Seppur il caso sia dal punto di vista procedurale complesso, soprattutto per i non addetti, proviamo a fare chiarezza.
Indice
1. La vicenda
Con la volontà di semplificare, l’Ente Locale e nello specifico un Comune italiano, per mezzo del proprio difensore, ricorre alla Corte di Cassazione avverso la sentenza n. 2009/2015 della Corte di Appello di Napoli e quindi contro il dipendente il quale, nell’esercizio della propria difesa, propone ricorso incidentale condizionato contro il Comune che a sua volta diviene anche controricorrente incidentale.
La Corte Territoriale va ad allinearsi al Tribunale di Benevento il quale aveva ritenuto illegittima la posizione del Comune in merito alla sospensione dell’indennità di posizione organizzativa del dipendente che si era assentato per più di trenta giorni consecutivi; l’ente giustifica la correttezza del proprio operato sulla base del Regolamento degli Uffici e dei Servizi. La disciplina della materia, aggiunge la Corte, è prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del comparto delle Regioni e Autonomie Locali e non lascia spazio alla regolamentazione dell’Ente Locale con l’unica eccezione di poter quantificare l’aspetto economico della posizione organizzativa. In sostanza la disciplina del trattamento economico è riservata alla contrattazione collettiva e non ai regolamenti sulla base dell’art. 24, comma 2, D.Lgs. 165/2001.
Nell’assunto, l’ente comunale, evidenzia come il regolamento sia conforme al diritto avvalorando la tesi che l’indennità prevista per il dipendente è strettamente legata si, alla posizione che ricopre, ma in modo inscindibile alla effettiva prestazione che lo stesso rende. Si chiarisce anche che è proprio l’art. 24 del D.Lgs. 165/2001 che suddivide il trattamento accessorio in retribuzione di posizione e retribuzione di risultato.
Il ricorrente incidentale, dal canto suo, mette in risalto come l’assenza per malattia dovuta a causa di servizio non sia rilevante ai fini della sospensione dell’indennità della posizione organizzativa e censura l’operato del datore di lavoro sostenendo che nel caso in esame vi è una riserva di legge, ex art. 117 Cost., e quindi la materia deve essere regolata dalla legislazione statale in via esclusiva escludendo di fatto il Comune da ogni qualsivoglia interferenza normativa.
2. La decisione della Corte di Cassazione
Gli ermellini focalizzano il merito della vicenda sul diritto soggettivo alla retribuzione della posizione che il dipendente ricopre. Ritengono tuttavia fondato il ricorso alla Suprema Corte ma evidentemente non coglie nel segno il Comune in quanto avrebbe dovuto formare la sua richiesta su principi di diritto diversi. La Corte Territoriale, errando, riteneva che il provvedimento da censurare fosse il Regolamento degli Uffici e Servizi del Comune quando invece occorre analizzare nel merito la legittimazione alla retribuzione. Tanto considerato non avrebbe dovuto far discendere l’approvazione al trattamento accessorio dall’illegittimità del regolamento comunale.
Occorre chiarire fin da subito che la Corte di Cassazione condivide l’affermazione che il regolamento comunale non avrebbe dovuto occuparsi delle posizioni organizzative, materia disciplinata dal CCNL. Il regolamento interno dell’Ente Locale è illegittimo e quindi invalido, se in contrasto con il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro. Bene ha fatto la Corte di Appello in questo senso, ma è indispensabile comunque riconoscere all’ente la facoltà di regolamentare le linee fondamentali dell’organizzazione interna degli uffici, individuare quelli più rilevanti compresa la modalità del conferimento della titolarità e la gestione organica complessiva, come previsto dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 165/2001.
Se è vero che il nostro ordinamento è improntato ad un policentrismo derivante dalla Costituzione che non sempre semplifica le cose, soprattutto in un quadro metodologico dove più decreti legislativi regolano la materia (pensiamo alla non sempre facile coesistenza tra il Testo Unico degli Enti Locali ovvero il D.lgs. 267/2000 e l’assetto costituzionale che detta vincoli di natura organizzativo-finanziaria dove si insinua con ogni diritto il D.Lgs. 165/2001 a non chiarire, talvolta, gli ambiti di competenza dei rispettivi enti) è comunque pacifico che il sistema italiano si basa su un criterio gerarchico ed è quindi facilmente comprensibile che la norma di rango inferiore non può derogare ad una di rango superiore pena la declaratoria di illegittimità.
Qui prende forma la decisione dei giudici di Piazza Cavour: il D.L. 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modificazioni nella Legge 6 agosto 2008 n. 133, con il suo art. 71 spazza via ogni eventuale ed effimero dubbio stabilendo che <<per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio>>.
Nel caso qui in commento il collegio giudicante della Suprema Corte, quindi, si trova a doversi esprimere su un doppio grado conforme, su di una causa con una disposizione di legge successiva che differisce, sulla materia oggetto di controversia, con il CCNL precedente; il Massimo Organo Giudicante ritiene che il conflitto di queste norme venga disciplinato dell’articolo 2, comma 2, D.Lgs. 165/2001 dal quale si evince che la legge si sostituisce al contratto, ad eccezione che la stessa contrattazione collettiva sia successiva, eccezione peraltro qui esclusa, visto che l’art. 71 nel suo ultimo capoverso si attribuisce l’inderogabilità di quanto stabilito escludendo di fatto qualsiasi incertezza alla fattispecie in decisione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.
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