Il contratto di mantenimento (c.d. vitalizio improprio)

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Alla luce della sentenza n. 4379/2020 dalla Corte di Appello di Napoli e della recente ordinanza n. 1080/2020 della Suprema Corte di Cassazione: una tipologia contrattuale atipica che merita un approfondimento.

PremessaI fatti di causa e l’oggetto del giudizio – La qualificazione giuridica del contratto di vitalizio improprio e le differenze con il contratto di rendita vitalizia – La pronuncia e le conclusioni della Corte di Appello di Napoli.

A cura del p. Avv. Gianluigi Capaccio e dell’avv. Raffaele Chianese.

Premessa

Il presente studio nasce da una vicenda sostanziale affrontata nel corso di un doppio grado di giudizio, conclusosi con la sentenza n. 4379/2020 emessa in data 09.12.2020 dalla Corte di Appello di Napoli, II sez. civile, Presidente Dott.ssa Marianna D’Avino, pubblicata il 17/12/2020, che, accogliendo le tesi difensive dello scrivente, ha ripercorso puntualmente l’inquadramento giuridico e la giurisprudenza del contratto di mantenimento o contratto di vitalizio improprio.

Pertanto, proprio tramite l’analisi e il commento della citata pronuncia (che si allega in pdf), si passa qui ad esaminare la suddetta tipologia contrattuale, ponendo l’accento sulla sua qualificazione che lo differenzia dal contratto di rendita vitalizia (art. 1872 c.c.) e sull’onere della prova del relativo adempimento.

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I fatti di causa e l’oggetto del giudizio.

La sig.ra B. G. aveva agito nel giudizio di primo grado al fine di far accertare l’inadempimento contrattuale della sig.ra C. C. relativamente al “contratto di mantenimento” tra di loro stipulato con rogito notarile e, per l’effetto, far accertare e dichiarare la risoluzione del medesimo contratto in applicazione della clausola risolutiva espressa ovvero per grave inadempimento della sig.ra C.C. rispetto alle obbligazioni contrattualmente assunte.

Il cosiddetto contratto di mantenimento è il contratto con il quale una parte (detta vitaliziante) si obbliga a prestare un’assistenza morale e materiale nei confronti di un’altra parte (il vitaliziato) per tutta la vita di costui, dietro trasferimento di un bene, mobile o immobile, o dietro la corresponsione di un capitale.

Invero la sig.ra B. trasferiva alla sig.ra C. la nuda proprietà di due appartamenti e di un posto auto; quale corrispettivo la sig.ra C. si obbligava nei confronti della cedente a prestarle assistenza morale e materiale, sua vita natural durante, ed in particolare a tenerle compagnia, sollevarla dalle incombenze domestiche quotidiane, assisterla nell’eventuale malattia, senza che ciò avesse comportato un obbligo per la cessionaria di effettuare prestazioni periodiche di carattere economico.

Tuttavia, dopo un po’ di tempo la sig.ra C. risultava completamente inadempiente agli obblighi assunti nel “contratto di mantenimento” e non si presentava più a casa della sig.ra B. né per prestarle compagnia, né per sollevarla dalle faccende domestiche né, tantomeno, per assicurarle assistenza materiale e morale per le sue esigenze quotidiane, adducendo la presunta esistenza di un impedimento a lei frapposto dai parenti della cedente.

Orbene nemmeno dopo l’instaurazione del giudizio di primo grado la sig.ra C. (cessionaria degli immobili) provvedeva a formulare un’offerta reale per dimostrare il proprio adempimento e il rispetto della legge, piuttosto limitandosi ad avanzare un’offerta di adempimento parziale, peraltro solo formale e non seria, volendo prestare la propria assistenza (che da contratto era qualificata come quotidiana) solo in alcuni giorni e in alcune ore.

Purtroppo in primo grado il Tribunale di Napoli Nord, nella persona del G.U. dott. Ucci, disattendeva la domanda della ricorrente sig.ra B. sul rilievo che “parte ricorrente dopo aver affermato che la C., a far data dal dicembre 2014 non si fosse presentata presso la sua abitazione per adempiere l’obbligazione di cui al detto contratto, ovvero di prestare assistenza morale materiale nulla ha provato circa le motivazioni che hanno indotto la C. a non frequentare più la sua abitazione e, quindi, a non adempiere all’obbligazione contratta”, invertendo, di fatto, l’onere della prova dell’inadempimento in capo alla parte ricorrente, piuttosto che in capo alla parte resistente che avrebbe dovuto provare alternativamente il proprio corretto adempimento o la ragione non imputabile del proprio inadempimento.

Addirittura il Giudice di prime cure arrivava a statuire che la resistente sig.ra C. aveva eseguito correttamente l’obbligazione contratta in favore della B. fino alla data del 21.12.2014 e che l’inadempimento successivo a tale data fosse stato generato dal rifiuto immotivato della medesima ricorrente di far accedere presso la sua abitazione la resistente (circostanza peraltro nemmeno provata dalla resistente).

Invero con il gravame, affidato a cinque ordini di motivi, oltre richieste istruttorie in appello e richiesta di risarcimento del danno, l’appellante sig.ra B., tramite lo scrivente procuratore, lamentava:

  • Principalmente e preliminarmente, la violazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., la falsa e/o erronea applicazione di legge, la contraddittorietà della motivazione e la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato;
  • La mancanza di offerta seria ed effettiva di adempimento da parte della sig.ra C.;
  • Il grave inadempimento contrattuale della sig.ra C.;
  • L’esito negativo del tentativo di conciliazione giudiziale ex art. 185bis c.p.c. per colpa esclusiva della sig.ra C.;
  • La fondatezza della domanda formulata e il rispetto del sinallagma contrattuale nonché del principio di correttezza e buona fede ex art. 1175 c.c.

L’appellante sig.ra B. chiedeva, quindi, la riforma dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., con l’accertamento e la dichiarazione di grave inadempimento della sig.ra C. nella dedotta vicenda e conseguente risoluzione del “contratto di mantenimento” stipulato tra le parti, con l’obbligo della sig.ra C di restituire tutto quanto ricevuto dalla sig.ra B in occasione della stipula del contratto di mantenimento.

La qualificazione giuridica del contratto di vitalizio improprio e le differenze con il contratto di rendita vitalizia.

Su tali premesse la Corte d’Appello di Napoli ha ritenuto fondato il suddetto primo motivo (violazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.) e l’accoglimento dello stesso ha finito per travolgere la statuizione impugnata, con effetti assorbenti per gli ulteriori motivi di gravame.

Anzitutto, occorre evidenziare che non è stata ritenuta controversa la natura giuridica del rapporto dedotto in giudizio, quale contratto di mantenimento ovvero contratto atipico di vitalizio alimentare, così come ricostruito dall’appellante.

La Corte di Cassazione in passato aveva ripetutamente sostenuto che il vitalizio alimentare o contratto di mantenimento, identificando una sottospecie del vitalizio oneroso, rientrasse nell’ambito dello schema negoziale di quest’ultimo, ed aveva motivato la suddetta assimilazione con la considerazione che, né la diversità delle prestazioni del vitaliziante (prestazioni in natura anziché di una somma di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili), né l’accentuazione del carattere aleatorio (variabilità delle prestazioni a seconda dei bisogni del beneficiario), bastassero a diversificare le due tipologie negoziali, realizzandosi, in ambedue le ipotesi, la finalità pratica del vitalizio tipico, ossia quella di provvedere al fabbisogno del vitaliziato[1].

Detto orientamento, avallato da parte della dottrina[2], è stato superato con la sentenza 28 luglio 1975, n. 2924, con la quale la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che “il contratto con il quale le parti attuano la cessione di un immobile in corrispettivo di prestazioni alimentari e assistenziali, presenta sì delle affinità con quello di rendita vitalizia previsto dall’art. 1872 e segg. c.c., ma anche delle peculiarità che non consentono la identificazione con tale figura negoziale” e pertanto esso “è qualificabile come contratto innominato ed assoggettabile perciò alla disciplina del rapporto tipico affine solo in quanto con esso compatibile”[3].

A tal riguardo sia in primo grado che nell’atto di appello la sig.ra B aveva sottolineato che il contratto di vitalizio alimentare (detto anche vitalizio improprio) ha ad oggetto una prestazione ad esecuzione continuata ed infungibile, vale a dire i cui effetti si prolungano nel tempo, senza intervallo di prestazioni, cioè con una prestazione unica ed ininterrotta.

Ciò a differenza del contratto di rendita vitalizia, disciplinato espressamente dall’art. 1872 c.c., che è un contratto di durata ad esecuzione periodica i cui singoli atti di esecuzione sono tra loro giuridicamente autonomi, con la conseguenza che la sorte dell’uno non può influire sull’altro od esserne alternativamente influenzata.

Invero il contratto atipico di cd. “vitalizio alimentare” differisce da quello, nominato, di rendita vitalizia, espressamente disciplinato dall’art. 1872 c.c., per l’accentuata spiritualità delle prestazioni assistenziali che ne costituiscono il contenuto, come tali eseguibili solo da un vitaliziante specificamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali, e per il carattere più marcato dell’alea che lo riguarda, correlata non solo alla durata della vita del beneficiario ma anche al quantum, ossia alla variabilità e discontinuità delle prestazioni suddette, suscettibili di modificarsi secondo i bisogni (anche in relazione all’età ed alla salute del beneficiario).

A tal proposito giova rilevare che l’alea del contratto atipico di vitalizio alimentare comprende anche l’aggravamento delle condizioni del vitaliziante, per cui il trasferimento all’onerato di un ulteriore bene, mediante la conclusione di un successivo contratto cd. di mantenimento, quale compenso della maggiore gravosità sopravvenuta dell’assistenza materiale e morale da prestare, è privo di causa, giacché tale ulteriore attribuzione patrimoniale elimina il rischio, connaturale al precedente contratto, di sproporzione tra le due prestazioni e, dunque, non essendo giustificata da un diverso corrispettivo, la causa di scambio dissimula quella di liberalità (cfr. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 8209 del 22 aprile 2016).

Inoltre, come detto, la prestazione non è periodica, come nella rendita vitalizia, ma CONTINUATIVA e infungibile, giacché caratterizzata dalla sua insostituibilità con una prestazione in denaro e dalla correlata incoercibilità, in quanto ha ad oggetto una prestazione di facere (e non solo di dare – come nel vitalizio proprio) e cioè in una serie di prestazioni di carattere essenzialmente morale e spirituale, prestate  rigorosamente ed esattamente nell’interesse del vitaliziato.

Proprio per tali descritte caratteristiche, il contratto in oggetto si caratterizza altresì per l’intuitus personae: l’espressione sta ad indicare il carattere personale di una data prestazione e, conseguentemente di un contratto, nei quali la considerazione della identità del contraente o delle sue qualità personali è determinante del consenso, secondo un criterio di normalità.

Quindi, sintetizzando, è legittimamente configurabile, in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., un contratto atipico di cosiddetto “vitalizio alimentare”, autonomo e distinto da quello, nominato, di rendita vitalizia di cui all’art. 1872 c.c., sulla premessa che i due negozi si differenziano perché nella rendita alimentare, le obbligazioni dedotte nel rapporto hanno ad oggetto prestazioni assistenziali di dare prevalentemente fungibili (e quindi, assoggettabili, quanto alla relativa regolamentazione, alla disciplina degli obblighi alimentari dettata dall’art. 433 c.c.), mentre nel contratto di mantenimento (c.d. vitalizio alimentare) le obbligazioni contrattuali hanno come contenuto prestazioni (di fare e dare) di carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali.

La conseguenza delle richiamate e descritte differenze è che a tale negozio atipico è senz’altro applicabile il generale rimedio della risoluzione del contratto per inadempimento, espressamente esclusa, per converso, con riferimento alla rendita vitalizia di cui all’art. 1878 c.c.

Sul punto la giurisprudenza è granitica: tra le altre si segnali la sentenza della Corte Cass., sez. II, 5 maggio 2010 n. 10859, che ha affermato come rientri nell’ambito del contratto di mantenimento (c.d. vitalizio improprio) la fattispecie in cui un soggetto aveva alienato la nuda proprietà del proprio immobile in cambio dell’impegno della controparte a fornire assistenza morale e materiale a lui stesso ed alla consorte: nel caso di specie, la Corte ha ammesso la risolvibilità per inadempimento del contratto (ex art. 1453 c.c.), in quanto “il vitalizio alimentare di cui trattasi è un negozio atipico distinto dalla rendita vitalizia e a cui non è applicabile l’art. 1878 c.c.[4].

Tale orientamento è confermato anche dalla sentenza n. 12746 del 2016 della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha sottolineato come la violazione dell’obbligo di supporto morale e materiale faccia scattare l’automatica risoluzione del contratto di vitalizio alimentare, con conseguente obbligo del beneficiario di restituire il bene ottenuto a titolo di corrispettivo[5].

Quindi, in definitiva, nel contratto di mantenimento/vitalizio assistenziale (c.d.  vitalizio improprio) nel quale le parti hanno stabilito che, quale corrispettivo del trasferimento della  proprietà di un appartamento dal vitaliziato al vitaliziante, quest’ultimo si obblighi ad assistere il primo curandolo e mantenendolo per tutta la durata della vita, si configura un inadempimento di non scarsa importanza, con conseguente risoluzione del contratto, qualora il vitaliziante, che per lungo tempo abbia assolto l’obbligazione, manchi di eseguirla anche solo per un breve periodo (cfr. sul punto anche la più risalente Cass. civ. Sez. II, 16/02/2004, n. 2940).

La pronuncia e le conclusioni della Corte di Appello di Napoli.

Proprio alla luce delle suddette osservazioni la Corte di Appello di Napoli ha ritenuto pacifico che, a far data dal dicembre 2014, l’appellata sig.ra C. è venuta meno agli obblighi di assistenza quotidiana dell’appellante sig.ra B., sebbene la C. avesse opposto che l’inadempimento era giustificato dal rifiuto della creditrice di farla accedere alla propria abitazione, da quando fu in malo modo “cacciata” per non meglio precisate ragioni.

Ebbene, in presenza di simili presupposti, sarebbe stato onere della convenuta sig.ra C. dare compiuto riscontro probatorio del fatto impeditivo della propria obbligazione, a differenza di quanto erroneamente affermato dal Tribunale in primo grado il quale ha statuito che era, piuttosto, onere dell’attrice B. dare prova “circa le motivazioni che hanno indotto la C. a non frequentare più la sua abitazione e, quindi, a non adempiere all’obbligazione contratta[6].

A tal proposito giova rilevare che la Suprema Corte di Cassazione si è di recente pronunciata sul tema della risoluzione contrattuale di un contratto di vitalizio improprio sancendo espressamente che è “errata l’affermazione della Corte di appello secondo cui grava sul vitaliziato l’onere di provare i fatti di inadempimento imputabili al vitaliziante, avendo questa Corte già avuto modo di chiarire, nella sentenza n. 13232/17…è poi certo, per il costante orientamento in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione espresso da questa Corte a far tempo da Cass. Sez. U, 30/10/2001, n. 13533, che, ove il beneficiario di siffatte prestazioni assistenziali, costituenti il corrispettivo della cessione di un immobile, agisca per la risoluzione contrattuale, egli deve soltanto provare la fonte negoziale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento [7].

Tale granitica pronuncia è integralmente richiamata dalla Corte di Appello di Napoli la quale inoltre aggiunge che, alla luce delle risultanze istruttorie, non solo non risulta assolto l’onere della prova (incombente sull’appellata sig.ra C.), del fatto impeditivo della propria prestazione, ma lo stesso asserito fatto impeditivo risulta indirettamente smentito dal comportamento processuale delle parti ed in particolare dal fatto che l’appellante sig.ra B., si era anche dichiarata disponibile ad accettare transattivamente condizioni indiscutibilmente peggiorative, rispetto a quelle che avevano caratterizzato l’originario accordo contrattuale, pur di continuare ad usufruire della prestazione di assistenza, mentre l’appellata C. ha colpevolmente interrotto e non di certo per volontà della beneficiaria le proprie prestazioni, confermando con ciò la gravità del proprio inadempimento e la sussistenza dei presupposti per la declaratoria della risoluzione del contratto di mantenimento (c.d. vitalizio improprio o vitalizio assistenziale).

Del resto, l’art. 2697 c.c. è chiaro al riguardo nel sancire testualmente che “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento; chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

Invero la giurisprudenza è oramai da tempo consolidata nel ritenere che “ai fini della ripartizione dell’onere della prova, allorché il convenuto non si limiti a contestare genericamente l’assunto attoreo, ma contrapponga una difesa articolata su fatti diversi da quelli posti a base della domanda, propone una eccezione in senso sostanziale di cui è tenuto a fornire la dimostrazione ai sensi dell’art. 2697 c.c. (cfr. Cassazione civile, sentenza n. 4622 del 6 marzo 2004).

In conclusione l’Ecc.ma Corte di Appello di Napoli afferma che “tanto è sufficiente ad integrare il grave inadempimento di parte convenuta, sì da giustificare la declaratoria di risoluzione del contratto dedotto in giudizio, con ogni conseguenziale statuizione in ordine all’accoglimento della originaria domanda ed in riforma integrale dell’ordinanza impugnata”, ed ha pertanto dichiarato la risoluzione, per grave inadempimento dell’appellata sig.ra C., del contratto di vitalizio improprio stipulato tramite atto pubblico notarile.

Da quanto sopra argomentato ed analizzato deriva che se, piuttosto, si volesse seguire l’orientamento enunciato nell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c emessa dal Tribunale di Napoli Nord in data 02.11.2016 e riformata in appello, si andrebbe inevitabilmente a mortificare e svilire completamente la natura e la ratio del contratto di mantenimento (c.d. vitalizio improprio).

Invero se bastassero semplici e futili motivi per non adempiere alle obbligazioni contrattualmente assunte, in virtù delle quali si ricevono lauti corrispettivi (nel caso in esame, erano stati trasferiti due immobili e un posto auto), verrebbe meno l’intera previsione legislativa di una tipologia contrattuale atipica caratterizzata, si, dall’aleatorierà della controprestazione a carico del soggetto beneficiario del trasferimento, in quanto incerta e dipendente dalle condizioni e/o dalle esigenze del vitaliziato, ma in ogni caso imperniata rigorosamente sull’interesse di quest’ultimo.

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[1] Ex multis v. Cass. 18 marzo 1958, n. 885; Cass. 25 ottobre 1969, n. 3501; Cass. 7 giugno 1971, n. 1694.

[2] M. ANDREOLI, La rendita vitalizia, in Trattato di Diritto Civile italiano. Vol. VIII, tomo terzo, fasc. 4°, UTET, 1949, pp. 47 e ss.

[3] Cfr. Cass. civ., Sez. III, sentenza del 28 luglio 1975, n. 2924.

[4] Cfr. Cass. civ., Sez. II, sentenza del 5 maggio 2010, n. 10859 – confermata anche in Cass. civ., Sez. II, ordinanza del 20 gennaio 2020, n. 1080.

[5] Cfr. Cass. civ., Sez. III, sentenza del 21 giugno 2016 , n. 12746.         Cfr. Trib. Napoli Nord, Sez. II, G.U. dott. Ucci, ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. emessa in data 02.11.2016, nella causa recante il numero di R.G. 1914/2015.

[6] Cfr. Trib. Napoli Nord, Sez. II, G.U. dott. Ucci, ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. emessa in data 02.11.2016, nella causa recante il numero di R.G. 1914/2015.

[7] Cfr. Cass. civ., Sez. II, ordinanza del 20 gennaio 2020, n. 1080.

Avv. Raffaele Chianese

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