Esistono molti tipi di danno, ma tutti comportano il risarcimento alla persona che ne ha subito le conseguenze, a meno che sia stato provocato dalla stessa o da un provvedimento legittimo della pubblica amministrazione, per mettere fine ad una situazione illegale (se un Comune fa demolire un edificio, costruito senza concessione edilizia, non deve alcun risarcimento).
E’ obbligato al pagamento del risarcimento chi ha provocato il danno, anche non volontariamente (se innaffiando i fiori sul balcone, danneggio il vestito di un passante, dovrò pagare il lavaggio in tintoria oppure un vestito nuovo).
Da chi vengono pagati i danni?
Il danno provocato da
|
viene pagato dal
|
minore o incapace
|
Tutore
|
lavoratore dipendente in servizio
|
datore di lavoro
|
Autoveicolo
|
Conducente e proprietario, in solido
|
prodotto difettoso
|
Costruttore
|
Oggetti
|
proprietario o possessore
|
Più persone
|
insieme, in proporzione al danno
|
Le tipologie più importanti di " danno " sono le seguenti
Danno morale
Chiamato, anche, "danno non patrimoniale" ed è quello che offende una persona (ad esempio con la calunnia o la diffamazione). Nel calcolare l’entità del risarcimento (alle volte anche simbolico, come può avvenire per i delitti a sfondo sessuale), il giudice deve tenere conto anche delle ripercussioni fisiche, psichiche ed economiche, che il danno ha provocato.
Danni di guerra
Sono tutti quelli provocati da eventi bellici e sono risarciti dallo Stato sotto forma di indennizzi, contributi e finanziamenti (può avvenire, ad esempio, nel caso di danni provocati alle aziende).
Danno biologico
e danno esistenziale
Colpisce la salute, considerata un diritto fondamentale dell’individuo dalla Costituzione (art. 32) e tutelata sia nel suo aspetto fisico che in quello psichico. Il danneggiato (normalmente dopo il manifestarsi di una malattia) si deve rivolgere al giudice civile, che ordina il risarcimento in denaro, come pure la cessazione della causa che ha provocato il danno, e l’introduzione di eventuali accorgimenti negli ambienti di lavoro (ad esempio: l’obbligo di portare cuffie antirumore, in presenza di lavorazioni particolarmente fastidiose).
A proposito di rumore, è interessante menzionare la seguente pronuncia della magistratura:
Con la sentenza n. 2444 del 6/12/2001, la Corte di Appello di Milano ha stabilito il principio del “danno esistenziale” in presenza di rumore. Nel dispositivo si legge, infatti, quanto segue:
“…l’inquinamento acustico intollerabile comporta, di per sé, un danno esistenziale che, anche se non fa sorgere una malattia, tuttavia causa un’alterazione del benessere psicofisico e del normale ritmo di vita, provocando uno stato di malessere psichico diffuso. Quindi il risarcimento del danno compete a chiunque subisce un turbamento della psiche, che ostacola l’esplicazione del complesso delle funzioni naturali, afferente al soggetto nell’ambiente in cui vive: domestico, di lavoro, ricreativo…”.
La novità di tale pronuncia giudiziale sta appunto nel fatto che il danno esistenziale è considerato presente in sé e per sé ogni volta che il rumore supera la normale tollerabilità, perché le vittime del rumore non sono più obbligate a sottoporsi a visite mediche, per verificare se il rumore abbia o non abbia inciso effettivamente sotto il profilo patologico.
Il malessere psichico diventa quindi sufficiente motivo per la liquidazione di un danno, snellendo quindi anche tutti gli interventi amministrativi connessi.
Danno patrimoniale
e danno emergente
Comporta una diminuzione del patrimonio od un mancato incremento del patrimonio futuro (mancato guadagno) ed entrambi sono risarcibili per legge.
Se si tratta di una diminuzione del patrimonio, il giudice stabilisce la somma da risarcire, in base al valore del bene o della parte di bene perduta. (in tal caso si parla anche di "danno emergente"),
Se si tratta di mancato guadagno (per il quale si parla di "lucro cessante"), il giudice, se il danneggiato è una persona, deve tenere conto del reddito che non può produrre durante tale periodo.
Se, in seguito al danno subìto, la persona non è più in grado di produrre reddito (per decesso od invalidità), il giudice calcola il reddito che avrebbe potuto produrre in futuro. In questi calcoli, il giudice tiene conto del titolo di studio, dell’età, del tipo di lavoro svolto e della durata probabile della vita lavorativa del danneggiato.
Lo stesso calcolo si esegue quando il risarcimento viene pagato da una compagnia assicuratrice.
Danno edonistico
Il tribunale di Firenze introduce una nuova forma di lesione non patrimoniale. Debutta, cioè, il danno edonistico. Risarcibile la perdita del coniuge o del figlio, ovvero il danno derivato dal fatto che per responsabilità altrui si perde una persona cara. E’ stato il tribunale di Firenze, con la sentenza della sezione stralcio 24/2/2000 n. 451, a fare entrare nelle aule di giustizia italiane quella che la stesa decisione definisce una prassi del diritto statunitense.
La novità della sentenza sta nel fatto che con essa si individua una voce di danno non patrimoniale, che va ad aggiungersi a quelle note e sperimentate. In effetti attualmente nell’ordinamento italiano si distingue il danno patrimoniale dal danno non patrimoniale.
All’interno di questa categoria si fanno ulteriori distinzioni: oltre al danno morale ed al danno biologico, la giurisprudenza sta costruendo altre ipotesi di danno non patrimoniale e tra queste ora si affaccia quella del danno edonistico.
Nelle richieste di risarcimento, in relazione a fatti illeciti (il classico sinistro stradale), ma non solo, la parte danneggiata potrà evidenziare, oltre ai danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante), anche le altre voci di danno non patrimoniale. In particolare potrà inserire la richiesta di essere risarcito del danno edonistico.
Con le parole del giudice toscano, il danno edonistico si definisce come quello che attiene
"alla perdita di una sorta di status connesso al particolare rapporto che lega il soggetto con la persona colpita dall’evento dannoso: così il coniuge per effetto della perdita o grave menomazione dell’altro coniuge; i genitori per la perdita del figlio o comunque viceversa, trattandosi della sparizione di quell’insieme di rapporti connessi al coniugio nell’un caso, e nell’altro della condizione parentale filiale”.
Il tribunale rileva che coloro che si trovano in stretti rapporti di parentela (coniugi, genitori, figli) soffrono, per effetto della scomparsa del congiunto, una menomazione propria, cioè perdono, a causa dell’altrui fatto illecito, quella stabilità di situazioni connesse alla loro posizione. Da un punto di vista tecnico giuridico, il danno edonistico si distingue dai danni morali, anche se statisticamente, rileva la sentenza, ad essi “si uniscono reciprocamente aggravandosi” ed è previsto dall’articolo 2043 del codice civile.
La nascita di categorie autonome di danno non patrimoniale in Italia è dovuto al fatto che il codice civile accorda i danni non patrimoniali, nella forma di danni morali, solo se vi è stata la commissione di reati.
Qualora il danno non patrimoniale non sia collegato ad un reato, è necessario trovare il modo per poterlo giuridicamente riconoscere e quindi per invenzione giurisprudenziale è nato il danno biologico (danno all’integrità psicofisica) ed ora anche il danno edonistico.
Danni in itinere
Gli incidenti riportati nel tragitto casa-lavoro sono risarcibili solo in tre casi tassativi. Così ha stabilito la sezione lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 15068/2001.
– L’incidente è indennizzabile quando la strada percorsa presenti rischi diversi da quelli delle ordinarie vie di comunicazione.
– Altro caso è quando il lavoratore è costretto ad usare l’auto privata, per assenza di mezzi pubblici tra la dimora ed il lavoro o perché imposto dal datore di lavoro.
– Altra ipotesi di risarcibilità del danno si verifica infine quando le condizioni del servizio pubblico sono tali da creare notevole disagio per il lavoratore, prolungandone l’assenza dalla famiglia per molto tempo. In sostanza, quindi, i giudici della Corte di Cassazione hanno ritenuto che:“il percorso casa-lavoro può essere considerato un’attività preparatoria alla prestazione vera e propria, come tale potenzialmente iscrivibile nel rischio specifico improprio”.
Danno ambientale
La parte sesta del Testo unico ambientale – decreto legislativo 152/2006 – rivede l’intera disciplina del danno ambientale.
Nel nuovo sistema di tutela del danno ambientale, un ruolo centrale viene affidato all’impresa, sia nella fase preventiva, sia in quella riparatoria.
Mentre è tenuto al risarcimento del danno ambientale chiunque lo abbia causato con dolo o colpa, per le azioni preventive e di ripristino, il Testo unico fa riferimento all’operatore, inteso come qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale, oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività.
Per attività professionale si intende, invece, qualsiasi azione mediante la quale si perseguono o meno fini di lucro, svolta nel corso di un’attività economica, industriale, commerciale, artigianale, agricola e di prestazione di servizi, pubblica o privata.
Nelle azioni preventive, l’operatore è chiamato ad attuare il principio di precauzione, cioè a concorrere ad attuare un alto livello di protezione in presenza di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, pur se non vi sia certezza scientifica in ordine all’effettività del rischio.
Quando emerga il rischio, deve informarne senza indugio il sindaco, la Regione o la Provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, ed il Prefetto, che in 24 ore informa il Ministro, il quale ha facoltà di adottare in qualsiasi momento misure di cautela.
Analogamente, quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente, l’operatore interessato adotta, senza indugio ed a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza ed ha lo stesso obbligo informativo prima indicato.
Sulle azioni riparatorie, invece, mentre in caso di fatto illecito doloso o colposo, che compromette l’ambiente, chiunque è soggetto all’azione risarcitoria statale, quando si tratta di attuare le misure di ripristino e riparazione ambientale, tenendo presente il fatto oggettivo del verificarsi del danno, l’operatore ha l’obbligo, oltre che di informare le predette autorità, di adottare immediatamente:
– tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi;
– le necessarie misure di riparazione e ripristino, di cui all’articolo 306.
L’operatore sostiene il costo delle misure, salvo che dimostri che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno non siano a lui addebitabili. In questi casi, che sono tassativamente previsti, il Ministro ha facoltà di adottare le misure di ripristino, con diritto di rivalsa esercitatile verso chi abbia comunque concorso a rendere necessarie le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall’effettuato pagamento. In alternativa esercita l’azione risarcitoria.
Dal quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 15/11/2000
nel risarcimento dei danni, viene tutelato ora anche il nascituro.
La Cassazione riconosce il diritto d’azione per avere l’indennizzo
Con la sentenza numero 11625, depositata il 13/11/2000, la quarta sezione penale si è pronunciata su una questione: quella del diritto del risarcimento del nascituro. I giudici di legittimità hanno ritenuto ragionevole affermare che il bambino non ancora nato, ma già concepito al momento in cui si è verificato il fatto illecito, sia personalmente titolare del diritto di azione, per ottenere il risarcimento dei danni ingiusti sofferti.
La condizione essenziale, però, è che si verifichi la nascita, altrimenti il danno ingiusto non sorge; così come non sorge nel caso in cui si sia rimediato al fatto illecito e non ci siano state conseguenze per il bambino, dopo che è venuto al mondo. Il caso ha riguardato la possibilità, per un minore, di costituirsi parte civile nel processo per l’omicidio colposo del padre. Il bambino, all’epoca dei fatti, non era ancora nato, ma la madre ne era già in attesa.
La Corte ha riconosciuto sia il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, che di quello non patrimoniale (non avendo avuto fin dalla nascita l’assistenza materiale ed economica, che il genitore era tenuto a dargli).
Infine, per quanto riguarda il danno biologico, la Cassazione ne ammette l’astratta risarcibilità, sempre che venga provata una lesione alla salute psicofisica del minore.
Risale al 1950 la prima causa che portò all’attenzione della giurisprudenza italiana il problema del risarcimento del danno a favore del nascituro.
Una sentenza del Tribunale di Piacenza riconobbe la responsabilità per fatto illecito ad un genitore, che aveva trasmesso al figlio, al momento del concepimento, una grave malattia ereditaria, di cui conosceva l’esistenza.
Dal “Gazzettino di Venezia” del 30/3/2001
Il buon padre di famiglia non paga i danni
Corte di Cassazione
Il minorenne aveva investito un uomo con la sua moto. Il risarcimento non pesa sui genitori. Confermata la sentenza della Corte d’Appello di Venezia.
Il 17enne dovrà pagare 93 milioni
Non risponde dei danni commessi dal figlio minorenne, alla guida di una moto, il buon padre di famiglia (è una espressione di derivazione latina, “bonus pater familias”e sta ad indicare la diligenza media e comune di una persona, che agisce secondo buon senso).
Né serve, per essere dichiarato tale, dimostrare di aver sempre “marcato stretto” il ragazzo. E’ sufficiente avergli impartito una educazione adeguata e aver vigilato sul giovane. Così la Cassazione, terza sezione civile, ha confermato la sentenza, con cui la Corte di Appello di Venezia stabiliva la colpa di un ragazzo di 17 anni, condannato a pagare più di 93 milioni ad un uomo, che aveva investito col suo motorino.
Mentre, esenti da responsabilità sono stati riconosciuti i suoi genitori: per i giudici veneti, avevano fornito la prova liberatoria di essere stati buon padre ed una buona madre, avendo avviato il figlio al lavoro ed avendogli permesso di conseguire la patente.
Per gli alti magistrati, non serve che un genitore provi la sua costante e ininterrotta presenza accanto al figlio, per essere considerato un buon educatore. E’ sufficiente dare prova che l’educazione impartita, sia per l’età del ragazzo, che per l’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, sia adeguata al carattere e alle attitudini del minore, e dare la prova di aver vigilato, adeguando ed indirizzando nel concreto gli insegnamenti impartiti, in modo che il ragazzino ne abbia tratto profitto e sia in grado di avviarsi a vivere autonomamente e correttamente.
Scrive testualmente la suprema corte:
”non occorre che il genitore provi l’ininterrotta presenza vicino al figlio (su cui bisogna vigilare, senza trasformarsi in veri sorveglianti) quando per l’educazione impartita, per l’età e l’ambiente in cui può muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del ragazzo”.
Nessuna colpa, dunque, per quei genitori che hanno fornito la prova di aver fatto tutto il possibile e l’ipotizzabile, per educare in modo adeguato il proprio figlio, ancora minorenne, preparandolo a quella autonomia necessaria ad ogni giovane.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento