La terza Sezione della Cassazione Civile ha riconosciuto il diritto per il mediatore di esigere il pagamento della provvigione pattuita in suo favore anche se l’affare nel quale ha agito in veste di intermediario è stato definito con la sola stipula tra le parti del c.d. “preliminare di preliminare”. Nel caso in esame la ricorrente impugnava la sentenza della Corte d’Appello che, riformando la decisione di primo grado, ha ravvisato nella proposta di acquisto di un bene immobiliare l’idoneità a generare il vincolo obbligatorio da cui sarebbe scaturita l’avvenuta conclusione dell’affare ai sensi dell’art. 1755 c.c. Il promittente venditore respingeva l’approccio ermeneutico adottato dal giudice di merito, contestando la qualificazione dell’accordo innanzi menzionato e riconducendo gli esiti della trattativa a quelli propri di una mera puntuazione. In ogni caso, eccepiva il vizio di nullità dell’asserito preliminare del preliminare di vendita secondo i rilievi effettuati da alcune precedenti decisioni della Corte Suprema di Cassazione, tra cui veniva richiamata la sentenza n. 8038 del 2009.
Orbene, il Giudice di legittimità ha rilevato come la predetta impostazione finisca per contrastare con l’orientamento dettato da Cass., SS. UU., sentenza del 6 marzo 2015, n. 4628, in considerazione del quale la Corte d’Appello avrebbe effettuato l’apprezzamento dei fatti de quo. La citata pronuncia delle Sezioni Unite ha sostenuto, infatti, la legittimità del patto con il quale ci si obbliga a stipulare un altro accordo preliminare. A tale proposito, l’interprete deve accertare in concreto che le parti, volendo addivenire ad una formazione progressiva del contratto, abbiano manifestato l’intenzione di scandire la contrattazione preliminare in due fasi distinte giacché connotate dalla differenziazione nei contenuti. Il primo accordo preliminare deve ritenersi valido in quanto munito di una causa diversa e autonoma da quella del secondo contratto che, pure, assume e integra il vincolo negoziale precedente. L’interesse tutelato dal c.d. “preliminare del preliminare” non è quello di contrarre, bensì, quello di “contrattare” e, ciò, nell’ottica di garantire una compiuta espressione dell’autonomia privata tra le parti le quali sono tenute, nell’espletamento della fase precontrattuale, ad osservare il principio generale di buona fede. Ne deriva, così, l’integrazione di un vincolo riconducibile alla terza categoria di obbligazioni indicate all’art. 1173 c.c., ma, la cui prestazione non è suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. Per i suddetti motivi, il preliminare del preliminare si contraddistingue dalla minuta contrattuale (o puntuazione) che, invece, svolge una funzione ricognitiva delle intese raggiunte in un determinato stato delle trattative e dei punti fermi ai quali i paciscenti avranno la facoltà – e non l’obbligo – di aderire durante la conclusione del contratto definitivo.
La valutazione dell’accordo sottoscritto dalla ricorrente, essendo stata eseguita dalla Corte d’Appello nei termini dianzi indicati, rimane di competenza esclusiva del giudice di merito e, quindi, non è sindacabile in sede di legittimità. Rimane da definirsi la nozione di “affare” il cui momento conclusivo fa sorgere, nei confronti del mediatore, il diritto ex art. 1755 c.c. a ricevere l’importo relativo alla provvigione. La Suprema Corte si è pronunciata nel senso di ritenere l’affare alla stregua di una “qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno”. È, pertanto, desumibile che la proposta di acquisto di un immobile, nella ipotesi in cui si configura la fattispecie del preliminare di preliminare, è capace di assumere contenuti obbligatori per le parti integrando, dunque, la conclusione dell’affare che, se avvenuta mediante l’intervento del mediatore, legittima la richiesta di quest’ultimo al pagamento della provvigione stabilita. Si vedano, nel senso dell’obbligatorietà dell’accordo quale effetto connesso alla definizione dell’affare, le sentenze Cass., 19 ottobre 2007, n. 22000 e Cass., 30 novembre 2015, n. 24397.
Ciononostante, il Giudice di legittimità ha cassato la pronuncia di secondo grado per non avere tenuto conto dei vizi di nullità riguardanti alcune clausole vessatorie che sono state apposte al contratto di mediazione, ivi inclusa la pattuizione vertente sul compenso del mediatore. La rilevabilità d’ufficio delle nullità di protezione opera, nei predetti casi, unicamente a tutela dell’interesse serbato dal contraente debole e, secondo orientamento consolidato della giurisprudenza (cfr. Cass. SS.UU., sentenze nn. 26242 e 26243 del 2014), può procedersi a siffatto rilievo anche nel giudizio di cassazione.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento