutte le tipologie giuridiche sopra citate. Il contratto analizzato si qualifica come contratto atipico e misto al quale si applica la disciplina normativa individuata con il criterio della combinazione, che accorda le diverse discipline a seconda degli aspetti che di volta in volta emergono nella fattispecie contrattuale.

Contratto misto che partecipa dei caratteri di diverse tipologie contrattuali: gli elementi della compravendita inferiscono al supporto magnetico, all’impianto hardware sul quale l’applicazione viene “fatta girare”, trasferito con il contratto alla committente. La disciplina dell’appalto inerisce alla prestazione e  qualora l’oggetto sia una prestazione di servizi a consumo, sarà di servizi, mentre sarà di opera, a seconda che l’oggetto del contratto sia a corpo.

Prendiamo come esempio l’attività di gestione e archiviazione dei documenti su un supporto ottico, in tal caso l’azienda committente esternalizza ad un terzo tale attività. Per le caratteristiche di complessità connesse all’attività esternalizzata, il terzo non potrà essere un semplice professionista, ma sarà una organizzazione a carattere di impresa che presterà la propria attività, sulla base di specifiche tecniche e gestionali elaborate concordemente con la committente, per poi essere completamente autonoma nella realizzazione del servizio. Qualora invece l’attività esternalizzata sia ad esempio la realizzazione di un software, l’azienda potrà decidere di esternalizzare tale attività anche al libero professionista, ricorrendo alla fattispecie ex art. 2222 c.c.

Un altro aspetto rilevante è quello relativo ai diritti di proprietà intellettuale e alla conseguente questione inerente lo sfruttamento economico dell’invenzione “software” realizzata. A tal proposito, occorre fare una premessa in relazione alla tutela accordata dal nostro ordinamento al software.

Brevemente si può dire che il punto di inizio per il riconoscimento del software quale opera d’ingegno è rappresentato dalla sentenza del 1983 del Tribunale di Torino che estendeva il riconoscimento della qualifica di opera di ingegno “alle altre forme di rappresentazione indipendentemente dalla tecnica utilizzata e dalla forma di espressione”. Ma fu la Corte di Cassazione a riconoscere espressamente la possibilità di estendere ai programmi per elaboratore la normativa in tema di diritto d’autore “in quanto opere dell’ingegno che appartengono alle scienze e si esprimono in linguaggio tecnico-convenzionale parificato all’alfabeto e alle sette note”[1].

La Direttiva 91/250/CEE recepita in Italia con decreto legislativo 518/92 ha fornito una specifica protezione per il software in ambito penale. Mi riferisco all’art. 64 bis, che integra il capo III della legge sul diritto d’autore, che elenca i diritti esclusivi conferiti sui programmi per elaboratore, nonché gli artt. 64 ter e 64 quater che stabiliscano i casi in cui non si può impedire a chi utilizza il programma di realizzare una copia dello stesso:

per l’uso del programma;

per lo studio del programma;

per riserva;

per decompilare il programma e ottenere l’interoperabilità con altri programmi per elaboratori.

Ciò che si aspettava dal D. Lgs. 518/92 era un assetto definitivo della disciplina, ma in realtà il problema di quale tutela accordare al software è rimasto e si collega nella difficoltà di inquadrare lo stesso sic et sempliciter in una determinata categoria, quella dei diritti d’autore. Alla luce della tutela accordata da tale disciplina emergono alcune perplessità relative al software come ad esempio la durata della protezione. Se la tutela per 50 anni successivi alla morte dell’autore ha una valenza per le opere letterarie, non ne ha nessuno per il software, un opera che per sua natura è destinata a divenire obsoleta nel giro di pochi anni. Ancora se si pensa al requisito dell’originalità, che tipica di un’opera letteraria, difficilmente qualifica una applicazione tecnica. D’altro canto se si guarda alla tutela accordata dal sistema brevettale, non è detto che i tre requisiti essenziali, originalità, industrialità e novità, siano presenti in una applicazione software. Difficilmente, infatti, una applicazione software riesce a possedere tutti e tre i requisiti, soprattutto per quel che concerne l’originalità, laddove ad esempio una applicazione software può presentarsi come una semplice evoluzione di quanto già presente all’atto pratico. Faccio riferimento ad Amazon, che è riuscita a brevettare delle modalità operative Web, fra le quali il sistema di acquisto one click ordering, che, subito dopo essere state brevettate, risultavano ovvie e superate.

Attualmente presso il Parlamento Europeo è in discussione una proposta di direttiva (2002/C 151 E/05) relativa alla brevettabilità delle invenzione attuate per mezzo di elaboratori elettronici. La proposta nasce dall’esigenza di superare le discrepanze nella tutela giuridica delle invenzioni attuate per mezzo di elaborati elettronici causate dalla giurisprudenza dei vari Stati membri.  La proposta elaborata all’art. 2, dispone che per “invenzione elaborata con mezzi elettronici si intenda una invenzione la cui esecuzione implichi l’uso di un elaboratore, di una rete di elaboratori o di un altro apparecchio programmabile e che presenta una o più caratteristiche di novità che sono realizzate in tutto o  in parte per mezzo di uno o più programmi per elaboratore”. Per contributo tecnico si intende “un contributo allo stato dell’arte in un settore tecnico, giudicato non ovvio da una persona competente nella materia”. Anche tale proposta sembra non superare l’impasse circa la brevettabilità del software, in quanto oltre i tre requisiti previsti per l’invenzione, implica anche il cosiddetto contributo tecnico, quale confronto fra oggetto della rivendicazione del brevetto e lo stato dell’arte. Le applicazioni che non si esauriscono in un apporto tecnico sono considerate incedibili.  La conseguenza principale ed evidente è la non brevettabilità ad esempio dei metodi di business, elaborati tramite applicazioni software.

Fatta tale premessa in relazione all’ambito giuridico all’interno del quale ci si muove quando si parla di software, quale opera di ingegno, è opportuno analizzare l’ultimo aspetto che viene interessato dai contratti per lo sviluppo di software, relativo alla paternità su un software elaborato. Per quel che concerne una opera dell’ingegno, secondo la tutela accordata ex legge 633/41 il fatto che essa sia stata elaborata nell’esecuzione di una attività oggetto di contratto, non influenza il diritto di paternità, che spetta esclusivamente all’autore ed è intrasferibile. Al committente spettano, in sostanza solo i diritti patrimoniali rientranti nelle finalità e nell’oggetto del contratto stipulato, con esclusione, pertanto, di ogni altro diritto patrimoniale[2]. Potranno essere trasferiti solo i diritti che devono ritenersi connaturati alla causa del contratto, considerati come risultati voluti con la stipula del contratto.

Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, nei rapporti fra una società erogatrice di software e la società committente che le abbia affidato la realizzazione di un sistema o di un software ad hoc, si intenderanno trasferiti al committente solo i diritti di utilizzazione economica direttamente funzionali rispetto all’effettivo fine perseguito dal committente. Sarebbe comunque opportuno far riferimento, all’atto dell’interpretazione del trasferimento dei diritti oggetto del contratto, al criterio restrittivo, per il quale si deve presumere che il contratto qualora specifichi nulla in merito, abbia disposto un’ampia licenza d’uso del software e non un trasferimento al committente anche dei diritti di sua riproduzione ai fini di rivendita a terzi.

Solitamente, l’oggetto del contratto di licenza viene abitualmente delimitato dal fornitore licenziante sotto vari profili, ad esempio nella durata, nel territorio nonché nell’ambiente operativo e nel contenuto. Per ambiente operativo s’intende il riferimento al sistema di hardware e software inteso nella sua complessità, nel quale il programma specifico è destinato ad operare.

Sotto il profilo del contenuto, invece, è necessario specificare che l’estensione della licenza viene normalmente circoscritta ad una sola macchina, secondo il principio di “una licenza per ogni macchina”.

Negli ultimi tempi, però, tra i produttori di software ha preso piede l’impiego delle c.d. “licenze multiple”, che consentono all’utilizzatore un notevole risparmio rispetto a quelli che sarebbero i costi di tante licenze singole per quante sono le macchine su cui il programma viene impiegato.

Ciò per superare l’impasse legato all’ utilizzo del programma da parte di una pluralità di elaboratori collegati in rete. Sulla base della previsione normativa (art. 64-bis, lett. a, della legge sul dir. d’aut.), in assenza di diversa pattuizione contrattuale, la riproduzione del programma lecitamente caricato sul disco del “server” sulle diverse postazioni della rete dovrebbe ritenersi illecita, poiché la riproduzione anche temporanea del programma fa parte dei diritti di esclusiva riservati all’autore.

Per ovviare a tale problema, i produttori software ricorrono appunto alle  “licenze multiple” oppure alle c.d. “licenze aggiuntive” che consentono l’installazione e l’utilizzo del software già concesso in licenza su un altro computer, beneficiando di un vantaggio economico rispetto all’acquisto di una versione completa.

 

Note:

[1] Cassazione, 24 novembre 1986 in Foro It. , 1987, II, 289

[2] Trib. Milano, 22 maggio 1972, in Dir. Aut., 1972, 315. Sul punto Cass. civ. sez. I, 23/12/1982 nr. 7109

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