Per “danno da ritardo” cagionato dal soggetto pubblica amministrazione la legge fa riferimento al danno prodotto dalla p.a. avverso un interesse pretensivo vantanto da un privato cittadino.
Questa qualificazione della fattispecie è stata possibile grazie ad una legislazione che si è via via sviluppata a partire dall’ art.2 della legge n.241-1990 che ha introdotto il principio della certezza temporale dell’azione della P.A. ed il principio di doverosità dell’esercizio del potere amministrativo, cioè dell’obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
Successivamente il legislatore tornò sull’argomento con l’introduzione dell’art. 2 della legge n. 205 del 2000 introducendo, nella legge Tar del 1971, l’art. 21- bis al fine di disciplinare il silenzio rifiuto della P.A. precisandone i termini processuali senza però nulla dire riguardo alla formazione del silenzio stesso. Questo fu poi disciplinato dalla legge n. 15 del 2005 e dalla successiva legge n. 80 sempre del 2005, le quali hanno rispettivamente previsto sia un termine annuale decadenziale per proporre impugnazione del silenzio-rifiuto, sia un termine elevato da 30 a 90 giorni per far sì che la stessa P.A. provveda .
Oggi il tema è stato maggiormente chiarito grazie all’introduzione dell’art.2-bis della legge n.241-1990 ad opera della legge n.69 del 2009 la quale espressamente si occupa del danno da ritardo cagionato dalla pubblica amministrazione, che, illegittimamente, rifiuta o tace su un provvedimento a favore di un privato cittadino.
Nella questione pubblico / privato tanti sono gli interessi coinvolti.
Infatti se da un lato ci si chiedeva se fosse lecita la “non risposta” della pubblica amministrazione verso una richiesta di un privato cittadino ( quale ad es. un permesso a costruire) in quanto mero esercizio discrezionale del soggetto pubblico, dall’altro si valutavano gli interessi legittimi del privato abbondantemente tutelati a partire dalla famosa sentenza delle S.S.U.U. Cassazione la n. 500 del 1999.
E’ stato precisato, in numerose massime sia della Cassazione Civile che del Consiglio di stato, che se è vero che la p.a. può esercitare il suo potere in modo discrezionale, cercando dei propri parametri entro cui fare le proprie valutazioni e prendere le proprie decisioni, la stessa non potrà agire in assoluta libertà, ma dovrà comunque essere rimessa alla valutazione del G.A. finalizzata a valutare l’esistenza di un eventuale “eccesso di potere” connesso con l’attività posta in essere dalla p.a.( S.S.U.U. Cassazione n. 2312- 17 febbraio 2012).
In questo contesto è stato, perciò, delineato il diritto del privato cittadino al rispetto del suo “tempo”, individuato come bene- vita avvalorato dell’esecuzione che il servizio offerto dalla p.a. soddisfa. (Tar Puglia- sez. di Lecce sentenza n. 623/2007).
pertanto l’agire amministrativo dovrà soggiacere al rispetto dei principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione ed è soprattutto nel rispetto di quest’ultimo principio che rientra un congruo articolarsi di motivazioni attinenti il rifiuto dell’emanazione di un provvedimento o, addirittura, il silenzio, altrimenti la legge darà esplicita menzione di “illegittimo rifiuto o illegittimo silenzio” della p.a. .
Con riferimento alla individuazione di un regime di responsabilità della p.a. per il ritardo nello svolgimento delle sue pubbliche procedure, occorre non soltanto l’accertamento dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, ma anche la sussistenza di requisiti oggettivi quali: nesso di causalità e danno ovvero di quelli soggettivi come la colpa e/o il dolo.
Grazie alla precisazione data dall’art.2-bi della legge n.241/1990 introdotto grazie alla legge n.69/2009, oggi possiamo individuare differenti fattispecie di “danno da ritardo2 del soggetto “ pubblica amministrazione”.
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In alcuni casi il ritardo deriva dal fatto che la p.a. ha adottato dapprima un provvedimento illegittimo o sfavorevole al privato (es. diniego permesso a costruire) e successivamente ne ha emanato un altro per “annullamento del primo provvedimento in opportuna sede giurisdizionale”;
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ancora: il privato può invocare adeguata tutela risarcitoria per danni conseguenti alla emanazione tardiva di un provvedimento amministrativo a lui favorevole( quale ad es. un permesso a costruire)
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Da ultimo, ma non per ordine di importanza, è bene ricordare il ritardo procedimentale che consiste nell’adozione tardiva di un provvedimento legittimo per la p.a. e sfavorevole per il privato ( es. diniego permesso a costruire) ma emanato in ritardo cagionando perciò una confusione nel soggetto privato che potrebbe male interpretare quel silenzio considerandolo, talvolta assenso.
L’introduzione dell’art. 2-bis della legge n. 241/1990 ad opera della legge n.69/2009 ha poi ampiamente chiarito i forti dubbi in merito alla competenza relativa al risarcimento del danno cagionato per il danno da ritardo della pubblica amministrazione.
Vero è che i dubbi della dottrina e della giurisprudenza si aggiravano attorno alla questione tipica del risarcimento del danno in generale che, solitamente si è soliti sapere essere una questione civilistica.
Dapprima la tesi maggioritaria sosteneva che l’accertamento della responsabilità amministrativa potesse essere dichiarato in opportuna sede amministrativa e, successivamente, il privato potesse richiedere in separata sede civilistica il risarcimento danno per la lesione subita dalla p.a. per il danno da ritardo facendo, quindi, quantificare dal giudice ordinario tale lesione.
