Corte di Cassazione civile, Ordinanza n. 16892 del 2019
Fatto
Nella Ordinanza in commento la Cassazione ha affrontato una richiesta risarcitoria proveniente dai genitori di una bambina nata nel 2004 con una malformazione dell’ arto superiore sinistro, dovuta alla mancata rilevazione della malformazione del feto negli esami ecografici cui si era sottoposta la madre durante la gravidanza.
In ragione di ciò, i genitori della bimba avevano agito in primo grado nei confronti del medico, dove la madre aveva svolto gli esami ecografici di cui sopra, e della struttura sanitaria, dove detti esami erano stati nuovamente effettuati.
In particolare, gli attori avevano chiesto il risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza della nascita indesiderata, ma il tribunale di primo grado e la corte di appello successivamente avevano respinto detta domanda.
Per tale ragione, gli attori hanno promosso ricorso in Cassazione facendo valere l’erroneità della sentenza della Corte di appello perché aveva preso posizione soltanto su una delle domande formulate dagli attori, cioè quella del risarcimento per la nascita indesiderata dovuta all’errore di mancata informazione ai genitori circa la malformazione fetale, ma non aveva preso posizione sull’altra domanda, cioè quella del risarcimento dei danni dovuti alla mancata corretta esecuzione della prestazione (dovuta alla mancata corretta diagnosi della malformazione) e al conseguente danno biologico patrimoniale e extra patrimoniale subito dagli attori e al danno psicologico e di lesione della vita di relazione in quanto genitori di una figlia malformata (cui non erano preparati).
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La decisione del Garante
La corte di Cassazione ha accolto il motivo di doglianza formulato dagli attori, cassando la sentenza impugnata e rinviando la questione alla corte territoriale competente affinché decida nuovamente la causa tenendo in considerazione anche la ulteriore domanda formulata dagli attori.
In primo luogo, i giudici della suprema corte hanno ricordato che il fondamento di ogni trattamento sanitario, che rendo lo stesso legittimo, è proprio la prestazione di un consenso informato da parte del soggetto che subisce il trattamento. Senza la acquisizione di detto consenso, infatti, qualsiasi trattamento sanitario è illegittimo (fatti salvi i casi in cui il trattamento è imposto per legge o sussista uno stato di necessità). In mancanza di consenso, inoltre, il trattamento sanitario è illegittimo anche quando è fatto nell’interesse del paziente.
Ciò detto, la Corte Suprema ha ricordato che è dovere del sanitario acquisire il consenso informato del paziente e che lo stesso ha ad oggetto la informazione circa le possibili conseguenze prevedibili rispetto al trattamento sanitario che viene effettuato sul paziente, in modo che quest’ ultimo possa decidere con piena consapevolezza se dare seguito al trattamento sanitario oppure se rifiutarlo.
In altri termini, secondo la Cassazione, il sanitario, prima di effettuare l’ intervento che ritiene più idoneo secondo le buone pratiche del settore medico di riferimento, deve necessariamente dare conto al paziente della natura dell’intervento, dei probabili risultati che possono essere raggiunti con l’ intervento e delle possibili conseguenze negative che si possono verificare.
Sulla base di tali presupposti, il Supremo Collegio ha confermato il proprio precedente orientamento secondo cui l’acquisizione, da parte del sanitario, del consenso informato del paziente relativamente al trattamento sanitario sostanzia una obbligazione diversa e distinta rispetto alla obbligazione di eseguire la prestazione oggetto del trattamento sanitario acconsentito dal paziente. In ragione di tale distinzione ed autonomia, anche la responsabilità del sanitario è duplice: da un lato la responsabilità per la mancata prestazione del consenso informato da parte del cliente e dall’ altro lato la responsabilità per la non corretta esecuzione del trattamento sanitario.
Secondo gli Ermellini, tale ricostruzione giuridica dipende dal fatto che gli obblighi di cui sopra sono la conseguenza di due diritti distinti del paziente:
- l’ obbligo del sanitario ad acquisire il consenso informato del paziente, deriva dal diritto di quest’ ultimo alla libera e consapevole autodeterminazione nella decisione se eseguire o non eseguire il trattamento sanitario che viene suggerito dal medico;
- l’ obbligo del medico di eseguire correttamente il trattamento sanitario, invece, deriva dal diritto fondamentale del paziente alla tutela della sua salute.
In considerazione di tutto ciò, la mancata acquisizione del consenso informato del paziente da parte del medico costituisce una violazione di un obbligo distinto rispetto a quello a eseguire correttamente la prestazione oggetto del trattamento sanitario e conseguentemente fa sorgere un danno (per la lesione del diritto di autodeterminazione del paziente) che deve essere ulteriormente ed autonomamente risarcibile rispetto a quello derivante dalla non corretta esecuzione della prestazione medica (che, invece, lede il diritto alla integrità psicofisica del paziente).
Leggi l’articolo:”Consenso informato: profili evolutivi e rapporto medico-paziente”
Sulla base di tali presupposti, il Supremo Collegio ha accertato che, nel caso oggetto di esame, i ricorrenti avessero chiesto al giudice di merito sia il risarcimento dei danni derivanti dalla nascita indesiderata della figlia (e quindi connessi alla omessa diagnosi da parte del medico e della struttura sanitaria circa la malformazione), sia di quelli derivanti dalla mancata informazione della patologia di cui era affetto il feto (e quindi connessi alla mancata acquisizione di un vero consenso informato, cioè effettivamente preceduto da tutte le informazioni dovute al paziente – quali quelle sulle possibili conseguenze – in ordine al trattamento sanitario eseguito).
Ciò nonostante, sia il giudice di primo grado che il giudice di secondo grado, hanno statuito soltanto sulla domanda connessa ai danni derivanti dalla mancata interruzione della gravidanza, e hanno ritenuto di rigettarla in considerazione: da un lato, del fatto che non era stato provato che la madre avrebbe interrotto la gravidanza qualora – a seguito degli esami ecografici fatti durante la gravidanza e in cui c’ è stata l’ omessa diagnosi – avesse avuto contezza della malformazione del feto; dall’altro lato, del fatto che gli attori si erano limitati soltanto ad affermare che la non corretta informazione faceva sorgere di per sé il diritto al risarcimento danni a loro favore.
Secondo gli Ermellini, quindi, i giudici del merito si sono limitati a prendere posizione soltanto sulla violazione del diritto degli attori ad essere informati della malformazione per decidere se interrompere o meno la gravidanza, che – come detto – sostanzia un diritto diverso rispetto da quello alla corretta esecuzione della prestazione medica e che pertanto sarebbe dovuta anch’ essa essere esaminata dai giudici di merito per verificare la lesione del correlato diritto alla salute degli attori.
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