Il “Codice del Consumo”: un’occasione mancata. Il diritto del consumatore, in Italia, è il frutto di una lunga opera iniziata a livello europeo negli anni 70’, il cui punto d’approdo è oggi costituito dal cd. “Codice del Consumo” (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206)1.
Giova innanzitutto soffermarsi sulla scelta del legislatore di definire “Codice” tale complesso normativo2. E’ chiaro che non siamo in presenza di un codice tradizionale, con caratteri di novità e con regole rivolte alla generalità dei consociati. Esso, infatti, da un lato, si limita a riorganizzare la quasi totalità delle norme in materia (pur lasciando fuori importanti settori riguardanti il consumatore, in primis il diritto delle assicurazioni e il diritto alimentare), prima sparse in una serie di testi che erano, per lo più, il recepimento di direttive comunitarie, dall’altro si rivolge esclusivamente ai rapporti fra professionisti e consumatori. Insomma, paradossalmente, tale codice è espressione proprio del processo di decodificazione, cioè della progressiva uscita dal tessuto del codice civile di interi settori della materia, che vengono così ad essere regolati in base a principi particolari e distinti da quelli generali del codice civile (cui, peraltro, l’art. 38 del “Codice del Consumo” rinvia ove manchi una disciplina specifica nel “Codice del Consumo” stesso). La novità del “Codice del Consumo” non è data, quindi, dalle norme, trattandosi della mera riproduzione di norme preesistenti, ma piuttosto dal contesto in cui tali norme vengono inserite, che consente di interpretarle in un quadro complessivo e in base a principi molto diversi, pur facendo salvo il richiamo al codice civile e alle altre leggi (come il d.lgs. 114/1998, “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio”), che potranno continuare ad essere applicate anche al consumatore quando manchi una disciplina specifica nel “Codice del Consumo” o, comunque, qualora assicurino al consumatore una maggiore tutela (artt. 38, 127, 135 e, in generale, nuovo art. 1469-bis c.c.)3.
Il problema delle definizioni. Peraltro, il legislatore non ha approfittato dell’occasione per rendere realmente uniforme il diritto del consumo in Italia. Così, alla lista di definizioni generali dell’art. 3, si aggiungono varie liste di definizioni valide per ciascuno dei “microsistemi” presenti all’interno del Codice. Basti pensare, ad esempio, alla definizione di consumatore: all’art. 3 a), egli è definito come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (in opposizione al professionista, che è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”, art. 3 c) ), mentre agli artt. 5 e 83 vi sono altre e diverse definizioni, che fanno pensare che vi siano… consumatori diversi a seconda del settore considerato4. Analogamente, se l’art. 3 e) definisce il “prodotto” come “qualsiasi prodotto destinato al consumatore, anche nel quadro di una prestazione di servizi, o suscettibile, in condizioni ragionevolmente prevedibili, di essere utilizzato dal consumatore, anche se non a lui destinato, fornito o reso disponibile a titolo oneroso o gratuito nell’ambito di un’attività commerciale, indipendentemente dal fatto che sia nuovo, usato o rimesso a nuovo”, all’art. 115.1 il “prodotto” d’improvviso diventa, semplicemente, “ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile”. Per non parlare, poi, dei vari… prodotti speciali, come il “prodotto sicuro”, definito dall’art. 103.1 come “qualsiasi prodotto, come definito all’articolo 3, comma 1, lettera e), che, in condizioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili, compresa la durata e, se del caso, la messa in servizio, l’installazione e la manutenzione, non presenti alcun rischio oppure presenti unicamente rischi minimi, compatibili con l’impiego del prodotto e considerati accettabili nell’osservanza di un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza delle persone”, o il “bene di consumo”, che è qualsiasi bene mobile, a patto che sia oggetto di una vendita stipulata fra un venditore-professionista e un acquirente-consumatore5.
Insomma, si è trattato di un intervento un po’ frettoloso, in cui ci si è limitati a “trasportare” di peso delle norme, con modifiche molto limitate, senza però cercare di amalgamarle in maniera organica, lasciando spazio a sviste, incoerenze e refusi6.
I principi. Nonostante ciò, è possibile individuare alcuni principi generali del “Codice del Consumo”7.
