Il curatore fallimentare ha il diritto di impugnare il provvedimento di sequestro preventivo successivo alla dichiarazione di fallimento

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(Annullamento con rinvio)

(Riferimento normativo: D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53)

Il fatto

Il Tribunale del riesame di Sassari dichiarava inammissibile la richiesta di riesame, proposta dal curatore fallimentare di una società s.r.l. avente ad oggetto il decreto di sequestro preventivo, disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p. – D.Lgs. n. 8 giugno 2001, n. 231, art. 53, di un immobile della stessa società finalizzato alla confisca equivalente al valore della somma di Euro 184.571,09 ritenuta, quest’ultima, il profitto derivante del reato di cui all’art. 316 ter c.p., compiuto dal legale rappresentante della società – tale B.M. – e dall’illecito dell’ente.

Il Tribunale, in particolare, facendo riferimento alla sentenza delle Sezioni unite n. 11170 del 25/09/2014, aveva negato la legittimazione ad agire del curatore anche nella fattispecie in esame in cui il sequestro era stato disposto dopo la dichiarazione di fallimento della società.

Volume 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per cassazione il curatore della società fallita articolando un unico motivo con cui deduceva violazione di legge in ordine alla L.Fall., artt. 42 e 51 in relazione all’art. 322 ter – c.p., art. 324 c.p.p. e art. 24 Cost. quanto al ritenuto difetto di legittimazione del curatore.

Si assumeva a tal proposito che i principi affermati dalla Sez. U. nella decisione su emarginata sarebbero stati superati da successive pronunce di legittimità e di merito che avrebbero distinto fra il profilo formale della titolarità dei beni fallimentari e quello della disponibilità effettiva degli stessi; nel caso di specie, in cui lo spossessamento conseguente al fallimento era precedente al sequestro, la legittimazione ad impugnare avrebbe dovuto essere riconosciuta al curatore cui a sua volta avrebbe dovuto essere riconosciuta la disponibilità materiale dei beni ai sensi della L. Fall. art. 42 e art. 322 ter c.p..

Il curatore, difatti, secondo il ricorrente, sarebbe un soggetto terzo, che esercita una funzione pubblica nell’ambito dell’ufficio fallimentare e, dunque, avrebbe legittimazione anche ai sensi della L. Fall., art. 51.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il Supremo Consesso riteneva il ricorso fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava prima di tutto come il tema fosse quello della legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare un provvedimento di sequestro preventivo disposto dopo la dichiarazione di fallimento della società.

In particolare, le Sezioni Unite della Corte di cassazione – nella sentenza summenzionata – in parte diversa da quella trattata nella sentenza qui in commento, perché riguardante un sequestro disposto prima della dichiarazione di fallimento – relativa ad un complesso procedimento penale nel cui ambito era stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 19, – avevano statuito che la confisca obbligatoria trova l’unico limite di applicabilità nella “appartenenza” del bene sequestrato ad una persona estranea al reato ma non anche nella sussistenza di un diritto di credito che potrebbe essere soddisfatto mediante il bene in sequestro: “(…) Il creditore che non abbia ancora ottenuto l’assegnazione del bene a conclusione della procedura concorsuale non può assolutamente essere considerato ‘terzo titolare di un diritto acquisito in buona fedè perché prima di tale momento egli vanta una semplice pretesa, ma non certo la titolarità di un diritto reale su un bene. E perciò, legittimamente su quei beni potranno insistere il sequestro penale prima e la confisca poi”.

Da tale presupposto era stata negata al curatore fallimentare la legittimazione a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita in quanto il curatore sarebbe un soggetto terzo rispetto al procedimento cautelare, non titolare di diritti (di proprietà) sui beni in sequestro, nè “rappresentante” dei creditori, a loro volta non titolari di alcun diritto sui beni prima della assegnazione degli stessi e della conclusione della procedura concorsuale; il curatore sarebbe solo un “organo che svolge una funzione pubblica ed affianca il tribunale ed il giudice delegato per il perseguimento degli interessi dinanzi indicati” (così testualmente le Sezioni unite della Corte; meramente recettiva del principio indicato dalle Sezioni unite è la successiva Sez. 3, n. 23388 del 1/03/2016).

Premesso ciò, la Corte di Cassazione rilevava come la questione da doversi affrontare nel caso di specie atteneva al se D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53, nella parte in cui rimanda agli articoli del codice di procedura penale sui mezzi di impugnazione proponibili avverso il sequestro e, quindi, ai soggetti legittimati, precluda al curatore fallimentare, nel caso di sequestro preventivo disposto successivamente alla dichiarazione di fallimento, di impugnare il provvedimento cautelare reale.

Ciò posto, si osservava, una volta fatto presente che l’art. 322 c.p.p., richiamato espressamente dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53, individua i soggetti legittimati a proporre richiesta di riesame facendo riferimento alla “persona alla quale le cose sono state sottratte” ed “a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione”, che la questione atteneva alla individuazione del soggetto al quale le cose sono sottratte al momento della imposizione del vincolo reale successivamente alla dichiarazione di fallimento assumendo a tal fine rilievo la “disponibilità” del bene nel senso che il soggetto a cui le cose sono sottratte, e che, quindi, ha la legittimazione e proporre richiesta di riesame del sequestro, è il soggetto che del bene sequestrato ha la disponibilità.

Si evidenziava a tal proposito come fossero condivisibili le considerazioni espresse dalla Corte di Cassazione secondo cui se chi ha la disponibilità può avere sullo stesso bene anche un diritto reale – nei casi in cui non si sia aperta alcuna discrasia tra forma e fatto -; il diritto comunque non è il presupposto automatico della disponibilità che in sede penale costituisce proprio lo strumento per contrastare la titolarità di diritti “vuoti” su beni che in realtà sono esclusivamente a disposizione di soggetti diversi da chi ne è il proprietario o comunque è il titolare di un diritto su di essi e quindi la disponibilità nel settore delle cautele reali penali esige l’effettività ovvero un reale potere di fatto sul bene che ne è l’oggetto (cfr., tra gli altri; Sez. 3, n. 4097 del 9/01/2016; Sez. 3, n. 25771 del 20/01/2017 e Sez. 3, n. 36530 del 12/05/2015; Sez. II, n. 32647 del 17/04/2015).

Tal che se ne faceva conseguire, quanto alla individuazione della “persona a cui le cose sono state sottratte“, che se la dichiarazione del fallimento precedente al sequestro può, forse, non essere sufficiente a conferire al fallimento stesso la disponibilità dei beni del fallito i quali, nel caso in cui ne sia stato anteriormente disposto il sequestro, non sono già più, logicamente, disponibili da parte dell’indagato – neppure ai fini degli interessi fallimentari- a diverse conclusioni deve giungersi nel caso in cui il provvedimento cautelare sia temporalmente successivo alla detta dichiarazione posto che se può astrattamente sostenersi che il fallimento non acquisisca la disponibilità dei beni già sottoposti a sequestro preventivo penale finalizzato a confisca onde non può a tale potere fattuale “aggrapparsi” il curatore (ferma restando la connessa ma distinta questione se, anche in tali casi, il curatore abbia legittimazione a proporre riesame in quanto soggetto a cui le cose sarebbero restituite), diversa è la situazione del sequestro preventivo di beni già sottoposti a procedura fallimentare.

Difatti, ad avviso della Corte, la natura e la latitudine del “diritto gestorio” del curatore derivano direttamente dalla legge fallimentare e, in particolare, dall’art. 31 di questa, che attribuisce al curatore l’amministrazione del patrimonio fallimentare nel contempo onerandolo del compimento di tutte le operazioni della procedura (sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori), nonché nella disposizione di carattere generale di cui all’art. 42 a norma della quale, a seguito della sentenza che dichiara il fallimento, il curatore ha l’amministrazione e la disponibilità dei beni del fallito esistenti alla data della dichiarazione di fallimento.

Pertanto, in tale prospettiva, se il curatore è il soggetto che amministra ed ha la disponibilità dei beni, ne discende, nel caso di sequestro preventivo successivo alla dichiarazione di fallimento, la sussistenza di un concreto interesse di questi ad impugnare un provvedimento di sequestro penale poichè il curatore ha sui beni fallimentari un potere di fatto corrispondente ad una relazione sostanziale e tale potere è strettamente correlato alla natura ed alle funzioni, di derivazione pubblicistica, riconosciute al curatore medesimo; potere questo idoneo a fondare, ai sensi dell’art. 322 c.p.p., il “diritto” dello stesso curatore ad impugnare il provvedimento di sequestro preventivo.

Rilevato ciò, gli ermellini evidenziavano altresì come le potenziali ricadute pregiudizievoli per i creditori concorsuali, concorrenti, assumano profili obiettivi di concretezza operativa se valutate in relazione al diniego della legittimazione del curatore a reagire processualmente e tempestivamente all’apposizione del vincolo cautelare penale su beni del patrimonio dell’impresa (individuale o collettiva) fallita in ipotesi attivando i rimedi impugnatori previsti dagli artt. 322 e 322 bis c.p.p. (o chiedendo la revoca del sequestro) e senza attendere la definizione dell’eventuale giudizio penale di merito nei confronti dell’imputato e il passaggio in giudicato della statuizione sulla confisca.

Invero, il curatore, quale organo sui generis del procedimento concorsuale che trova nella legge la legittimazione del suo “potere” e della disponibilità dei beni – in quanto funzionali al soddisfacimento delle finalità della procedura concorsuale – esercita poteri (anche processuali) preordinati alla tutela “finale” dei diritti dei singoli, tutela che non può non comprendere l’attivazione di strumenti di reazione, anche in sede penale, finalizzati alla eliminazione di vincoli giuridici (e di fatto) che, come il sequestro, risultano idonei ad incidere fortemente ed a pregiudicare le modalità e la tempistica del riparto dell’eventuale attivo fallimentare e, in tale contesto senso assume rilievo l’art. 320 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, rubricato, appunto, “la legittimazione del curatore“, del D.Lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14, emesso in attuazione della L. delega 19 ottobre 2017, n. 155, (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 14 febbraio 2019, n. 38, che entrerà in vigore il 15 agosto 2020), secondo cui il curatore può proporre richiesta di riesame ed appello contro il decreto di sequestro preventivo e contro le ordinanze in materia di sequestro ed è altresì legittimato a proporre ricorso per cassazione trattandosi di una disposizione normativa chiara, che pare essere decisiva rispetto al tema in esame e che in qualche modo sembra evidenziare il mancato recepimento da parte del legislatore dei principi affermati dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza summenzionata così come, non diversamente, l’art. 317 rubricato “Principio di prevalenza delle misure cautelari reali e tutela dei terzi” prevede che “le condizioni ed i criteri di prevalenza rispetto alla gestione concorsuale delle misure cautelari reali sulle cose indicate dall’art. 142 sono regolate dalle disposizioni del Libro I, titolo IV del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, salvo quanto previsto dagli artt. 318, 319 e 320” essendo anch’essa una disposizione che sembra obiettivamente estendere la previsione della legittimazione del curatore anche con riguardo alle misure di prevenzione.

Oltre a ciò, ulteriori elementi di riflessione sul tema emergevano da quanto pure la Corte di cassazione ha avuto modo di affermare in passato, e cioè che l’indagato, non avendo interesse concreto ed attuale alla restituzione della res sequestrata, non sarebbe più legittimato a chiedere il dissequestro (Sez. 3, n. 47737 del 24/09/ 2018) poiché, prescindendo da ogni valutazione su detta affermazione di principio, ad avviso della Corte, è evidente tuttavia che se davvero si ritenga l’indagato non più legittimato a chiedere il dissequestro, la correlativa negazione della legittimazione ad agire anche al curatore determinerebbe la conseguenza, di dubbia legittimità costituzionale, che nessuno sarebbe titolare a fave valere in via giurisdizionale eventuali vizi del provvedimento di sequestro preventivo con conseguenti danni anche per tutti i soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nella vicenda penale e fallimentare.

Il Supremo Consesso, in conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, annullava l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Sassari, Sezione Riesame.

Conclusioni

La Cassazione, nella decisione in esame, afferma che spetta al curatore fallimentare il diritto ad impugnare il provvedimento di sequestro preventivo successivo alla dichiarazione di fallimento.

Tale principio di diritto è del tutto condivisibile in quanto in linea con quanto statuito dall’art. 320 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, rubricato, appunto, “la legittimazione del curatore“, del D.Lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14, emesso in attuazione della L. delega 19 ottobre 2017, n. 155, (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 14 febbraio 2019, n. 38, che entrerà in vigore il 15 agosto 2020), secondo cui il curatore può proporre richiesta di riesame ed appello contro il decreto di sequestro preventivo e contro le ordinanze in materia di sequestro ed è altresì legittimato a proporre ricorso per cassazione.

Siffatta pronuncia, pertanto, deve essere presa nella dovuta considerazione ogniqualvolta si verifichi un caso analogo a quella esaminato in tale occasione.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa sentenza, dunque, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, non può che essere positivo.

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