Il delitto di detenzione di droga a fini di spaccio è un reato istantaneo o permanente?

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Il delitto di detenzione di droga a fini di spaccio è reato permanente nonché asserito, alla stregua di siffatta natura di codesto illecito penale, che la sua consumazione si protrae sino a quando é in essere la relazione di disponibilità della sostanza in capo al detentore.

Riferimento normativo: d.P.R. n. 309/1990, art. 73

Il fatto

La Corte di Appello di Ancona confermava una condanna emessa dal Tribunale dorico in relazione ad un delitto di detenzione di 326 grammi di cocaina presso l’abitazione dell’imputato.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, per il tramite del suo difensore, deducendo un unico motivo nel quale si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione.

Il ricorrente premetteva a tal proposito che lo stupefacente – di cui egli, a suo dire, sconosceva la quantità – era stato nascosto presso la sua abitazione, con il suo consenso, da alcuni soggetti di nazionalità marocchina dolendosi al contempo del fatto che, sebbene egli avesse patteggiato la pena per un precedente ritrovamento di altra minore quantità di stupefacente presso la sua abitazione, la droga da ultimo rinvenuta non fosse stata considerata come proveniente dalla stessa condotta criminosa e non fosse stata perciò considerata come bis in idem con conseguente configurabilità della preclusione di cui all’art. 649 cod. proc. pen..

In definitiva, sosteneva l’esponente, non erano stati indicati dalla Corte dorica gli elementi differenziali quanto alla condotta a lui censurata, all’evento (costituito dall’occultamento dello stupefacente, di cui egli ignorava la quantità e il luogo di posizionamento) e al nesso causale; perciò, assumendo che il suo consenso al deposito dello stupefacente era stato rilasciato in un’unica occasione e che non vi sarebbe stata la prova che lo stupefacente rinvenuto nelle due occasioni provenisse da partite diverse.

Il deducente, inoltre, affermava la medesimezza della condotta a lui contestabile stante anche la breve distanza temporale fra i due ritrovamenti della droga presso la stessa abitazione.

Infine, il ricorrente richiamava i principi affermati dalla Corte di Strasburgo in tema di ne bis in idem e di interpretazione dell’art. 4 prot. 7 CEDU.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto infondato per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito prima di tutto che, prescindendo dalla veridicità o meno della versione dei fatti riferita dall’odierno ricorrente – secondo il quale lo stupefacente rinvenuto nelle due  occasioni sarebbe stato occultato presso la sua abitazione, con il suo consenso, da cittadini extracomunitari -, stava di fatto che l’imputato era stato giudicato, una prima volta, per la detenzione di un quantitativo modesto di sostanza stupefacente in relazione al quale egli aveva patteggiato la pena previo riconoscimento dell’ipotesi di lieve entità di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. 309/1990 ed era stato giudicato una seconda volta per il ritrovamento di un più cospicuo quantitativo di cocaina della cui detenzione egli rispondeva in questo giudizio.

Ciò posto, la Suprema Corte riteneva opportuno richiamare in proposito i principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità in subiecta materia.

Pertanto, veniva in primo luogo postulato che, ai fini della preclusione del giudicato, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. 4, Sentenza n. 12175 del 03/11/2016) e, sulla scorta di tali premesse, considerando che la doglianza riguardava due condotte di detenzione di stupefacenti, a nulla rilevava, per il Supremo Consesso, l’asserzione del ricorrente secondo cui i due quantitativi di stupefacente sarebbero stati occultati in dipendenza di un unico consenso e potrebbero provenire dalla stessa partita essendo evidente che la corrispondenza tra i vari elementi delle due fattispecie, a tacer d’altro, verrebbe  comunque meno a seguito del sequestro di uno dei due quantitativi di stupefacente atteso che il delitto di detenzione di droga a fini di spaccio é reato permanente e la sua consumazione si protrae sino a quando é in essere la relazione di disponibilità della sostanza in capo al detentore (cfr. per tutti Sez. 4, Sentenza n. 34332 del 03/06/2009).

Da ciò se ne faceva conseguire che la detenzione del secondo quantitativo di stupefacente (quello che forma oggetto del presente  giudizio) si sarebbe comunque protratta in epoca successiva a quella del precedente ritrovamento del minore quantitativo di sostanza, già oggetto di sentenza a pena patteggiata e, da qui, la netta distinzione ontologica delle due condotte criminose nel senso che la prima delle quali si era già esaurita nel momento in cui interveniva il sequestro dei 326 grammi di cocaina oggetto di imputazione nel presente giudizio.

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che, quand’anche volesse assumersi la contestualità della detenzione dei due diversi quantitativi di sostanza psicoattiva, la preclusione di cui all’art. 649 cod. proc. pen. non può essere invocata qualora il fatto, in relazione al quale sia già intervenuta una pronuncia irrevocabile, configuri un’ipotesi di concorso formale di reati in quanto la condotta, già definitivamente valutata in un precedente giudizio penale, può essere riconsiderata come elemento di fatto e inquadrata, con valutazione diversa o anche alternativa, in una più ampia fattispecie incriminatrice (Sez. 6, Sentenza n. 1157 del 09/10/2007; in senso conforme vds. anche Sez. 2, Sentenza n. 51127 del 28/11/2013, e Sez. 1, Sentenza n. 12943 del 29/01/2014).

I giudici di piazza Cavour, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, come accennato prima, procedevano alla reiezione del ricorso proposto.

Conclusioni

La decisione in esame è interessante essendo ivi precisato, citandosi un precedente conforme, che il delitto di detenzione di droga a fini di spaccio è reato permanente nonché asserito, alla stregua di siffatta natura di codesto illecito penale, che la sua consumazione si protrae sino a quando é in essere la relazione di disponibilità della sostanza in capo al detentore.

Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di appurare quando siffatta condotta criminosa può ritenersi consumata, e, all’opposto, non ancora in essere, stante le diverse implicazioni che la consumazione di un reato comporta sul piano giuridico (tra le tante, si pensi al calcolo della decorrenza dei termini per stabilire se un reato possa considerarsi estinto per sopravvenuta prescrizione).

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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