In primo luogo, l’art. 1 si richiama “ai principi contenuti nei trattati istitutivi delle Comunità europee, nel trattato dell’Unione europea, nella normativa comunitaria con particolare riguardo all’articolo 153 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, nonché nei trattati internazionali” (l’art. 153 del Trattato CEE è quello che garantisce “un elevato livello di protezione dei consumatori”).
Ma è l’art. 2.3 a fornire un vero e proprio elenco dei diritti del consumatore, che vengono ad assurgere, così, al ruolo di principi generali a cui si conforma l’intera disciplina: si tratta, fra gli altri, del diritto alla salute (lett. a) ), alla sicurezza dei prodotti (lett. b) ), all’informazione (lett. c) ), alla trasparenza, alla correttezza e all’equità nei rapporti contrattuali (lett. e), nonché art. 39).
Ed è proprio sul principio di informazione e di correttezza e su quello di equità che val la pena di soffermarsi, poiché sono quelli che meglio manifestano ciò che già il legislatore del 1942, con gli artt. 1341 e 1342 c.c., aveva intuito: il fatto, cioè, che la parità, e quindi la piena libertà, dei contraenti, è una pura utopia. Ecco che allora la disciplina del “Codice del Consumo” costituisce il definitivo ripudio di tale idea (di parità formale) e l’acquisizione della consapevolezza che, normalmente, il consumatore non può influire sul contenuto del contratto in condizioni, appunto, di parità con il professionista. E’ dunque necessaria una regolamentazione rispetto alla quale possa essere valutata l’adeguatezza delle informazioni fornite al consumatore, la correttezza del comportamento del professionista e l’equità di un rapporto commerciale, in modo che i soggetti possano trovarsi in una condizione di parità effettiva, il contratto sia effettivamente equilibrato8, e il consumatore possa effettuare la sua scelta in maniera consapevole (e a ciò sono rivolti gli obblighi di informazione e trasparenza9) e libera (e a ciò mira il divieto di pratiche commerciali scorretta)10.
Il diritto all’informazione e alla correttezza. Per quanto riguarda il diritto all’informazione, il “Codice del Consumo” stabilisce, in generale, un dovere di fornire al consumatore informazioni adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata e, in ogni caso, chiare e comprensibili (art. 5.3). Ma in più occasioni, in relazione a specifici contratti, il “Codice” precisa ulteriormente il contenuto di tale diritto: pensiamo, ad esempio, all’informativa sul recesso nei contratti stipulati fuori dai locali commerciali (artt. 47.1) e nei contratti a distanza (art. 52.1 f) ), all’informativa nei contratti relativi alla multiproprietà (art. 70.1) o, ancora, all’informativa sulla sicurezza dei prodotti (art. 104.2).
Sulla stessa linea, si colloca il divieto di pratiche commerciali scorrette, cioè contrarie alla diligenza professionale ed idonee a falsare in maniera apprezzabile il comportamento economico del consumatore (art. 20.2), precisando (art. 20.4) che sono scorrette le pratiche commerciali ingannevoli (cioè contenenti informazioni non rispondenti al vero, o comunque tali da indurre in errore il consumatore, art. 21.1) e aggressive (cioè idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta del consumatore, art. 24.1).
L’equità: le “clausole vessatorie”. Per quanto riguarda, poi, il concetto di “equità”, bisogna dire che con tale termine non si deve intendere l’equità del prezzo pattuito o pagato dal consumatore (art. 34.2): ad essere vietati non sono i contratti economicamente squilibrati dal punto di vista del prezzo pagato, appunto, dal consumatore. L’unico caso, infatti, in cui si parla di “importo manifestamente eccessivo” è l’art. 33.2 f), ma con riferimento non al prezzo della merce o del servizio, ma del risarcimento o della penale imposta al consumatore in caso di inadempimento11.
Con il termine “equità” ci si riferisce, piuttosto, ad un equilibrio normativo12: è iniquo, perciò, quel contratto in cui vi sono clausole (le ccdd. “clausole vessatorie”) che, “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” (art. 33.1).
Ecco che allora l’art. 33.2 fornisce un elenco (non tassativo13) di clausole che si presumono vessatorie, fino a prova contraria: si tratta di clausole che riducono gli strumenti di tutela e autotutela dei consumatori (fra cui le ccdd. “clausole probatorie”, quelle cioè che hanno per effetto di sancire a carico del consumatore limitazioni alla facoltà di allegare prove o inversioni dell’onere della prova, art. 33.2 t)14 ), che determinano un vantaggio eccessivo a favore del solo professionista e a carico del consumatore, attraverso condizioni potestative, e che creano una situazioni di potenziale sorpresa per il consumatore in relazione allo stesso contenuto del contratto15.
Vi sono però due casi in cui viene esclusa tout court la vessatorietà di una clausola: quando essa riproduca disposizioni di legge o di convenzioni internazionali (art. 34.3) e quando sia stata oggetto di trattativa individuale (art. 34.4), salvi alcuni casi, come quelli in cui si limitino le azioni del consumatore in caso di inadempimento del professionista o si preveda l’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto16, in cui nemmeno la trattativa individuale permette di escludere il carattere vessatorio (art. 36.2: sono le ccdd. “clausole vessatorio-abusive assolute”, mentre le altre sono dette “clausole vessatorio-abusive relative”17). Oltre a ciò, incombe sul professionista l’onere di provare che le clausole sono state oggetto di trattativa individuale nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli e formulari (art. 34.5)18.
E’ chiara la ratio della disciplina: a parte i casi di cui all’art. 36.2, infatti, se da una parte la previsione della vessatorietà ha lo scopo di tutelare la libertà del consumatore, che altrimenti sarebbe costretto ad accettare un contratto con condizioni per lui gravose, dall’altra, nel caso in cui vi sia stata una trattativa individuale, tale scopo viene meno, avendo potuto il consumatore influire sul contenuto del contratto19. Per la dimostrazione che la clausola è stata oggetto di trattativa individuale, non si potrà così semplicemente produrre una generica dichiarazione del consumatore secondo la quale il consenso è stato espresso dopo una trattativa, né tantomeno ci si potrà limitare alla dimostrazione che vi è stato un esame comune ed una discussione, a seguito della quale, però, le obiezioni espresse dal consumatore non sono state accolte. Piuttosto, si dovrà dimostrare che il consumatore ha effettivamente influenzato il contenuto della clausola e, in caso contrario, che il contenuto vessatorio della stessa è stato consapevolmente accettato in cambio di diversi vantaggi che lo bilancino20, in una valutazione globale del contenuto del contratto21.
I rimedi: inibitoria, “nullità di protezione” e tutela amministrativa. Gli artt. 36 e 37 prevedono poi dei rimedi contro queste clausole, che, secondo alcuni22, troverebbero fondamento nella figura dell’abuso del diritto (da cui l’altro aggettivo con cui le clausole in questione sono note, “abusive”): rispettivamente, un rimedio preventivo, l’inibitoria, che risponde anche ad un interesse collettivo al controllo sulla contrattazione standardizzata23, e un rimedio successivo, la cd. “nullità di protezione”.
Per quanto riguarda l’inibitoria, le associazioni dei consumatori, dei professionisti e le Camere di Commercio possono ricorrere al giudice, affinché questi inibisca, appunto, per il futuro, l’uso delle clausole giudicate vessatorie (art. 37.1). Il giudice potrà, altresì, ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più giornali, di cui almeno uno a diffusione nazionale (art. 37.3).
Per quanto riguarda la cd. “nullità di protezione”, la sua disciplina si caratterizza perché la nullità della clausola vessatoria non si estende al contratto, che rimane valido per il resto (art. 36.1). Per quanto riguarda la sua rilevabilità, non è necessaria un’istanza di parte, essendo essa rilevabile d’ufficio (art. 36.3)24.
Il recentissimo d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 ha introdotto poi, nel “Codice del Consumo”, il nuovo art. 37-bis, che predispone un particolare tipo di tutela amministrativa contro le clausole vessatorie. L’Autorità Garante per la Concorrenza e per il Mercato, infatti, d’ufficio o su denuncia dei consumatori, previo accordo con le associazioni di categoria, accerta il carattere vessatorio delle clausole (art. 37-bis.1), e il relativo provvedimento viene pubblicato sul sito web dell’Autorità, su quello dell’operatore economico che adotta la clausola e mediante ogni altro mezzo opportuno (art. 37-bis.2). E’ inoltre prevista la possibilità, per le imprese, di interpellare preventivamente l’Autorità per sapere se una certa clausola che intendono adottare abbia carattere vessatorio (art. 37-bis.3), nonché di ricorrere al giudice amministrativo contro i provvedimenti dell’Autorità adottati in applicazione dell’art. 37-bis.
La particolarità del provvedimento dell’Autorità consiste nel fatto che essa ha un carattere meramente dichiarativo e lo scopo di rendere noto ai potenziali consumatori il carattere vessatorio di una certa clausola contrattuale: essa non produce, invece, la nullità della clausola, conseguenza che potrà derivare soltanto dall’intervento del giudice ordinario25.
Consumatore e diritto dei contratti. Ora, già da quello che si è detto emerge la portata innovativa, se non del “Codice del Consumo” in sé (che, come si è detto, semplicemente raccoglie organicamente norme preesistenti), delle norme (preesistenti al “Codice del Consumo”) a tutela dei consumatori rispetto al codice civile. La distruzione del dogma della parità formale dei contraenti non può non avere un effetto “a cascata” sui singoli istituti del diritto contrattuale.
Ciò emerge già che si vadano ad esaminare, a titolo esemplificativo, alcune fra le sopra menzionate “clausole vessatorie”, in un rapido raffronto e coordinamento con la corrispondente disciplina del codice civile, da cui emerge un vero e proprio “restyling” di alcuni istituti tradizionali del diritto civile.
Pensiamo, ad esempio, alla clausola penale. L’art. 1384 c.c. prevede che il giudice possa ridurre la penale ritenuta eccessiva, in modo da ricondurla ad equità. L’art. 33.2 f), invece, prevede la nullità di protezione26, con un’evidente favor per il consumatore e un intento punitivo nei confronti del professionista.
Ma vi sono, in tutto il “Codice del Consumo”, numerosi istituti che innovano profondamente, alla luce dei principi di cui all’art. 2, il diritto dei contratti.
Pensiamo, ad esempio, al contratto di vendita. Alle fattispecie previste dal codice civile se ne aggiungono altre, caratterizzate dalla peculiarità delle modalità di conclusione del contratto (vendita fuori dai locali commerciali e a distanza), dall’oggetto dello stesso (multiproprietà) oppure dal soggetto che lo conclude (vendita di “beni di consumo”, in cui è, appunto, “bene di consumo” non un bene particolare, ma un bene mobile acquistato dal consumatore). Vediamo così di esaminarle brevemente.
La vendita fuori dai locali commerciali e a distanza: lo jus poenitendi. Per prima, affrontiamo la vendita fuori dai locali commerciali e quella a distanza.
La prima si caratterizza, appunto, per il luogo in cui il contratto viene perfezionato (fermo restando che la disciplina si applica, ex art. 45.2, “anche nel caso di proposte contrattuali sia vincolanti che non vincolanti effettuate dal consumatore in condizioni analoghe a quelle specificate nel comma 1, per le quali non sia ancora intervenuta l’accettazione del professionista”). Tale luogo può essere: il domicilio, il luogo di lavoro o i locali nei quali il consumatore si trovi per motivi di lavoro, studio o cura (art. 45.1 a) ), nel corso di un’escursione organizzata (lett. b) ), in area pubblica o aperta al pubblico (lett. c) ), per corrispondenza (lett. d) ). E’ evidente che, mentre il consumatore che si reca in un negozio è, per così dire, “psicologicamente preparato” alla conclusione di un acquisto, non così colui che riceve una proposta commerciale, per l’appunto, “fuori dai locali commerciali”: si tratta, cioè, di un tipo di vendita che, per gli stessi luoghi in cui si svolge, può facilmente cogliere il consumatore impreparato a ricevere una proposta commerciale27, accentuando, così, lo squilibrio fra consumatore e professionista e rendendo così necessaria una disciplina “riequilibratrice”.
La vendita a distanza, invece, si caratterizza per l’utilizzo di una o più tecniche di comunicazione a distanza (art. 50.1 a) ), cioè di mezzi che consentano la conclusione del contratto “senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore” (art. 50.1 b) )28. Anche in tal caso vi è una situazione particolarmente svantaggiosa per il consumatore, che non può esaminare la merce prima di procedere all’acquisto.
Ecco che allora il legislatore garantisce al consumatore lo jus poenitendi, predisponendo una disciplina particolare per il recesso, grazie alla quale il consumatore può, appunto, esaminare la merce e meditare “a freddo” sul contratto concluso29. Si tratta, chiaramente, di un utilizzo atecnico, e innovativo, del termine “recesso”: infatti, qualora si riferisca alla proposta, si tratta piuttosto di una revoca, mentre si tratta di un recesso vero e proprio nel caso di contratto già concluso30.
