Il difensore della parte civile può farsi sostituire con delega orale?

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(Sull’argomento, vedasi anche: Sull’ammissibilità della delega orale per la nomina del sostituto processuale di: Di Mariano Sergio, Avv., diritto.it, 5 novembre 2018)

(Annullamento con rinvio)

SOMMARIO : Il fatto – I motivi addotti nel ricorso per Cassazione – Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione – Conclusioni

Il fatto 

La Corte di appello de L’Aquila, in riforma di una sentenza emessa del Tribunale di Lanciano, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati loro ascritti (artt. 44, lett. c, n. 380 del 2001, 181, d.lgs. n. 42 del 2004, 734 cod. pen.) perché estinti per prescrizione revocando al contempo le statuizioni civili di condanna.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

La parte civile ricorreva per l’annullamento del provvedimento summenzionato in riferimento alla revoca delle statuizioni civili di condanna deducendo, ai sensi dell’art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., il malgoverno delle norme sostanziali e processuali che disciplinano la costituzione e la permanenza della parte civile nel processo penale

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto fondato per le seguenti ragioni.

La Suprema Corte addiveniva a siffatta conclusione alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale la designazione del sostituto da parte del difensore può essere effettuata con delega “orale” ai sensi dell’art. 96, comma 2, cod. proc. pen., come interpretato alla luce della tacita abrogazione dell’art. 9 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, conv. dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, per effetto della legge 31 dicembre 2012, n. 247 di riforma dell’ordinamento della professione forense, a mente del cui art. 14, comma 2, «gli avvocati possono farsi sostituire da altro avvocato, con incarico anche verbale, o da un praticante abilitato, con delega scritta» (Sez. 2, n. 57832 del 15/11/2018, Rv. 275067 – 01; Sez. 1, n. 48862 del 02/10/2018, Rv. 274086 – 01; contra Sez. 5, n. 26606 del 26/04/2018).

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che la designazione del sostituto processuale deve essere effettuata nelle forme stabilite dall’art. 96, comma 2, cod. proc. pen. (art. 34, disp. att. c.p.p.) e, dunque, anche con dichiarazione verbalmente resa all’autorità procedente dallo stesso sostituto non necessariamente mediante la consegna della designazione scritta redatta dal sostituito, rilevandosi al contempo che nè per il sostituto del difensore della parte civile vigono regole diverse e speciali (vi osta la collocazione sistematica dell’art. 102 cod. proc. pen.) tanto più che, nel caso di specie, la procura speciale non imponeva forme particolari per la designazione del sostituto processuale.

