Il ritardo nel deposito delle sentenze e dei provvedimenti giudiziari da parte del magistrato, anche se sistematico, non è bastevole, di per sé, ad integrare un illecito disciplinare. È necessario anche stabilire se il ritardo in questione sia sintomo di mancanza di operosità oppure trovi giustificazione in situazioni particolari. Il principio è stato declamato dalle sezioni unite civili della Corte di Cassazione, nella sentenza dello scorso 9 maggio n. 10064. Nella fattispecie in esame il collegio ha ritenuto illegittimo il provvedimento di censura irrogato nei confronti di un magistrato dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore di magistratura, in ragione del riscontrato ritardo nel deposito di sentenze civili. L’organo disciplinare, non tenendo in adeguato conto le particolari situazioni oggettive e soggettive in cui l’incolpato era venuto a trovarsi, ha ritenuto che le stesse dovessero essere ritenute recessive a fronte della scarsa produzione dell’incolpato (circa cento sentenze), tanto da dimostrare che lo stesso era incorso in una sorta di paralisi decisionale, inescusabile con la situazione in cui versava il suo ufficio o con le difficili condizioni professionali del magistrato.
Nella sentenza in rassegna la Cassazione, rilevando un vizio motivazionale, conclude con un rinvio alla sezione disciplinare che dovrà rivalutare la situazione considerando la documentazione prodotta e valutando se sussistano elementi sufficienti, in base a quanto effettivamente risultante documentalmente. Rivalutazione da effettuarsi anche alla luce degli altri parametri che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha elaborato in tema di ritardo nel deposito delle sentenze (cfr. sent. n. 19347/2005, e n. 17916/2007), e in tema di ragionevolezza del ritardo, al fine di affermare la responsabilità disciplinare del magistrato in ordine alle incolpazioni a lui ascritte. (Lilla Laperuta)
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