Il recesso va esercitato, senza penalità e senza necessità di specificare il motivo, nel termine di dieci giorni lavorativi (art. 64.1), termine che decorre, nei contratti stipulati fuori dai locali commerciali, dalla data di sottoscrizione della nota d’ordine (art. 65.1 a) ) o, in particolari casi, dalla data di ricevimento della merce (art. 65.1 b) ) e, nei contratti a distanza, per i beni, “dal giorno del loro ricevimento da parte del consumatore ove siano stati soddisfatti gli obblighi di informazione […] o dal giorno in cui questi ultimi siano stati soddisfatti” (art. 65.2 a) ) e, per i servizi, “dal giorno della conclusione del contratto o dal giorno in cui siano stati soddisfatti gli obblighi di informazione” (art. 65.2 b) ).
Per quanto riguarda le modalità dell’esercizio del diritto di recesso, “si esercita con l’invio […] di una comunicazione scritta alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”, oppure “mediante telegramma, telex, posta elettronica e fax, a condizione che sia confermata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le quarantotto ore successive”.
Si è discusso se tale forma sia necessaria ad substantiam o sia piuttosto necessaria a fini probatori, e quest’ultima è apparsa l’opzione preferibile. Così, si è ritenuta valida la comunicazione effettuata con mezzi diversi ma ugualmente sicuri, come il recapito a mano con apposizione di timbro e firma per ricevuta da parte dell’incaricato alla ricezione della corrispondenza, e addirittura si è ritenuta valida la comunicazione mancante di sottoscrizione, a patto che l’intenzione di scioglimento del vincolo appaia in modo inequivocabile31.
Una volta esercitato il diritto di recesso, il consumatore è tenuto a restituire il bene al professionista (art. 67.1). “la sostanziale integrità del bene da restituire è condizione essenziale per l’esercizio del diritto di recesso. E’ comunque sufficiente che il bene sia restituito in normale stato di conservazione, in quanto sia stato custodito ed eventualmente adoperato con l’uso della normale diligenza” (art. 67.2). Dunque, il rischio del danneggiamento del bene durante le attività di prova è posto a carico del consumatore32.
La multiproprietà. Il secondo istituto innovativo che andiamo ad esaminare è la multiproprietà. Il legislatore non usa espressamente tale termine, ma fa piuttosto riferimento ai “contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili”33, definendoli come “uno o più contratti della durata di almeno tre anni con i quali, verso pagamento di un prezzo globale, si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o trasferire, direttamente o indirettamente, un diritto reale ovvero un altro diritto avente ad oggetto il godimento di uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell’anno non inferiore ad una settimana” (art. 69.1 a) ).
Fra i requisiti del contratto, si stabilisce, in particolare, la forma scritta a pena di nullità (art. 71.1). Anche in tal caso, è prevista la possibilità di recesso ad nutum entro dieci giorni dalla conclusione del contratto (art. 73.1) o, in certi casi, entro tre mesi (art. 73.3), con le stesse modalità viste per la vendita al di fuori di locali commerciali e per la vendita a distanza.
E’ chiaro, dunque, che siamo in presenza di un contratto nuovo, quanto all’oggetto, rispetto ai tipi del codice civile. E si tratta pure di un nuovo modo di intendere la proprietà, in cui non vi è più una comproprietà “pro-quota”, in cui più soggetti sono comproprietari contemporaneamente dello stesso bene, “pro-quota”, appunto, ma una sorta di comproprietà “a tempo”, per cui più soggetti esercitano un diritto “uti domini” sullo stesso bene, ma in periodi diversi.
La vendita di beni di consumo34. Per quanto riguarda, infine, la vendita di beni di consumo, essa è finalizzata a tutelare il consumatore di fronte a beni che presentino difetti di conformità.
Il “Codice del consumo”, infatti, una volta previsto obbligo per il venditore di consegnare “beni conformi al contratto di vendita” (art. 129.1), cioè adatti per l’uso che normalmente si fa di beni di tal genere (cfr. art. 129.2), prevede una responsabilità del venditore “per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene” (art. 130.1) e che si manifesti entro due anni dall’acquisto (art. 132.1), mentre resta discusso in dottrina se la disciplina del cd. aliud pro alio resti regolata dal codice civile o rientri nel campo di applicabilità della disciplina del “Codice del Consumo”35. Anche in questo caso, comunque, abbiamo la nozione di consegna di un bene non conforme al contratto che costituisce un’innovazione rispetto alla disciplina dei vizi prevista dal codice civile.
