Scopo del presente scritto è quello di trattare il delitto di resistenza a un pubblico ufficiale nei casi in cui l’autore di questo reato si opponga a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio mentre uno di questi compia un atto di ufficio o di servizio, usando la violenza c.d. “impropria”[1].
Per comprendere cosa debba intendersi per violenza impropria, può soccorre quell’orientamento nomofilattico che, in relazione al delitto di violenza privata, ha definito – una volta rilevato che l’«elemento della violenza nella fattispecie criminosa di violenza privata si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione»[2] – tale forma di aggressività quella in cui la violenza viene in posta in essere «attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione»[3] (esempio: colui che parcheggia «la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla parte lesa»[4])[5].
Posto ciò, tale tipologia di violenza è stata considerata configurabile anche qualora sia commesso il delitto di resistenza a un pubblico ufficiale(art. 337 c.p.).
In effetti, in diverse pronunce emesse dalla Corte di Cassazione, è stato trattato come ed in che termini la violenza impropria possa rilevare per potersi ritenere perfezionato il reato appena citato.
Difatti, la Suprema Corte, una volta constatato che «l’art. 337 C.P. non esige, a differenza dell’art. 336 stesso codice, che la violenza (o la minaccia) sia usata “a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio”, ma richiede soltanto che la violenza sia usata “per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio” nel compimento di un atto o di un’attività d’ufficio»[6], è giunta alla conclusione secondo la quale – proprio perché, per «concretare il delitto di resistenza è sufficiente anche la mera violenza sulle cose o sulle persone dei privati, quando comunque sia indirizzata a turbare, ostacolare o a frustrare il compimento dell’atto (o dell’attività) di ufficio o di servizio, giacché anche in tale caso sussiste, sotto il profilo psicologico, la volontà di opporre una forza di resistenza positiva all’attività commessa all’esercizio di una pubblica funzione»[7] – la materialità del delitto di resistenza a p.u. può restare integrata «anche dalla violenza cosiddetta impropria, da quella violenza cioè che, pur non aggredendo direttamente il pubblico ufficiale, si riverbera negativamente sull’esplicazione della relativa funzione pubblica, impedendola o semplicemente ostacolandola»[8].
Al riguardo, è stato altresì precisato, sempre in sede nomofilattica, che questa modalità violenta «può essere esercitata anche su persona diversa dal pubblico ufficiale, purchè comunque idonea ad impedire od ostacolare l’esplicazione della pubblica funzione, (nella specie, le lesioni erano state procurate ad un agente che era intervenuto in aiuto di un collega oltraggiato)»[9].
Ebbene, chi scrive ritiene tale approccio normativo condivisibile dato che, come rilevato dalla stessa Cassazione nelle decisioni già richiamate prima, l’art. 337 c.p. si riferisce unicamente alla «violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio» senza però specificare se tale violenza o minaccia deve essere indirizzata contro costoro o terzi.
Tuttavia, la violenza impropria non è stata reputata ravvisabile nel caso di resistenza passiva poiché essa, consistendo nella «negazione di qualunque forma di violenza o di minaccia, rimane al di fuori dello schema paradigmatico dell’art. 337 C.P.»[10], sarebbe tutt’al più configurabile solo come una mera «reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale»[11](esempio: puntare i piedi e le mani su di un’auto della polizia per evitare di essere caricato sulla stessa e di essere così condotto negli uffici di p.s.[12])[13].
Per chiarire invece in cosa deve consistere la differenza tra resistenza a un pubblico ufficiale e una resistenza passiva, la Cassazione, ad esempio, nell’analizzare il caso in cui taluno fugge nonostante l’alt intimato dalle forze dell’ordine, ha evidenziato che se è vero che «la fuga in quanto tale, considerata astrattamente, non integra il reato di resistenza, proprio perché il semplice sottrarsi all’incontro o al semplice contatto con il pubblico ufficiale concreta un atteggiamento non violento e non minaccioso»[14], è altrettanto vero che se «la fuga assume particolari connotazioni, nel senso che ad essa si accompagnino manovre che concretino – sul piano teleologico – una vera e propria intimidazione contro il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio), atta a paralizzarne o contrastarne l’attività, è agevole comprendere che, in tale caso, non difetta l’elemento della violenza o della minaccia, destinato ad incidere, direttamente o indirettamente, sull’esplicazione della funzione pubblica (o del servizio pubblico)»[15].
Tal che ne consegue che, per comprendere quale delle due ipotesi sia configurabile nel concreto, una valutazione di questo tipo non deve avvenire in astratto ma in concreto.
In altri termini, è necessario cioè appurare se la condotta della persona “fermata” dal pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio sia stata davvero violentemente posta in essere al fine di impedire il compimento di quanto richiesto a coloro che rivestano tale qualifica, oppure all’opposto questa modalità comportamentale sia priva di tali caratteristiche.
Ovviamente, quanto sin qui enunciato, potrà valere nella misura in cui non dovesse ricorrere la causa di non punibilità di cui all’art. 393 bis c.p. che, come risaputo, dispone che non «si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 341-bis, 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni»[16].
Chiarito tale istituto sotto un profilo prettamente teorico (almeno nei suoi tratti essenziali), può osservarsi come in sede di legittimità sia stata ravvisata la sussistenza della violenza impropria, sempre in ordine al delitto di cui all’art. 337 c.p., nelle seguenti ipotesi:
– la «condotta del conducente di un ciclomotore che, non fermandosi all’alt intimatogli dai carabinieri, fugge percorrendo ad alta velocità le strette vie del centro storico, determinando così una situazione di generale pericolo e una minaccia indiretta alla regolare esplicazione della pubblica funzione»[17];
– la persona che, alla guida di una imbarcazione navale, «dopo l’intimazione di alt, si era data alla fuga a luci spente ed era riuscita a speronare l’unità militare provocandone la rottura dell’elica»[18];
– «la condotta di chi, privo di patente di guida, per sfuggire alla polizia, non ottemperi all’intimatogli “alt” e diriga il proprio veicolo contro gli agenti, li eviti e prosegua in corsa spericolata nonostante l’inseguimento immediato dei medesimi»[19];
– la «condotta di chi, alla guida di un’auto, si dia alla fuga ad alta velocità per sottrarsi all’alt intimato dalle forze di polizia e, una volta raggiunto, tenti di speronare la loro vettura»[20].
In conclusione, la ricostruzione della norma incriminatrice di cui all’art. 337 c.p. in questi termini, lungi dal costituire una interpretazione analogica di questa disposizione legislativa che, in quanto tale, come è noto, non è consentita dal nostro ordinamento giuridico per le norme che regolano fattispecie penali, si palesa come una ragionevole interpretazione di questo dettato normativo che non contrasta con la finalità che connota questa fattispecie delittuosa che, come è altrettanto noto, consiste nel tutelare la sicurezza e la libertà d’azione del p.u. o dell’incaricato di pubblico servizio contro fatti di opposizione violenta[21].
Difatti, come visto in precedenza, la violenza impropria potrà rilevare nel caso di specie solo nella misura in cui sia adoperata per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio nel compimento di un loro atto o nell’espletamento di una loro attività d’ufficio.
[1]Per quanto attiene la dottrina che ha trattato specificatamente questo illecito penale, a titolo meramente esemplificativo, vedasi: G. VELOTTI, L’elemento materiale nella resistenza a pubblico ufficiale, Napoli, Stab. Tip. G. Genovese, 1939; R. PASELLA, Violenza e resistenza a un pubblico ufficiale, Digesto delle discipline pubblicistiche, XV, UTET, 1999; G. RICCIO, voce Violenza e minaccia e resistenza alla pubblica amministrazione, Nss., UTET, 1975, vol. XX, 976; M. SFORZI, voce Violenza, minaccia o resistenza all’autorità, Enc. dir., Giuffrè, 1993, vo. XI.VI, 920.
[2]Cass. pen., sez. V, sentenza ud. 19 ottobre 2015 (dep. 7 dicembre 2015), n. 48346, in http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20151209/snpen@s50@a2015@n48346@tS.clean.pdf.
[3]Ibidem.
[4]Ibidem.
[5]Sull’argomento, vedasi: A. PECORARO-ALBANI, Il concetto di violenza in diritto penale, Milano, Giuffrè editore, 1962; E. MEZZETTI, voce Violenza privata e minaccia, in Dig. disc. pen., XV, 1999; M. MINNELLA, voce Violenza privata, in Enc. giur. Treccani, XXXII, 1994; L. MONACO, Art. 610 c.p., in A. CRESPI – G. FORTI – G. ZUCCALÀ, Commentario breve al Codice penale, Padova, 2008.
[6]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 29 maggio 1996 (dep. 15 luglio 1996), n. 7061, in Cass. pen., 1997, 2721.
[7]Ibidem.
[8]Ibidem.
[9]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 25 febbraio 2009 (dep. 17 marzo 2009), n. 11559, in CED Cass. pen., 2009.
[10]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 29 maggio 1996 (dep. 15 luglio 1996), n. 7061, in Cass. pen., 1997, 2721.
[11]Argomentando a contrario: Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 11 febbraio 2010 (dep. 5 marzo 2010), n. 8997, in CED Cass. pen., 2010.
[12]In tal senso: Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 13 gennaio 2015 (dep. 10 febbraio 2015), n. 6069, in CED Cassazione penale, 2015.
[13]Sull’argomento, vedasi: M. CATENACCI (a cura di), Trattato teorico – pratico di diritto penale. Vol. 5: Reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia, Torino, Giappichelli editore, 2011, pag. 175; P. FAVA (a cura di), Analisi sistematica della giurisprudenza penale, Delitti contro la Pubblica amministrazione e il patrimonio, Santarcangelo di Romagna, Maggioli editore, 2009, pag. 119.
[14]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 29 maggio 1996 (dep. 15 luglio 1996), n. 7061, in Cass. pen., 1997, 2721.
[15]Ibidem.
[16]Sull’argomento, vedasi: R. ZIZANOVICH, Le modifiche apportate al codice penale dalla l. 15 luglio 2009, n. 94, in Giur. Merito, 2009, 12, p. 2943; E GALLO, Una definizione degli atti arbitrari del p.u. che non convince, pur aprendo a riflessioni perplesse, Milano, Giuffrè editore, 1998; E. MORSELLI, La reazione degli atti arbitrari del pubblico ufficiale, Padova, CEDAM, 1966; R. VENDITTI, La reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale, Milano, Giuffrè editore, 1954.
[17]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 17 maggio 2007 (dep. 1 ottobre 2007), n. 35826, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2008, 2, 131.
[18]Cass. pen., sez. III, sentenza ud. 14 giugno 2006 (dep. 21 settembre 2006), n. 31403, in Dir. maritt., 2007, 3, 832.
[19]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 29 maggio 2006 (dep. 15 luglio 2006), n. 7061, in Cass. pen., 1997, 2721.
[20]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 6 novembre 2013 (dep. 6 gennaio 2014), n. 4391, in CED Cassazione penale, 2013;
Archivio della circolazione e dei sinistri, 2014, 6, 495.
[21]In tal senso: Cass. pen., sez. I, 6 ottobre 1983, in Giust. pen., 1984, II, 427.
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