- Questioni di legittimità
- Considerazioni della Corte Costituzionale
- Quadro normativo vigente
- Riconoscimento dello status filiationis nell’assetto normativo vigente
- Principio di ordine pubblico
- Aspetti psicologici
- Conclusioni
Premessa
Di recente la Corte Costituzionale, mediante le sentenze n. 32 e 33 del 2021, si è trovata a dover decidere su una questione giuridica spinosa e ancora controversa che riguarda la possibilità o meno di riconoscere pienamente lo status filiationis del minore, nato all’estero per mezzo di tecniche di procreazione medicalmente assistita e all’interno di una coppia omosessuale, nei confronti del genitore biologico e del genitore intenzionale.
In entrambe le sentenze, a fronte della mancanza di disposizioni specifiche in materia, i giudici della Corte Costituzionale hanno preferito non prendere posizione, limitandosi, dapprima, a dichiarare l’inammissibilità delle questioni di legittimità, per poi invitare formalmente il legislatore a definire una regolamentazione puntuale.
1. Questioni di legittimità
Con la sentenza n. 32 del 2021, la Corte Costituzionale ha posto la propria attenzione sulle questioni di legittimità sollevate dal Tribunale ordinario di Padova con riferimento agli artt. 8 e 9 della L. n. 40 del 2004 e 250 c.c.
La loro interpretazione sistematica, infatti, non permette al nato, nell’ambito di un progetto condiviso di procreazione medicalmente assistita (nella specie di tipo eterologa), effettuata da una coppia dello stesso sesso (femminile), l’attribuzione dello status filiationis anche nei confronti della madre d’intenzione che, nonostante avesse acconsentito a procedere a detta tecnica di procreazione, non otteneva il consenso all’adozione da parte del genitore biologico, a seguito di sopraggiunta crisi.
Si ravvisa, così, un contrasto in rapporto alle diverse disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 30 e 117, comma 1 della nostra Costituzione; agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione di New York del 1989; oltre che agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
Nella sentenza n. 33 del 2021, invece, il giudizio di legittimità Costituzionale trova fondamento sulle questioni sollevate dalla Corte di Cassazione, sezione prima civile con riguardo all’art. 64, comma 1, lett.g), L. 218 del 1995 e all’art. 18 del D.P.R. n. 396 del 2000, che prevedono, in caso di contrasto con l’ordine pubblico, rispettivamente il divieto di riconoscimento delle sentenze di uno stato estero e il divieto di trascrizione, all’interno dei registri di stato civile italiani, degli atti stranieri; nonché all’art. 12, comma 6, L. n. 40 del 2004 che dispone sanzioni penali nei confronti di coloro che, “in qualsiasi forma, realizzano, organizzano o pubblicizzano la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”.
Il quadro normativo richiamato confligge, pertanto, con le diverse disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, comma 1 della nostra Costituzione, agli artt. da 2, 3, 7, 8 e 9 della Convenzione di New York del 1989, oltre che all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE).
Nell’ordinanza di rimessione del 29 aprile 2020, si asserisce che l’interpretazione combinata di tali disposizioni non legittimano il riconoscimento del provvedimento straniero che attesti la filiazione con il genitore d’intenzione del nato all’estero attraverso l’ausilio della maternità surrogata compiuta, nella specie, da una coppia dello stesso sesso maschile.
Nella fattispecie, le autorità canadesi avevano menzionato, nell’atto di nascita del minore, quale unico genitore solo quello biologico. A fronte di tale omissione, la coppia proponeva ricorso alla Corte Suprema della British Columbia che, accogliendolo, dichiarava la genitorialità anche del padre di intenzione. Nonostante quanto stabilito da tale provvedimento, alla coppia veniva, però, rifiutata dall’ufficiale di stato civile italiano la rettifica dell’atto di nascita del bambino, poiché in contrasto con l’ordine pubblico.
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2. Considerazioni della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale è consapevole già da tempo che il nostro ordinamento giuridico presenta una grave carenza normativa in ordine al riconoscimento di garanzie del minore, nato all’estero a seguito di fecondazione assistita all’interno di una famiglia omogenitoriale.
La mancanza di una puntuale disciplina, infatti, comporta la seria difficoltà di individuare strumenti idonei di tutela capaci di garantire al bambino, ai sensi degli artt. 30, 31 e 2, Cost., il diritto ad essere accudito da entrambi i componenti della coppia omosessuale.
La Corte Costituzionale, attraverso la sentenza n. 272 del 2017, ha attribuito rilevanza giuridica alla c.d. “genitorialità sociale” di colui che esercita la funzione genitoriale nei confronti di un minore sulla base di un rapporto esclusivamente affettivo e che prescinde dai legami di consanguineità, tipici della famiglia intesa in un’ottica tradizionale. In questa prospettiva si concretizza, nei confronti delle persone dello stesso sesso, la possibilità di formare una vera e propria famiglia degna di chiamarsi tale, in cui accogliere il piccolo nato all’estero mediante pratiche di procreazione medicalmente assistita. Ne consegue che la provenienza genetica non rappresenta la prerogativa principale e indispensabile per poterla costituire (principio dichiarato dalla stessa Corte Costituzionale con sentenza n. 162 del 2014, che ha introdotto, a favore della coppia eterosessuale, l’opportunità di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, nel caso in cui sia stato diagnosticato che questa sia affetta da sterilità o infertilità di tipo assoluto e irreversibile).
Il problema dell’affermazione dello status filiationis da riconoscere al bambino nei confronti di entrambi i genitori (biologico e intenzionale) porta con sé la questione, non meno importante, di preservare il suo interesse a mantenere il legame affettivo stabile anche con chi, effettivamente e giorno per giorno, svolge la funzione genitoriale.
Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 117, comma 1, Cost.; 8 e 14 CEDU; 2, 3, 7, 8, 9 e 18 Convenzione di New York 1989; art. 24 CDFUE, il nuovo nato, infatti, ha diritto ad avere una propria vita privata, radicata all’interno di una famiglia (anche se omogenitoriale), ad avere una propria identità, un nome, a conoscere i propri genitori che, di comune accordo, hanno deciso di concretizzare il loro progetto di vita insieme e soprattutto hanno compiuto la scelta consapevole di essere genitori e di assumersi la seria responsabilità di mantenere, istruire, educare e curare il proprio figlio.
Ai fini dell’assunzione della responsabilità genitoriale, infatti, non è rilevante il contributo biologico al concepimento del bambino, ma ancor più importante è il consenso di entrambi i componenti della coppia a condividere e ad attuare il loro disegno familiare inclusivo della volontà di diventare genitori.
Tale assunto, del resto, è posto alla base della stessa L. 10 dicembre 2012, n. 219, in materia di riconoscimento dei figli naturali, che fonda la nozione di responsabilità genitoriale proprio sul consenso manifestato, con libertà, dai genitori nei confronti del figlio, a discapito della connotazione biologica del rapporto di parentela.
Il c.d. “Best interest of the child” è comprensivo certamente del diritto del fanciullo a mantenere la regolarità dei rapporti personali e i contatti diretti con entrambi i genitori e, quindi, del diritto a conservare i legami affettivi anche con la persona che, a prescindere dal suo orientamento sessuale e dalla presenza o meno del vincolo biologico, abbia concretizzato un rapporto stabile e continuativo con il minore, rivestendo il ruolo di genitore in modo responsabile oltre che in maniera costruttiva e funzionale alla crescita del bambino. Tale stabilità del rapporto genitoriale deve essere garantita anche nel caso in cui intervenga una crisi all’interno della coppia.
Il principio secondo cui, il singolo Stato, a prescindere dal tipo di strumento giuridico di cui intende avvalersi, deve rendere possibile il riconoscimento del rapporto di filiazione, qualora vi siano dati empirici da cui desumere che tale rapporto, tra minore e genitore intenzionale, si fonda su basi ben salde ed esplica i suoi effetti nella quotidianità della vita familiare è stato espresso dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con parere consultivo del 10 aprile 2019, ed è stato ben presto assimilato in svariate pronunce della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (ex multis: Corte EDU Sez. V, 16 lugio 2020 ,D. vs Francia; Corte EDU, sez. V, 26 giugno 2014, Mennesson contro Francia, paragrafo 96 e Labassee contro Francia pragrafo 75).
Ebbene, i giudici della Corte Costituzionale rilevano che il nostro ordinamento giuridico non consente, mediante l’ausilio delle disposizioni in vigore, un pieno riconoscimento dello stato di figlio, nemmeno attraverso una loro interpretazione costituzionalmente orientata.
Urge, pertanto, l’entrata in vigore di una legge che riesca a trovare un punto di equilibrio, secondo il criterio di proporzionalità, tra l’interesse del minore a far sì che venga accertato il legame di filiazione con il genitore d’intenzione e quello scaturente dall’obiettivo del nostro ordinamento di disincentivare pratiche di procreazione non ammesse. Tutto ciò ai fini di non concretizzare nella pratica una inaccettabile strumentalizzazione del minore volta a impedire il ricorso a tali tecniche procreative, vietate dal nostro ordinamento ma consentite all’estero.
3. Quadro normativo vigente
Le problematiche affrontate sono di estrema attualità e ormai da diversi anni continuano a manifestarsi senza riuscire a trovare una soluzione che possa vantare quella dignità Costituzionale tanto richiesta anche se passi avanti sono stati fatti, ma ancora non basta.
Una significativa apertura al riconoscimento giuridico delle unioni tra persone dello stesso sesso, così come per le convivenze di fatto, è avvenuta grazie all’entrata in vigore della Legge n. 76 del 2016 che prende coscienza del mutato quadro relazionale della nostra società e mira ad assimilare formalmente queste tipologie di legami al matrimonio.
Con specifico riferimento alle unioni civili, la legge in commento prevede una attenta regolamentazione per quanto concerne l’atto costitutivo ed i rapporti personali e patrimoniali reciproci della coppia e le relazioni intercorrenti tra questa e i terzi. Tuttavia, tale normativa è del tutto deficitaria in ordine alla regolamentazione dei rapporti di filiazione delle famiglie omogenitoriali, in quanto non più comprensiva, così come previsto dal testo originario, di apposita disciplina, meglio conosciuta con l’appellativo “stepchild adoption”, che permetteva ad uno dei componenti della coppia di adottare il figlio dell’altro.
Il quadro normativo italiano risulta alquanto ostativo con riguardo a una piena equiparazione dello status coniugale con quello scaturente dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, almeno per quanto concerne la mancata percorribilità, per la famiglia omogenitoriale, dell’adozione legittimante. Tale assunto trova fondamento nel combinato disposto di cui all’art. 6 della L. 184 del 1983, che permette solo alla famiglia tradizionale di procedere all’adozione , e di cui all’art. 1, comma 20, L. 76 del 2016 che, consentendo alle coppie unite civilmente di ricorrere all’applicazione analogica delle disposizioni normative che riguardano il matrimonio e i coniugi, fa salvo quanto disposto in materia di adozione dalla L. 184 del 1983, precludendo in concreto la possibilità di ricorrere all’adozione del figlio dell’altro “coniuge” ai sensi dell’art. 44, lett. b).
Questo vuoto normativo produce effetti pregiudizievoli non solo nei confronti delle famiglie omogenitoriali, in quanto non fornisce loro quella rispettabilità di pieno riconoscimento di tutti i rapporti giuridici in cui si esplica la loro vita di relazione, ma anche e soprattutto con riguardo alle persone più vulnerabili e fragili che vengono di fatto a fare parte di queste unioni: i figli nati mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita attuate all’estero e non praticabili in Italia.
È evidente, pertanto, l’inadeguatezza del nostro ordinamento a far fronte, in tempi rapidi e con una appropriata regolamentazione, alle nuove situazioni familiari emergenti allo stato attuale.
4. Riconoscimento dello status filiationis nell’assetto normativo vigente
Venendo ad esaminare nello specifico come, all’interno del nostro ordinamento deficitario di normativa ad hoc, si possa concretizzare tale riconoscimento dello status filiationis nella famiglia omogenitoriale, è possibile individuare alcune strade percorribili anche se ognuna presenta qualche problematicità con riguardo alla effettività della tutela stessa.
Innanzitutto, così come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 12193 del 2019 per la coppia omoaffettiva di sesso maschile ricorsa alla gestazione per altri, è possibile ricorrere per via analogica all’istituto dell’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), L. 184 del 1983, che necessita quale presupposto imprescindibile, ai sensi dell’art. 46, l’ottenimento del consenso del genitore biologico. Tuttavia, tale possibilità presenta aspetti critici che non consentono una adeguata tutela all’effettivo rapporto di filiazione che si instaura in concreto tra minore e genitore intenzionale.
Infatti, la circostanza estrema che potrebbe verificarsi e che potrebbe inficiare l’esito positivo della procedura di adozione è da ravvisarsi in un ipotetico caso di crisi della coppia omosessuale dalla quale potrebbe scaturire un negato consenso all’adozione stessa da parte del genitore biologico.
Inoltre, anche nell’eventualità in cui l’adozione in casi particolari andasse a buon fine, questa implica una serie di limitazioni, che non consentono una appropriata tutela degli interessi del minore, come la non attribuzione di genitorialità dell’adottante, la non costituzione di rapporti di parentela con i familiari dell’adottante e la non recisione dei rapporti con la famiglia originaria, escludendo altresì i reciproci diritti di successione che possono essere vantati tra l’adottante e l’adottato, stante il rinvio operato dall’art. 55 della legge sull’adozione agli artt. 300 e 304 c.c.
Tutto questo a dispetto di quanto previsto in via generale ai sensi dell’art. 74, comma 1, c.c. che, a seguito della modifica apportata dalla legge in materia di riconoscimento dei figli naturali (L. 10 dicembre 2012, n. 219), definisce la costituzione del vincolo di parentela anche per il figlio adottivo a prescindere dalla tipologia di adozione (legittimante o in casi particolari) a cui si è ricorsi.
Unica eccezione, capace di originare dubbi di costituzionalità in ordine al mantenimento di regolamentazioni differenti sulla base di diversi modelli genitoriali esistenti nel nostro ordinamento, è prevista nel caso di adozione di persone maggiorenni, in cui tale vincolo di parentela non sorge.
Gli effetti limitativi, scaturenti dall’assetto normativo appena delineato pongono i bambini nati con pratiche procreative, non ammesse in Italia ed effettuate all’estero, in una ingiustificabile condizione discriminatoria rispetto a tutti gli altri nati che può essere in parte equiparata alla categoria dei c.d. “figli incestuosi”, i quali per molto tempo hanno ricevuto una limitata tutela dei loro diritti. Inoltre, l’interpretazione estensiva dell’art. 44 della Legge n. 184 del 1983 attuata dalla giurisprudenza, stante il vuoto normativo del nostro ordinamento giuridico, potrebbe concretizzare nella prassi un ulteriore problema afferente al rischio di non omogeneità di applicazione del diritto sul tutto territorio nazionale.
Considerato che tale restrizione di garanzie deriva unicamente dall’orientamento sessuale di coloro che hanno condiviso il progetto procreativo, questa è totalmente irragionevole e confligge grandemente con i valori costituzionali su cui si fonda il nostro ordinamento giuridico che, ai sensi dell’art. 3, comma 2, Cost., deve farsi carico di abbattere gli ostacoli di tipo economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini in modo da consentire il pieno sviluppo della persona.
Tali affermazioni sono corroborate anche in forza dell’impegno, assunto dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, di adottare ogni provvedimento idoneo a tutelare effettivamente i diritti del minore, sempre nel rispetto del suo fondamentale interesse e in modo da scongiurare qualsiasi forma di discriminazione.
La concretezza della tutela dei diritti del minore nato all’estero da genitori omosessuali, attraverso il riconoscimento del proprio diritto alla bigenitorialità è possibile anche attraverso una interpretazione ampia e non restrittiva della nostra Costituzione. Infatti, la previsione di quanto disposto dall’art. 2 che, stabilendo il generico riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, sia nella sua individualità che in tutte le formazioni sociali in cui si esplica la sua personalità, mediante la sua combinata interpretazione con altre disposizioni costituzionali oltre che con le norme civili e penali del nostro ordinamento giuridico, acquisisce forma e contenuto in previsione del riconoscimento di diritti totalmente nuovi e che rispecchiano attuali esigenze di tutela della nostra società in continua evoluzione.
Tra queste formazioni sociali in continuo divenire rientra, certamente, la famiglia non più intesa in senso tradizionale quale “società naturale fondata sul matrimonio” tra uomo e donna, così come enunciato nell’art. 29 della nostra Costituzione, ma, al contrario, in senso ampio quale luogo in cui gli individui radicano legami attraverso schemi completamente nuovi, così come avviene nelle unioni civili ove si instaurano dei veri e propri rapporti di filiazione che necessitano di essere disciplinati mediante legislazioni chiare e precise in grado di fornire quella dignità sociale e giuridica che meritano.
I diritti inviolabili dell’uomo quindi non possono considerarsi solo quelli definiti esplicitamente dalla nostra Carta Costituzionale, ma al contrario devono essere comprensivi anche di tutti quei diritti e libertà fondamentali che devono essere riconosciuti (così come avvenuto nel corso degli anni con riguardo a diritto alla vita, alla privacy, al vivere in un ambiente salubre…) seppur implicitamente dal nostro ordinamento, poiché accompagnano la persona nelle sue relazioni umane sempre innovative e in divenire all’interno dell’odierna società caratterizzata, oggi più che mai, dal pluralismo e dalla multietnicità e in cui immancabilmente si manifestano pretese impellenti di tutela di nuovi bisogni e valori meritevoli di accoglimento.
5. Principio di ordine pubblico
A ben vedere, dalle due pronunce della Corte Costituzionale in commento, emerge in tutta evidenza che il vero oggetto della questione riguarda l’interpretazione del principio di “ordine pubblico” che ostacola il riconoscimento dello “status filiationis” scaturente da atti rilasciati dallo Stato di cittadinanza del minore, qualora il medesimo sia nato all’interno di una unione di persone dello stesso sesso e mediante il ricorso a pratiche di procreazione medicalmente assistita non ammesse nel nostro ordinamento.
Dal combinato disposto di cui agli artt. 64, 65 e 66 della L. 218 del 1995, infatti, le sentenze, i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone e quelli di volontaria giurisdizione non possono trovare riconoscimento e produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento, qualora siano contrari all’ordine pubblico; eventualità questa che, anche sulla base del divieto imposto dall’art. 18 del D.P.R. 396 del 2000, impedisce la trascrizione degli atti formati all’estero.
Ma cosa s’intende per ordine pubblico?
Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, la nozione di ordine pubblico deve annoverare tutto l’insieme di principi costituzionali e delle regole che, avendo carattere universale, sono necessarie alla tutela dei diritti fondamentali dell’essere umano (Cass. 19-07-2007n. 16017; Cass. 22.8.2013 n. 19405).
È bene porre in evidenza che allo stato attuale, il nostro ordinamento si incardina in un contesto più ampio in cui rilevano anche l’assetto normativo dell’Unione Europea e internazionale ed è quindi più appropriato parlare di “ordine pubblico internazionale”, comprendendo così il complesso di valori e di principi fondamentali appartenenti non soltanto all’ordinamento italiano, ma anche a quello europeo e internazionale (Cass. 22-2-2013, n. 4545; Cass. 30-09-2016, n. 19599/2016).
Questi valori e principi connotano l’ordinamento dal punto di vista etico giuridico in un particolare momento storico e, evolvendosi insieme alla società, sono in continuo mutamento in modo da consentire a tutti gli individui, che abitano la società stessa, di riconoscersi in essi. Di conseguenza, la loro peculiarità è da ricercare proprio nella indeterminatezza e nella relatività, caratteristiche che non permettono al legislatore di definirne il contenuto in modo preventivo, rigido e analitico.
Ne consegue che la limitazione dell’ordine pubblico nei confronti di una legge, di una sentenza e di un provvedimento stranieri, ai sensi degli artt. 16, 64 e 65 della L. 218 del 1995, non può applicarsi in modo automatico a discapito della compiuta tutela dei diritti fondamentali dell’essere umano. Al contrario, il blocco dell’ordine pubblico nell’accezione appena esposta deve operare solo a seguito di una ponderata e attenta valutazione dei diritti umani, che entrano in gioco nella risoluzione di questioni giuridiche complesse e che possono desumersi dalla nostra Costituzione e dalle leggi dell’ordinamento, oltre che dal diritto dell’Unione Europea, dalle Convenzioni sui diritti della persona e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ebbene, per quanto attiene il riconoscimento dello status filiationis del nato in una famiglia omogenitoriale, una considerazione è doverosa in ordine alla necessità di distinguere due aspetti che non possono considerarsi interdipendenti l’uno all’altro.
Infatti, ai sensi della L. 40 del 2004, il divieto di accedere alla pratica di fecondazione assistita per mezzo di surrogazione di maternità e la mancata possibilità, per la coppia omosessuale, di ricorrere alle tecniche di fecondazione eterologa, non fa venir meno, qualora questa si rivolga agli Stati esteri in cui sono ammesse tali pratiche procreative, l’esigenza di garantire concretamente al piccolo nato tutte quelle tutele che gli appartengono in quanto persona titolare di diritti soggettivi.
Si tratta, nel caso in esame, di dare riconoscimento giuridico ai soli effetti, meritevoli di tutela e prodotti da un atto ammesso da un ordinamento estero e non di riconoscere l’ammissibilità di pratiche procreative non contemplate nel nostro ordinamento.
In tal senso, verrebbero riconosciuti i cc.dd. “diritti quesiti” che sono volti a garantire non solo le aspettative dei soggetti coinvolti ma anche la certezza e l’uniformità del diritto in tutti quei rapporti giuridici che sono già in essere, in quanto originati in uno stato estero in conformità al proprio ordinamento.
È il caso di ricordare che, in alcuni Stati dell’Unione europea come la Francia e la Germania operano in tale direzione. Questi paesi, infatti, pur vietando alcuni metodi di fecondazione medicalmente assistita, offrono piena tutela al piccolo nato per mezzo di tali pratiche eseguite in Stati esteri in cui queste metodologie di fecondazione sono previste, poiché ammettono la trascrizione degli atti di nascita stranieri che vengono presentati dalla famiglia omogenitoriale.
Alcuni sforzi ermeneutici in questa prospettiva sono stati compiuti da alcuni Tribunali di merito (Cagliari sent. 1146 del 28 aprile del 2020 e Corte Appello di Roma decreto del 27 aprile 2020), che, nel mantenere stabilità e certezza alla condizione giuridica del nato, hanno tutelato lo status filiationis a prescindere dalla liceità o meno della tecnica procreativa prescelta dai genitori.
Ed effettivamente, ammettere la trascrizione dell’atto di nascita estero, seppur emesso a seguito di tecniche procreative che non trovano accoglimento nel nostro ordinamento, significa riconoscere di tale atto i soli effetti giuridici che sono certamente compatibili con l’ordine pubblico, in quanto concretizzano la piena tutela del minore in conformità al suo superiore interesse.
Tali garanzie possono attuarsi in concreto solo qualora sia agevolmente trascritto nei registri di stato civile l’atto di nascita originato in uno Stato estero, in conformità alle proprie leggi, in modo da riconoscere, così, quanto da questo attestato: la qualità di figlio nei confronti di entrambi i genitori (biologico e intenzionale). Anzi, proprio la possibilità di trascrivere l’atto di nascita straniero rafforza il diritto all’identità del minore che potrà conoscere effettivamente le proprie origini.
Tutto questo nell’ottica del prevalente interesse del minore che, così come delineato dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’uomo, bisogna tenere prioritariamente in considerazione quando ci si accinge a compiere valutazioni, volte a garantire il suo diritto a ricevere la dovuta protezione e le necessarie cure e che mirano alla affermazione e alla tutela dei diritti alla vita privata e familiare del bambino, in un contesto che favorisca e mantenga il suo benessere psicofisico.
6. Aspetti psicologici
A tutti coloro che credono fermamente nella dannosità di vivere in una famiglia omogenitoriale: sappiate che è solo un pregiudizio!
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 601 del 2013, la quale ha fermamente escluso che il bambino, nato, cresciuto ed educato in un contesto familiare incentrato su una coppia omosessuale, possa essere destinatario di un qualsiasi tipo di danno che possa mettere in pericolo il suo diritto a condurre un equilibrato e sano percorso di vita.
Eventuali ripercussioni negative che possano manifestarsi sul piano educativo, affettivo e comportamentale del minore, che viene accudito da due madri o da due padri, devono essere dimostrate non solo mediante dati di esperienza, ma anche sulla base di certezze scientifiche.
In caso contrario, verrebbe a realizzarsi una ingiustificata discriminazione ed una infondata stigmatizzazione basate unicamente sull’orientamento sessuale della coppia e su credenze popolari connotate da mera arretratezza culturale.
Diversi studi scientifici[1], anche di tipo internazionale, hanno dimostrato che la piccola persona accolta nel progetto di vita di una coppia omosessuale non sviluppa alterazioni che possano inficiare il suo benessere psicofisico, durante tutto il suo percorso di crescita sia a livello cognitivo che emotivo, oltre che a livello relazionale. Al riguardo, è stato evidenziato che eventuali effetti dannosi alla serenità del fanciullo possono derivare da una ipotetica incapacità della coppia ad assumere il ruolo di genitore con responsabilità e non scaturirebbero dal mero orientamento sessuale della medesima.
L’omosessualità e l’eterosessualità, infatti, non sono determinanti e non si pongono in alcun rapporto consequenziale con le eventuali abilità genitoriali capaci di assicurare il migliore accudimento possibile per i propri figli. Ne consegue che i diversi percorsi che inducono ad assumere il ruolo di genitore (tecniche di procreazione assistita e adozione) dovrebbero dare maggior valore, non tanto all’orientamento sessuale delle future mamme o e dei futuri papà, ma alla scelta della coppia di diventare genitori che deve essere effettuata con consapevolezza, responsabilità e competenza, nell’assoluta coscienza che il figlio di cui si prenderanno cura è persona altra rispetto alla loro individualità.
7. Conclusioni
In conclusione, è necessario agire e agire in fretta con la consapevolezza che la società per sua natura si evolve e con lei progrediscono le relazioni umane che sempre più ricercano e trovano nuovi modi di espressione, consentendo ad ognuno di manifestare, in piena libertà e nel rispetto reciproco, la propria personalità.
E’ auspicabile, in un imminente futuro, l’entrata in vigore di una legge apposita che ponga definitivamente una puntuale regolamentazione del rapporto del minore con il c.d. “genitore di intenzione” nell’ambito della famiglia omogenitoriale, e che riesca a trovare un ragionevole bilanciamento tra i diritti fondamentali coinvolti sempre nel rispetto della dignità e del valore della persona umana, così da scongiurare eventuali incertezze di diritto dettate dall’assenza di una precisa normativa che potrebbe concretizzare nella prassi pregiudizi del tutto inaccettabili.
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Leggi anche:
- I diritti che spettano ai padri in una coppia di fatto
- Il principio della bigenitorialità
- Maternità surrogata: riconoscimento di figli di coppie omosessuali in italia
Note
[1] Perrin EC, Siegel BS; Committee on Psychosocial Aspects of Child and Family Health of the American Academy of Pediatrics. Promoting the well-being of children whose parents are gay or lesbian. Pediatrics. 2013 Apr;131(4):e1374-83. doi: 10.1542/peds.2013-0377. Epub 2013 Mar 20. PMID: 23519940.
Fond G, Franc N, Purper-Ouakil D. Homoparentalité et développement de l’enfant : données actuelles [Homosexual parenthood and child development: present data]. Encephale. 2012 Feb;38(1):10-5. French. doi: 10.1016/j.encep.2011.05.005. Epub 2011 Jul 5. PMID: 22381718.
Patterson CJ. Children of lesbian and gay parents: psychology, law, and policy. Am Psychol. 2009 Nov;64(8):727-36. doi: 10.1037/0003-066X.64.8.727. PMID: 19899878.
Kleber DJ, Howell RJ, Tibbits-Kleber AL. The impact of parental homosexuality in child custody cases: a review of the literature. Bull Am Acad Psychiatry Law. 1986;14(1):81-7. PMID: 3516265.
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