Con l’introduzione dell’art.2-bis , il comma terzo precisa, invece, che oggi la questione giurisdizionale relativa al danno da ritardo viene conclusa attribuendo competenza risarcitoria esclusiva al giudice amministrativo il quale provvederà esso stesso sia all’attribuzione o meno del profilo di responsabilità per danno da ritardo alla p.a. sia al risarcimento per i danni patiti dalla privato.
Malgrado tali interessanti evoluzioni, importante nota degna di rilievo riguarda la tesi della giurisprudenza che ancora non ha trovato un assetto condiviso relativo ad alcune tipologie di danno lesive di interessi legittimi.
La stessa giurisprudenza, pur rispettando e condividendo il terzo comma dell’art. 2-bis , per una parte si ritiene a favore della tesi avanzata dalla Cassazione civile nel 2006 e portata avanti in molteplici pronunce del giudice ordinario.
Secondo questa teoria qualunque risarcimento del danno derivante dall’emanazione di un provvedimento lesivo di un interesse legittimo, la si può chiedere ed ottenere indipendentemente dell’annullamento dell’atto stesso che lo ha provocato adottando quindi lo strumento della “pregiudiziale amministrativa”.
Mentre il consiglio di Stato mira da sempre a unire le due questioni adottando la pregiudiziale e invocando dapprima l’annullamento dell’atto illegittimo della p.a. e poi il risarcimento per i danni da esso prodotti avverso il privato, la Cassazione civile precisa che anche qualora il provvedimento amministrativo continui a produrre i suoi effetti in attesa di un procedimento per l’impugnazione dello stesso, il risarcimento per i danni patiti dall’atto sfavorevole può essere già invocato da privato in opportuna sede giuridica ordinaria.
Perciò, nonostante l’art. 2-bis comma terzo ha tentato, grazie all’attribuzione della compentenza esclusiva al g.a. , di apportare un po’ di chiarezza, i dubbi sono ancora tanti.
Con la “pregiudiziale amministrativa” sarà competenza del giudice ordinario quantificare il danno patito dal privato e richiamare l’opportuna sede amministrativa per l’annullamento del provvedimento amministrativo lesivo dell’interesse legittimo decretabile, ad es., davanti al T.A.R.
Entrando nel vivo della richiesta di risarcimento, qualora un privato sia leso per danno da ritardo del soggetto p.a. deve dare prova “rigorosissima” del danno patito.
Questa prova, che può consistere o nella precisazione della perdita economica patita a seguito del ritardo, o nel mancato guadagno subito a seguito dell’emanazione di un provvedimento sfavorevole ingiustificato o, addirittura, nella configurazione ( qualora si dimostri azione dolosa o colposa legata al ritardo della p.a. di un eventuale danno di natura extracontrattuale ) può configuare sia una richiesta a se stante di danno non patrimoniale, sia una richiesta che si aggiunge alla qualificazione del danno patrimoniale inerente la perdita economica eventualmente subita.
Parliamo di danno non patrimoniale comprendendo la categoria più generica ti tutte le sottocategorie di danno che sono configurabili a partire dall’art. 2043 c.c.
Nello specifico è possibile, ad es. , dare prova dello stress patito nell’attesa dell’emanazione di un provvedimento favorevole configurando, perciò un vero e proprio “danno da stress della p.a.”( Tar Puglia sez. Legge sentenza n.627/2007).
Lo stress patito dal privato può essere provato o da certificati medici che effettivamente attestino uno stato depressivo tale o una patologia che ha portato l’individuo a un malore psicologico legato all’accadimento in questione oppure da ulteriori prove certe che attestino una forte situazione di stallo della vita privato cittadino da quando è entrato in conttatto con la p.a.
nonostante il “danno da stress2 siamo ormai una realtà in cui può incorrere la p.a. non sono mancate pronunce che hanno contestato questa fattispecie di danno non patrimoniale.
In particolare, nel 2009 nella sentenza n.8703 della suprema Corte di Cassazione III sez. civile, si precisa che : “ Anche la pubblica amministrazione sbaglia, al pari di qualsiasi organizzazione umana. In questi casi è di regola il cittadino interessato a doversi adoperare per la correzione dell’errore, armandosi di un’abbondante dose di pazienza, autocontrollo, tempo e denaro.” e ancora che : “si tratta di un “danno bagatellare”, un mero fastidio, disagio, disappunto non risarcibile in quanto non espressamente o implicitamente contemplato da alcuna norma dell’ordinamento.”
Pertanto qualora debba essere altresì contestato alla p.a. un “danno da stress” questo deve essere provato con certezza ma bisogna essere altresì consapevoli che in qualsiasi momento una decisione può non riconoscere questa tipologia di danno non patrimoniale.
Concludendo si può oggi appurare: l’esistenza di un danno da ritardo per silenzio, rifiuto o mancato proseguio di una qualunque procedura amministrativa, che lo stesso può essere contestato dal privato in opportuna sede amministrativa per ottenere annullamento dell’atto lesivo ma che il risarcimento, può essere chiesto e subito quantificato in giudizio ordinario con espresso richiamo in opportuna sede amministrativa successivamente; inoltre: la prova deve essere rigorosa in quanto la responsabilità della p.a. può aversi sia in merito a danno patrimoniale che, in presenza di requisiti soggettivi quali il dolo o la colpa, anche per danno non patrimoniale.
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