E anche i rimedi per i vizi-difetti di conformità sono diversi. Più precisamente, mentre il codice civile non pone una “gerarchia” dei rimedi, lasciando sostanzialmente libero il compratore di chiedere il rimedio che ritenga a sé più favorevole (fermi restando, ovviamente, i limiti generali), il “Codice del Consumo” prevede invece che il consumatore debba, in primo luogo, chiedere la riparazione o la sostituzione del bene (art. 130.3), e solo nel caso in cui questi rimedi siano eccessivamente onerosi o non siano stati attuati dal venditore possa domandare la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto (art. 130.7).
Anche i termini sono differenti. Al termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta e di prescrizione di un anno dall’acquisto del bene imposti dal codice civile, il “Codice del Consumo” sostituisce un termine di decadenza di due mesi dalla scoperta del difetto (art. 132.2) e un termine di prescrizione di ventisei mesi dall’acquisto del bene (art. 132.4).
Tale disciplina ha carattere imperativo, per cui gli eventuali patti contrari sono nulli (art. 134.1), e ciò per garantire la massima tutela al consumatore.
Prodotti difettosi e responsabilità civile. Ma non è solo il diritto dei contratti a vedere delle innovazioni. Pensiamo, ad esempio, al diritto della responsabilità civile. Gli artt. 114 ss. del “Codice del Consumo” regolano infatti la responsabilità per danno da prodotti difettosi.
Un prodotto è difettoso “quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze” (art. 117.1). E’ risarcibile il danno alla persona e il danno a cose diverse dal prodotto difettoso (art. 123.1), con una franchigia di 387 € (art. 123.2).
Si tratta ora di verificare quale sia il modello di responsabilità cui ci si richiama. L’art. 120.1 prevede che “[i]l danneggiato deve provare il difetto, il danno, e la connessione causale tra difetto e danno”: sembrerebbe così richiamato un modello di responsabilità oggettiva. Ma, in realtà, l’art. 120.2 consente al produttore di provare una serie di fatti, quelli elencati nell’art. 118, che lo esonerano da responsabilità. E, in particolare, per l’esclusione della responsabilità gli basterà dimostrare la semplice probabilità “che il difetto non esistesse ancora nel momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione”: insomma, al produttore basterà fornire la prova che nessuno degli altri prodotti identici immessi in circolazione presentava quel difetto, con la conseguenza che, alla fine, spetterà al danneggiato dimostrare che il difetto effettivamente sussisteva, o comunque che egli aveva adottato tutte le norme di diligenza, con la conseguenza che la responsabilità del produttore tende a diventare per colpa36.
Novità processuali: la class action. Per concludere questo rapido esame del “Codice del Consumo”, dobbiamo accennare ad un’importante novità di carattere processuale: l’introduzione della cd. “class action” 37, un’azione collettiva al termine della quale vi sarà una sentenza che farà stato nei confronti di tutti gli aderenti (art. 140-bis.14).
Ciascun consumatore può dunque rivolgersi ad una associazione dei consumatori o ad un comitato affinché proponga un’azione di classe (art. 140-bis.1), o può aderire alla stessa (è il cd. “opt in”), con una comunicazione scritta al proponente, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni in appello, perdendo, in tal caso, il diritto all’azione individuale fondata sul medesimo titolo (art. 140-bis.3). Qualora invece non agisca o aderisca all’azione di classe, può comunque agire in via ordinaria per il riconoscimento del suo diritto individuale, ma in tal caso non può avvalersi dei risultati dell’azione collettiva.
L’oggetto della domanda è costituito da diritti omogenei di una pluralità di consumatori, che possono derivare da un contratto, da un prodotto oppure da pratiche commerciali scorrette o anticoncorrenziali (art. 140-bis.2, come modificato dall’art. 6.1 b) d.l. 1/2012).
Anche le modalità di svolgimento del processo sono particolari. In primo luogo la competenza, che è quella del tribunale del capoluogo di regione (con alcune eccezioni, art. 140-bis.4). In secondo luogo, bisogna rilevare l’esistenza di una fase preliminare, in cui viene valutata l’ammissibilità della domanda (art. 140-bis.6), che è appunto ammissibile quando vi sia la lesione degli interessi di almeno due consumatori (che, ovviamente, abbiano aderito all’azione). Inoltre, se decide per l’ammissibilità, il giudice fissa anche le modalità per la pubblicità, ai fini della tempestiva adesione degli appartenenti alla classe (art. 140-bis.9).
Conclusioni. Dunque, importanti sono le peculiarità del diritto dei consumatori, sia nel diritto sostanziale che in quello processuale, peculiarità che confermano la tendenza alla decodificazione, con la creazione di vari micro-sistemi esterni al codice civile. Così, ad un codice civile che costituisce il testo di riferimento principale del civilista, con pochi testi normativi diversi di “appendice”, si va sostituendo oggi un sistema in cui il punto di riferimento principale, in ogni materia, è dato da un “Codice” (in senso lato, cioè da un testo normativo di settore), e il codice civile finisce per avere un’applicazione residuale, per i casi non regolamentati altrove o, comunque, qualora assicuri una maggiore tutela al contraente debole. *
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Giurisprudenza
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Trib. Milano, 20 dicembre 2010 (ordinanza), in Foro it., 2011, I, 617, con nota di A. D. De Santis
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Trib. Torino, 28 aprile 2011 (ordinanza), e Trib. Roma, 25 marzo 2011 (ordinanza), in Foro it., 2011, I, 1888, con nota di A. D. De Santis
1 sul tema, cfr., in generale, F. Portento, Sintesi delle novità introdotte dal Codice del Consumo, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=10009; T. Solignani, Tutte le novità del nuovo codice del consumo, in http://www.b2b24.ilsole24ore.com/itechstudio/articoli/0,1254,4s5009_ART_65664,00.html
2 v. F. Mezzasette, Il codice del consumo (tra diritto interno e diritto europeo), in http://193.204.12.15/176/1/Tesi_Mazzasette_Federica.pdf, 14 ss.
3 G. Benacchio, La responsabilità del produttore, in G. Benacchio (a cura di), Diritto privato della Comunità Europea, CEDAM, Padova 2004, 399; Mezzasette, cit., 49 ss.
4 Mezzasette, cit., 31 s.
5 M. Paladini – A. Giusti, I contratti, in U. Breccia – L. Bruscuglia – F. D. Busnelli – F. Giardina – A. Giusti – M. L. Loi – E. Navarretta – M. Paladini – D. Poletti – M. Zana, Diritto privato. Parte seconda, UTET, Torino 2004, 650
6 Mezzasette, cit., 35 ss.
7 F. D. Busnelli – U. Breccia, I principi generali del codice del consumo nel quadro del diritto privato europeo, dattiloscritto, 5 ss.;
8 F. Bilotta – M. Cerrato, La vessatorietà delle clausole nei contratti del consumatore, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. I contratti in generale. IV. Tomo primo. Condizioni generali – Clausole vessatorie – Consumatori, UTET, Torino 2001, 144
9 cfr. altresì A. Orestano, La trasparenza e l’interpretazione, in Cendon, cit., 323 ss.
10 Busnelli – Breccia, cit., 17 ss.; cfr. altresì G. Loffari, Le nozioni di consumatore e di professionista, in Cendon), cit., 168
11 cfr. M. De Luca, La clausola penale e l’art. 1469 bis c.c., in Cendon, cit., 499 ss.
12 G. Bianchi, Il contratto di vendita. Fattispecie e profili applicativi, UTET, Torino 2009, 577 s.; F. D. Busnelli – U. Morello, La direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in Riv. not., 1995, I, 373 s.; E. Navarretta, Attività giuridica, in U. Breccia – L. Bruscuglia – F. D. Busnelli – F. Giardina – A. Giusti – M. L. Loi – E. Navarretta – M. Paladini – D. Poletti – M. Zana, Diritto privato. Parte prima, UTET, Torino 2003, 356
13 cfr. Bilotta – Cerrato, cit., 147; M. P. Suppa, L’accertamento della vessatorietà, in Cendon, cit., 237 ss.
14 E. Dalmotto, Le clausole sulla prova e sul relativo onere, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. I contratti in generale. IV. Tomo secondo. Clausole abusive, UTET, Torino 2001, 433 s.; A. Gabrielli, Le clausole di esonero da responsabilità, 614 ss.
15 Maneschi, cit., 34 ss.; Navarretta, cit., 357 s.. Su alcune fra le singole categorie di clausole, cfr. altresì M. