Il caso
Con ricorso affidato ad un unico motivo Tizio ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Genova che ne respingeva il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città che, a sua volta, escludendo l’applicabilità al contratto de quo della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, e del D.Lgs. n. 23 del 2011, dichiarava la cessazione del contratto di locazione ad uso abitativo con la locatrice nonché la cessazione della materia del contendere per intervenuto rilascio dell’immobile locato.
La Corte territoriale segnatamente riteneva: 1) l’inapplicabilità al contratto oggetto di causa, stipulato in data 1° novembre 2003, della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, in quanto rivolto ai soli contratti stipulati a partire dal 1° gennaio 2005; 2) la non applicabilità del D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, al contratto in esame, poiché – a prescindere dall’irretroattività della suddetta legge – la disciplina in esso contenuta si riferisce ai contratti di locazione per i quali sussisteva l’obbligo di registrazione L. n. 311 del 2004 ex art. 1, comma 346; 3) l’inapplicabilità al contratto de quo delle disposizioni di cui alla L. n. 208 del 2015 poiché, riferendosi alle sole situazioni di fatto determinatesi per gli effetti della disciplina di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, commi 8 e 9, prorogati dal D.L. n. 47 del 2014, art. 5, comma 1-ter, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del suddetto D.Lgs. a quella (16 luglio 2015) di deposito della sentenza caducatoria n. 169/2015 della Corte costituzionale, ne rimaneva escluso.
Si legga anche l’articolo:” Contratto di locazione: il recesso per gravi motivi”
La decisione della Corte
La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha ritenuto il motivo manifestamente infondato e ha rigettato il ricorso.
Secondo principio consolidato la previsione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346 – a tenore del quale i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari, ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati – si applica solo ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore, giusta il criterio generale di cui all’art. 11 preleggi e considerata l’assenza nella norma di una previsione che imponga la registrazione dei contratti in corso (Cass. n. 27169/2016; Cass., S.U., n. 18213/2015; Cass. n. 8148/2009).
Ciò posto il Collegio rammenta che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 87 del 2017, ha affermato che il D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, commi 8 e 9, “assumevano particolare rilievo nel contesto normativo in cui si andavano a collocare, poiché la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346 (…) – prescrivendo che “i contratti di locazione (…), comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati” – aveva così “elevato la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c.” (ordinanza n. 420 del 2007), in aderenza ad un “principio generale di inferenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validità del negozio” (Cass. SSUU 17 settembre 2015, n. 18213 e, in senso conforme, Cass. sez. III 14 luglio 2016, n. 14364 e Cass. sez. III 13 dicembre 2016 n. 25503).
L’intervento legislativo di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011 aveva, pertanto, operato una sorta di convalida di un “contratto nullo per difetto di registrazione”, conformando, però, esso stesso il sottostante rapporto giuridico, quanto a durata e corrispettivo”.
Secondo la Corte da ciò ne consegue il collegamento, correttamente colto dalla Corte territoriale, tra le norme di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, e al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 3, commi 8 e 9, con l’ulteriore precisazione che quest’ultime citate disposizioni non trovano comunque applicazione ai contratti stipulati prima della loro entrata in vigore (così in motivazione Cass. n. 6009/2018).
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