Nell’addivenire alla conclusione appena enunciata, gli Ermellini osservato che, come ricordato da Sez. 1, n. 48862 del 2018, «nell’interpretazione del menzionato art. 96, comma 2, cod. proc. pen. (…) la giurisprudenza di legittimità si è, del resto, sempre ispirata ad un principio di favore per l’esplicazione del diritto di difesa, escludendo il bisogno di autenticazione (Sez. 5, n. 8205 del 18/01/2018, omissis, Rv. 272434; Sez. 6, n. 15577 del 11/02/2011, omissis, Rv. 250033; Sez. 3, n. 234 del 09/11/2006, dep. 2007, omissis, Rv. 235963), ovvero riconoscendo valida la nomina stessa, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dalla menzionata disposizione, in presenza di elementi inequivoci dai quali la designazione potesse tacitamente desumersi (Sez. 6, n. 54041 del 07/11/2017, omissis, Rv. 271715; Sez. 5, n. 36885 del 03/02/2017, omissis, Rv. 271270; Sez. 2, n. 52529 del 10/11/2016, omissis, Rv. 268412; Sez. 4, n. 34514 del 08/06/2016, omissis, Rv. 267879), o, infine, privilegiando il fatto che la nomina fosse eseguita in forme tali da non consentire dubbi o incertezze sull’individuazione della persona incaricata dell’ufficio e sul procedimento per il quale la nomina venisse disposta (v., a contrario, Sez. 5, n. 4874 del 14/11/2016, dep. 2017, omissis, Rv. 269493) (…) La necessità che il sostituto fosse munito di delega scritta del difensore titolare, consegnata all’autorità procedente o trasmessa per raccomandata, o altrimenti fosse investito verbalmente dal medesimo titolare, presente all’atto, discendeva dalla conforme impostazione della legge professionale. Il relativo ordinamento è stato tuttavia riformato, per effetto della legge n. 247 del 2012. L’art. 14 di essa, intitolato «Mandato professionale. Sostituzioni e collaborazioni», prevede, tra l’altro, che l’avvocato possa nominare stabilmente uno o più sostituti presso ogni ufficio giudiziario, depositando la nomina presso l’ordine di appartenenza (comma 4), ma possa altresì, in via contingente, farsi sostituire da un altro avvocato, o praticante abilitato, con incarico verbale nel primo caso, e scritto nel secondo (comma 2) (…) Se si guarda, quale criterio ermeneutico ulteriore, allo scopo perseguito dalla riforma, non è arduo ravvisarlo in un’esigenza di semplificazione – nel quadro del più generale indirizzo, volto ad esaltare l’affidamento dell’ordinamento nell’avvocato quale custode dei valori della professione e ad assicurarne l’esercizio responsabile – e in un’esigenza di armonizzazione in ambito europeo. Come risulta da un’indagine, anche rapida, di tipo comparatistico, negli ordinamenti dei Paesi di tradizione giuridica affine a quella italiana, come la Francia, la sostituzione all’udienza dell’avvocato officiato dal cliente non richiede forma scritta, salvo casi particolari, e presuppone il solo onere di informare preventivamente il cliente (Reglement Intérieur National, art. 6.2); ma anche in un ordinamento di tipo anglosassone, come quello inglese, la delega per l’udienza può essere orale e non è richiesta la presenza del delegante. Tali considerazioni inducono a ritenere tacitamente abrogato, per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti, ai sensi dell’art. 15 disp. prel. cod. civ., l’art. 9 r.d.l. n. 1578 del 1933, sopra citato; abrogazione alla luce della quale gli art. 96, comma 2, cod. proc. pen., e 34 disp. att. cod. proc. pen., debbono essere ormai interpretati nel senso che il difensore titolare possa farsi sostituire per l’udienza, o per l’atto processuale da compiere, conferendo incarico anche solo orale al difensore sostituto, senza essere necessariamente ivi presente, e senza altro onere diverso dalla formale dichiarazione (davanti al giudice e raccolta a verbale) del conferitario di averlo ricevuto; ferme le sue responsabilità di ordine penale, civile e deontologico, per il caso di dichiarazione mendace».

Orbene, alla stregua di siffatto approdo ermeneutico, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come la sentenza de qua si facesse carico anche di disattendere il contrario convincimento espresso da Sez. 1, n. 26606 del 2018, che nega l’intervenuta abrogazione dell’art. 9 r.d.l. n. 1578 del 1933, argomentando dal fatto che l’art. 65, legge n. n. 247 del 2012, farebbe salve le norme anteriori fino all’entrata in vigore dei regolamenti previsti dalla stessa legge, che non risulterebbero allo stato emanati, e dal fatto che non risulta esercitata la delega prevista dall’art. 64 della medesima legge di riforma tenuto conto altresì del fatto che ulteriore argomento, che milita a sostegno di codesto assunto, è costituito dal fatto che l’art. 14, legge n. 247, cit., é suscettibile, ‘in parte qua’, di un’interpretazione restrittiva, che ne limita l’applicazione ai casi di sostituzione extra-processuale fermo restando che, in ogni caso, tale disposizione costituirebbe norma generale inidonea, in quanto tale, a derogare alle preesistenti disposizioni codicistiche di natura speciale.

Oltre a ciò, venivano richiamati ulteriori considerazioni tratte da alcuni dei pronunciamenti emessi dalla Suprema Corte e richiamati nella decisione qui in commento.

In particolare, veniva evidenziato che, come rilevato nella citata Sez. 1, n. 48862, l’art. 14, legge n. 247 del 2012, «ha un ambito squisitamente giudiziale, come si ricava dall’esegesi in precedenza condotta e come è confermato dai lavori preparatori. Nella relazione di accompagnamento al testo unificato dei disegni di legge in materia di riforma dell’ordinamento forense, elaborato dal Comitato ristretto della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica (A. S. 601-A, XVI legislatura), poi tradottosi nella legge n. 247 del 2012 – dopo l’affermazione che «l’articolo 13 [poi divenuto 14 nella redazione definitiva] reca, secondo la rubrica, la disciplina delle sostituzioni e delle collaborazioni» – si legge che il comma 1 ha piuttosto ad oggetto le modalità di perfezionamento del mandato professionale, mentre i commi successivi disciplinano in maniera più compiuta la disciplina delle sostituzioni e delle collaborazioni; e in fine si sottolinea che, mentre «la sostituzione processuale fra avvocati può essere conferita anche verbalmente», nel caso di praticante abilitato è necessaria la delega scritta. Che la nuova disciplina riguardasse dunque proprio il processo era un presupposto assunto come pacifico. Non può dubitarsi, così, del contrasto puntuale tra la antecedente e la posteriore disposizione di ordinamento professionale, dell’abrogazione implicita della prima e dei riflessi, che se ne sono per l’effetto tratti, in ambito processuale. Sotto altro aspetto, la legge n. 247 del 2012 è pienamente vigente nelle sue disposizioni, indipendentemente dal mancato riordino dell’intera materia attraverso il T. U. previsto dall’art. 64 della legge medesima, mentre non appare pertinente neppure il richiamo all’art. 65 di quest’ultima. Esso prevede che, fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti previsti nella legge n. 247 del 2012, si applicano, se necessario e in quanto compatibili, le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate. Queste ultime sono le disposizioni dei precedenti regolamenti. Il legislatore ha inteso stabilire che, fino alla emanazione di quelli nuovi, si debbano osservare le prescrizioni di quelli che furono adottati per l’esecuzione del precedente ordinamento professionale, nella parte di esso ancora «attuale» ossia rispetto a settori di disciplina non incisi dalla novella. In nessun modo tale disposizione transitoria, che riguarda le fonti di livello secondario, può giustificare la permanente vigenza dell’art. 9 del citato r.d.l. n. 1578 del 1933, che si colloca tra le fonti primarie. Ciò anche a prescindere dall’intervenuta emanazione, contrariamente all’assunto che si confuta, di un cospicuo numero di atti regolamentari previsti dalla legge n. 247 del 2012; il Consiglio nazionale forense, per la parte di competenza, ne ha finora adottati dieci (recanti i numeri 1, 2, 3 e 4 del 2013; 1, 2, 3, 4 e 6 del 2014; e 1 del 2015) e quattordici il Ministero della Giustizia (numeri 55 e 170 del 2014; 38, 143 e 144 del 2015; 23, 47, 48, 58, 70, 156, 178 del 2016, oltre ad un uno senza numero in materia di polizze assicurative; n. 34 del 2017)» fermo restando che, a tali argomenti, la sentenza Sez. 2, n. 57832 del 15/11/2018, ne aveva aggiunto altri, vale a dire: «Lo stesso Consiglio Nazionale Forense – ricorda(va) -, nel parere reso dalla Commissione Consultiva il 23 ottobre del 2013 (Quesito del COA di Ferrara), ha interpretato la norma dell’art. 14 della L. 247/2012 nel senso sostenuto dalla Prima Sezione di questa Corte e qui ribadito (…) l’interpretazione secondo la quale la delega orale sarebbe consentita solo in ambito stragiudiziale, ridurrebbe macroscopicamente la portata innovativa della riforma, rendendola sostanzialmente sterile, in considerazione del fatto che l’ambito stragiudiziale è già permeato da una congenita in formalità, dovuta all’assenza del giudice, sicché non si comprenderebbe la necessità della introduzione della possibilità della delega orale in solo ambito stragiudiziale inserita nella più generale riforma dell’ordinamento forense. Deve ricordarsi – ammonisce(va) la Corte – che restano fermi, a carico dell’avvocato, le responsabilità deontologiche, penali e civili nel caso di dichiarazioni mendaci, responsabilità ampiamente idonee a scongiurare i casi in cui ciò possa avvenire. Più in generale, la soluzione qui sostenuta appare in linea con gli scopi della riforma, tra i quali si annovera, all’art. 1, comma 2, lett. c) della legge 2012 n. 247, quello di tutelare, in ragione della “specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta”, “l’affidamento della collettività e della clientela, prescrivendo l’obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità e efficacia della prestazione professionale”».

La sentenza appena citata, inoltre, a parere del Supremo Consesso, individua un ulteriore argomento difficilmente superabile: «in ambito penale e sul piano della salvaguardia e della tutela degli interessi dell’imputato e, ove occorra, delle altre parti private, pare di poter dire che, davanti ad una attività giudiziale da compiersi comunque in assenza del difensore di fiducia, risulta più idonea ad assicurare una migliore difesa tecnica la possibilità di ammettere un delegato del difensore titolare, anziché procedere alla nomina di un difensore di ufficio ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen., o, come nel caso in esame, procedere in assenza del sostituto del difensore della persona offesa. Il difensore delegato, infatti, si può presumere, o comunque non escludersi, che sia stato investito dal delegante della conoscenza della causa, che il difensore di ufficio, nominato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen. certamente non ha nella ipotesi, invero frequente, in cui non eserciti la facoltà di chiedere un termine a difesa».

Ebbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, i giudici di legittimità ordinaria osservavano come dai verbali del dibattimento di primo grado risultasse chiaramente che l’avvocato della parte civile era comparso in sostituzione del collega o, comunque, per la parte civile.

Infatti, se è vero che in detti verbali non si dava espressamente atto dell’esistenza della delega orale, tuttavia, ciò non poteva costituire di per sé indice dell’inesistenza del titolo stesso tenuto conto altresì del fatto che, sempre ad avviso della Cassazione, esistevano indici affidabili del contrario desumibili: a) dalla co-titolarità dello studio legale; b) dal fatto che dall’intestazione della sentenza di primo grado l’Avv. A. risultava sostituita “per delega” dall’Avv. F..

Essendo quindi incontestabile che per l’udienza del 08/06/2017 non era stata rilasciata alcuna delega scritta, era evidente, secondo il Supremo Consesso, che l’unica delega di cui si dava atto nella sentenza di primo grado era quella orale.

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che, come correttamente ricordato anche dalla Corte di appello e dalla stessa ricorrente, nel caso in cui il difensore della parte civile designa un suo sostituto ex art. 102 cod. proc. pen., è onere del controinteressato dedurre la carenza di investitura formale onde consentire al sostituto di produrre il documento dal quale deriva la sua legittimazione processuale giacché la nullità generale a regime intermedio ex artt. 178, comma primo lett. c) e 180 cod. proc. pen. si configura soltanto nell’ipotesi di mancato rilascio e non anche di mancata esibizione di una delega scritta (Sez. 6, n. 49532 del 29/09/2013,).

Vero è che, come già detto, la produzione della delega scritta non è più richiesta e, tuttavia, l’insegnamento giurisprudenziale afferma un principio di carattere generale sul tempo della contestazione relativa alla regolare costituzione di una delle parti del rapporto processuale, non potendo la relativa verifica essere procrastinata ad libitum e comunque dopo che lo stesso processo si è avvalso del contributo della parte della cui legittimazione processuale si dubita, sicché la questione non poteva essere posta per la prima volta con l’atto di appello, né la Corte avrebbe dovuto scrutinarla nel merito, così come non è onere del sostituto processuale sovrintendere alla (o verificare la correttezza della) verbalizzazione della propria posizione dal momento che il verbale di udienza, diversamente dagli altri verbali che devono essere sottoscritti anche dalle persone intervenute (art. 137 cod. proc. pen.), deve essere sottoscritto esclusivamente dall’ausiliario ed essere vistato dal presidente (art. 483 cod. proc. pen.) fermo restando che è il giudice colui che deve controllare la regolare costituzione delle parti (art. 484 cod. proc. pen.).

Da quanto sin qui esposto se ne faceva conseguire come la Corte di appello non avrebbe potuto revocare le statuizioni civilistiche per le ragioni formali dalla stessa indicate ma avrebbe dovuto, al contrario, pronunciarsi nel merito della domanda siccome impermeabile alla sopravvenuta estinzione dei reati per prescrizione.

La sentenza impugnata, di conseguenza, veniva annullata con rinvio al giudice competente per valore in grado di appello.

>>Sull’argomento, vedasi anche: Sull’ammissibilità della delega orale per la nomina del sostituto processuale di: Di Mariano Sergio, Avv., diritto.it, 5 novembre 2018

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi postulato che anche il difensore della parte civile può farsi sostituire con delega orale.

Difatti, in tale pronuncia, una volta fattosi presente che la designazione del sostituto processuale deve essere effettuata nelle forme stabilite dall’art. 96, comma 2, cod. proc. pen. (art. 34, disp. att. c.p.p.) e, dunque, anche con dichiarazione verbalmente resa all’autorità procedente dallo stesso sostituto non necessariamente mediante la consegna della designazione scritta redatta dal sostituito, si afferma espressamente che per il sostituto del difensore della parte civile non vigono regole diverse e speciali ostandovi a ciò la collocazione sistematica dell’art. 102 cod. proc. pen..

La Cassazione, in particolare, perviene a siffatta conclusione alla luce di considerazioni tratte da precedenti pronunce emesse sempre in sede di legittimità ordinaria in subiecta materia e, tra queste, degne di rilievo tra quelle richiamate nella decisione qui in commento, ad avviso di scrive, rilevano soprattutto le seguenti: 1) una interpretazione del menzionato art. 96, comma 2, cod. proc. pen. (…) ispirata ad un principio di favore per l’esplicazione del diritto di difesa, escludendo il bisogno di autenticazione ovvero riconoscendo valida la nomina stessa, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dalla menzionata disposizione, in presenza di elementi inequivoci dai quali la designazione potesse tacitamente desumersi; 2) risulta più idonea ad assicurare una migliore difesa tecnica la possibilità di ammettere un delegato del difensore titolare, anziché procedere alla nomina di un difensore di ufficio ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen., o procedere in assenza del sostituto del difensore della persona offesa atteso che il difensore delegato si può presumere, o comunque non escludersi, che sia stato investito dal delegante della conoscenza della causa, che il difensore di ufficio, nominato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen. certamente non ha nella ipotesi, invero frequente, in cui non eserciti la facoltà di chiedere un termine a difesa.

Tale provvedimento, quindi, non può non condividersi dal momento che il diritto di difesa, riconosciuto anche alla parte civile, non deve essere leso, privando questa parte, seppur eventuale, di tale fondamentale diritto (atteso che l’art. 24, co. 2, Cost. definisce la difesa quale diritto inviolabile tout court senza limitarlo alla sola posizione dell’imputato) in una udienza solo perché il suo difensore non si è fatto sostituire con delega scritta.

A fronte di quanto sin qui esposto, non può però sottacersi come nella pronuncia in commento si fa riferimento anche a quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, nel caso in cui il difensore della parte civile designa un suo sostituto ex art. 102 cod. proc. pen., è onere del controinteressato dedurre la carenza di investitura formale onde consentire al sostituto di produrre il documento dal quale deriva la sua legittimazione processuale giacché la nullità generale a regime intermedio ex artt. 178, comma primo lett. c) e 180 cod. proc. pen. si configura soltanto nell’ipotesi di mancato rilascio e non anche di mancata esibizione di una delega scritta.

Orbene, a parere di chi scrive, l’impossibilità di produrre tale documento, nel momento in cui tale eccezione viene formulata, non può di per sé comportare l’estromissione del sostituto nell’udienza in cui questa eccezione viene fatta, ben potendo esserci indici sintomatici da cui inferire che il difensore della parte civile abbia voluto farsi sostituire quale può essere il caso in cui la nomina stessa, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dalla menzionata disposizione, presenti elementi inequivoci dai quali la designazione potesse tacitamente desumersi o l’ipotesi in cui la nomina sia eseguita in forme tali da non consentire dubbi o incertezze sull’individuazione della persona incaricata dell’ufficio e sul procedimento per il quale la nomina venisse disposta o ancora, ad avviso di chi scrive, da comportamenti concludenti del difensore da cui inferire che costui si voleva far sostituire da quell’avvocato, seppur a mezzo di delega orale (esempio: la sostituzione era già avvenuta in precedenti udienze, sebbene sempre per delega orale).

Del resto, “spacciarsi” per sostituto, quando non lo si è, non rappresenta una mera leggerezza in cui può incorrere un avvocato in quanto, come recita una delle sentenze citate nella decisione qui in commento, una condotta di tal genere, integrando una dichiarazione mendace, è foriera di responsabilità deontologiche, penali e civili e ciò dovrebbe già di per sé escludere in nuce che ciò possa avvenire.

Sarebbe comunque auspicabile un intervento del legislatore che chiarisca tale problematica processuale al fine di evitare che una parte civile sia privata del proprio difensore, seppur nell’ambito di una sola udienza, solo perché si è fatto delegare oralmente, e non per iscritto.

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