Il difetto di giurisdizione: il recente dictum delle Sezioni Unite

Redazione 29/09/20
La necessità o, anche solo, l’utilità di avere due giudici per controversie di tipo civile e amministrativo è da tempo oggetto di discussione.

La separazione delle giurisdizioni affonda le sue radici nella dicotomia tra diritto soggettivo ed interesse legittimo.

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I limiti dell’interesse legittimo

L’indagine sulla distribuzione della competenza tra giudice ordinario e giudice amministrativo non può che appuntarsi sul versante sostanziale, secondo cui: il diritto soggettivo non può essere compresso e trasformato in interesse legittimo, per questo si ritiene che il diritto soggettivo possieda una tutela piena ed incondizionata, perciò l’ordinamento non ammette degradazioni in nome di un interesse diverso, nemmeno se si tratti di interesse pubblico. All’opposto, nel caso dell’interesse legittimo la tutela risulta relativa e condizionata, poiché quest’ultimo può essere sacrificato.
Ciò implica che ogni qualvolta il privato sia titolare di una situazione soggettiva di cui l’ordinamento ammetta la compressione o l’incisione per motivi legati alla tutela di un interesse pubblico ritenuto superiore, quella situazione, in relazione a quel determinato potere amministrativo, attribuito per la cura dell’interesse pubblico, debba senz’altro qualificarsi come interesse legittimo.
La qualificazione in questi casi in termini di diritto soggettivo risulta una sorta di “truffa delle etichette”, poiché il modello di tutela offerto è quello tipico dell’interesse legittimo.

L’interesse legittimo deve, dunque, essere inteso come una posizione di vantaggio riservata ad un soggetto, in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene.

Si approfondisca con:” Discrezionalità amministrativa e riparto di giurisdizione”

Il riparto di giurisdizione

La suddetta classificazione risulta fondamentale per comprendere appieno il tema del riparto di giurisdizione tra quella ordinaria e speciale.

La prima sentenza che ha inteso avvicinare l’interesse legittimo al diritto soggetto è la Sezione Unite n. 500/99 che, in tema di responsabilità extracontrattuale, ha esteso l’ambito di tutela del giudice ordinario anche nei riguardi di un interesse legittimo.

Decisiva fu, poi, la Corte Costituzionale che con la storica pronuncia n. 204 del 2004 ha statuito in modo netto come l’essenza della giurisdizione amministrativa non riguardi né l’aspetto soggettivo, cioè la circostanza che la parte in causa sia l’ente pubblico, né l’aspetto teleologico della sua azione, cioè la situazione che il rapporto giuridico sia preordinato al soddisfacimento di un interesse pubblico, bensì l’esistenza in capo all’ente del potere, quand’anche esercitato con strumenti consensuali.
Infine, è con il nuovo Codice sul processo amministrativo che agli artt. 7 e 133 si legge rispettivamente: “sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questioni di interessi legittimi e nelle particolari materie indicate dalla legge di diritti soggettivi”; art. 133 lettera p):“sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materie relative all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati”.

Le disposizioni, nel codificare per la prima volta il fondamento ed i limiti della giurisdizione amministrativa, rappresentano il punto di arrivo di un lungo travagliato percorso.

La giurisdizione deve, dunque, essere determinata sulla base della domanda e, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto bensì della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (v. Cass., Sez. Un., 5/7/2013, n. 16883; Cass., Sez. Un., 11/10/2011, n. 20902; Cass., Sez. Un., 25/6./010 n. 15323. E, da ultimo, Cass., Sez. Un., 7/4/2015, n. 6916; Cass., Sez. Un., 25/2/2016, n. 3732).

Come la Costituzione recepisce il difetto di competenza

La Carta Costituzionale recepisce integralmente il sistema del riparto di giurisdizione venutosi a delineare nell’interpretazione del combinato disposto dell’art. 2 all. E con l’art. 26 T.U. della legge del Consiglio di Stato.

La scelta costituzionale emerge già nell’art. 24 co 1 secondo cui: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”. A ciò si aggiungono le norme sulla giurisdizione, cioè l’art. 103 co.1 e l’art. 113.
L’art. 103 co 1 stabilisce che “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche di diritti soggettivi”.
L’art. 113 Cost prevede: “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”.

La precisazione delle Sezioni Unite civile sul difetto di giurisdizione

Le Sezioni Unite sono tornate a precisare il perimetro della giurisdizione esclusiva del G.A., statuendo che non è sufficiente la mera attinenza della controversia ad una delle materie di cui all’art. 133 c.p.a, occorre che la controversia abbia ad oggetto la valutazione della legittimità di un provvedimento amministrativo, espressione di poteri pubblici.

Occorre pertanto impiegare il principio del petitum sostanziale: “il quale deve essere identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronunzia che si chiede al giudice quanto bensì in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati

La Suprema Corte ha così stabilito il seguente principio di diritto: “Anche nelle ipotesi in cui risulta in particolari materie normativamente attribuite al giudice amministrativo, la giurisdizione deve ritenersi non estesa ad “ogni controversia”in qualche modo concernente la materia devoluta alla relativa giurisdizione esclusiva, non essendo sufficiente il dato della mera attinenza ad essa della controversia, ma soltanto alle controversie che abbiano in concreto ad oggetto la valutazione di legittimità di provvedimenti amministrativi, espressione di pubblici poteri“.

Controversie su settori riguardanti la Corte Europea

Le Sez. U. hanno rivolto alla Corte di giustizia il seguente quesito su questione pregiudiziale:

– Se gli artt. 4, par. 3, 19, par. 1, TUE e 267 TFUE, letti anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ostino alla interpretazione e applicazione degli artt. 111, ottavo comma, Cost., 360, primo comma, n. 1 e 362 primo comma c.p.c. e 110 c.p.a., quale si evince dalla prassi giurisprudenziale nazionale, secondo la quale il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per “motivi inerenti alla giurisdizione”, sotto il profilo del cd. “difetto di potere giurisdizionale”, non sia proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l’applicazione del diritto dell’Unione, omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in assenza delle condizioni, di stretta interpretazione, da essa tassativamente indicate ( partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81) che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell’Unione le normative o prassi nazionali, seppure di fonte legislativa o costituzionale, che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l’effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di giustizia nella corretta e vincolante interpretazione del diritto comunitario, di rendere irrimediabile (e favorire il consolidamento del) l’eventuale contrasto interpretativo tra il diritto applicato dal giudice nazionale e il diritto dell’Unione e di pregiudicare la uniforme applicazione e la effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’Unione.

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Le Sez. U. hanno rivolto alla Corte di giustizia il seguente quesito su questione pregiudiziale:

– Se gli artt. 4, par. 3, 19, par. 1, TUE e 267 TFUE, letti anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ostino alla interpretazione e applicazione degli artt. 111, ottavo comma, Cost., 360, primo comma, n. 1 e 362 primo comma c.p.c. e 110 c.p.a., quale si evince dalla prassi giurisprudenziale nazionale, secondo la quale il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per “motivi inerenti alla giurisdizione”, sotto il profilo del cd. “difetto di potere giurisdizionale”, non sia proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l’applicazione del diritto dell’Unione, omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in assenza delle condizioni, di stretta interpretazione, da essa tassativamente indicate ( partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81) che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell’Unione le normative o prassi nazionali, seppure di fonte legislativa o costituzionale, che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l’effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di giustizia nella corretta e vincolante interpretazione del diritto comunitario, di rendere irrimediabile (e favorire il consolidamento del) l’eventuale contrasto interpretativo tra il diritto applicato dal giudice nazionale e il diritto dell’Unione e di pregiudicare la uniforme applicazione e la effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’Unione.

 

Sentenza collegata

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