Il contratto nella common law: tipologie e caratteristiche secondo dottrina e giurisprudenza

Il diritto contrattuale inglese può essere, concettualmente, ritenuto fondato sulla teoria della sacralità del contratto ed, altresì, sulla qualificazione del contratto come atto esposto a tutti gli interventi esterni consentiti dall’ordinamento (magistratura e legislatore).

Terminologicamente, la nozione di contratto secondo il modello inglese corrisponde soltanto marginalmente a quella di accordo che crea diritti ed obblighi tra le parti contraenti, come intesa dall’idea continentale.

Secondo l’esperienza dottrinaria italiana, il contratto potrebbe essere interpretato come: il comportamento di chi conclude, il testo scritto o pronunciato, il precetto, le vicende (P. Schlesinger); consensus in idem, l’adesione, il rapporto contrattuale di fatto, il rapporto apparente, il contratto imposto (S. Majorca); l’accordo di più persone in una stessa manifestazione di volontà per la determinazione di dati loro rapporti giuridici (Savigny); un accordo di volontà tra due o più persone al fine di produrre effetti giuridici (J. Ghestin). Altresì, il contratto è e rimarrebbe un accordo (G.B. Ferri) ma l’espressione implicherebbe il costante ricorso ad una definizione stipulatoria o la deduzione dell’accezione dal contesto (R. Sacco).

La dottrina inglese distingue il contract dalla: convention, quest’ultimo termine più ampio, generico e comprensivo di accordi in cui una delle parti è la P.A.; promise, dichiarazione di assumere un obbligo; obligation, il singolo obbligo creato dal contratto; agreement, l’incontro delle volontà, parte del contratto ma non coincidente con il tutto; bargain, incontro delle volontà tra due parti per uno scambio di prestazioni reciprocamente eseguite o promesse (negoziazione, scambio, operazione economico-giuridica).

Non ogni accordo determina (ovvero vale) contratto: si parla, così, di agreement enforceable at law (J. Burke, 1976).

Il contratto si caratterizza poiché in esso il vincolo sorge sulla base di un accordo fondato sulla volontà delle parti (Treitel): esso andrebbe, così, inteso in senso oggettivo ovvero in termini di apparenza all’esterno della volontà ragionevole di contrarre e, cioè, esaminando il comportamento oggettivo ed atteso da chi contrae o da chi assiste ad una contrattazione.

Il contratto si incentrerebbe, secondo Pollock, sulla promessa: esso è, infatti, una promessa od un complesso di promesse cui il diritto attribuisce forza vincolante.

Tuttavia, esistendo contratti che non sono coercitivi e non conferendo l’ordinamento vincolatività astratta alla promessa (bensì soltanto azioni esperibili in giudizio), il nucleo fondamentale del contratto sarebbe dato dal bargain.

Si ravvisano altre interpretazioni date al contratto dai formalisti, dai gius-economisti e dai sociologi e, cioè, rispettivamente: autonomia privata valida perchè cristallizzata dall’ordinamento come vincolo efficace; accordo rivolto a concludere un’operazione economica che comporta il minor costo transattivi e la migliore distribuzione delle risorse secondo criteri di utilità; uno dei tanti tipi di accordo privato ma non strettamente necessario per il funzionamento del mercato, reggendosi quest’ultimo su comportamenti di diversa natura, grado, espressione ed intensità.

In linea generale, la disciplina del contratto, nel sistema di common law, si basa sull’idea di danno derivante dalla violazione di un obbligo e, cioè, sull’idea di assumpsit e trespass ovvero di azione esperibili contro chi aveva adempiuto inesattamente o non aveva adempiuto del tutto un proprio obbligo.

Nei casi in cui mancava un contratto solenne, il debito poteva sorgere da un illecito. Successivamente, veniva a consolidarsi la concezione di accordo come fonte dell’obbligazione contrattuale e come elemento sufficiente a fondare un’azione in giudizio e la mera esistenza della promessa veniva intesa come sufficiente fondamento del corrispettivo.

Precisamente, all’inizio del XV sec., erano previsti quattro rimedi per rapporti obbligatori specifici: debt, per il recupero di somme pecuniarie, con onere probatorio a carico dell’attore; detinue, per il recupero di una cosa specifica; covenant, per l’esecuzione della promessa solenne, o under seal per la difesa della proprietà fondiaria; account, per ottenere il rendiconto per debiti derivanti da rendite o dalla compravendita di merci.

Alla fine del XVII sec. si sviluppa l’implied assumpsit (accordo implicito precedente) ed il principio originario della common law “pacta sunt serranda” lasciava spazio ai principi di equity.

A riguardo, le regole di equity venivano, però, intese arbitrarie ed incerte, potendo infatti essere strettamente connesse alla volontà ed all’umore del magistrato: pertanto, i diritti del singolo dovrebbero dipendere da precisi e definiti principi di diritto (Powell).

L’idea di contratto inteso come espressione dell’eguale potere (dei contraenti) di obbligarsi (freedom of contract) ha termine alla fine del XIX sec., compressa dall’intervento del legislatore, delle Corti e delle autorità amministrative: così, invece di law of contract si dovrebbe parlare di law of contractual obligations (Atiyah).

In tema di limitazione della libertà e dell’autonomia contrattuale, si annovera, rispettivamente, la legislazione in materia di lavoro (1992) e di lotta contro le discriminazioni razziali (1976) e sessuali (1975) e, quanto al contenuto, in tema di locazioni (1993), clausole di esclusione della responsabilità (1977) e clausole abusive nei contratti con i consumatori (1994).

In dottrina, si è, comunque, affermato che i rapporti contrattuali dovrebbero essere lasciati alla libera determinazione delle parti: ciò nell’interesse privato e pubblico. Lo Stato dovrebbe, invece, intervenire soltanto nei casi di oggettiva necessità e con strumenti assistenziali, senza imporre oneri alla generalità dei contraenti (Atiyah).

In termini giuridici, il contratto è e resta costituito da uno scambio di promesse che creano diritti ed obblighi per le parti: la sua funzione, quindi, è anche quella di tutelare l’affidamento (Smith, Austin, Mill e Hume) al contratto ovvero l’interesse della parte che sia incorsa in spese o si sia altrimenti impoverita arrecando un beneficio (ed arricchimento senza causa) all’altro contraente.

Le promesse devono, cioè, essere adempiute e ne deve essere sanzionato il loro inadempimento: la delusione dell’aspettativa comporta inadempimento della promessa e ciò crea un’obbligazione. Colui che ha ricevuto la promessa fa affidamento sull’intenzione del promittente di adempiere ciò che ha promesso di fare, non sul fatto che la promessa crei obbligazioni vincolanti (Mac Cormick).

Peraltro, non necessariamente il consenso deve essere pieno e libero per dare luogo ad un contratto o ad una promessa validi (Hart).

Diversamente, si è affermato che l’intenzione delle parti sia soltanto una componente fra le tante del meccanismo contrattuale: la promessa, quindi, sarebbe soltanto uno dei fatti rilevanti della situazione, non quello determinante ed esclusivo (Atkin).

Bibliografia generale

G. ALPA, I principi generali, Milano, 1993.

G. ALPA, M. BESSONE, V. ZENO-ZENCOVICH, I fatti illeciti, in P. Rescigno, Trattato di diritto privato, Torino, 1995.

C.M. BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994.

F. DE SIMONE, Profili introduttivi di diritto civile comparato, Napoli, 1995.

A. GAMBARO- R. SACCO, Sistemi giuridici comparati, Torino, 2002.

G. GROSSO, Il sistema romano dei contratti, Torino, 1963.

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P. LEGRAND, Sen set non sens d’un Code civil europeen, in Rev. intr. Dr. comp., 1996, pp. 779 e segg.

Prof. Avv. Basso Alessandro Michele

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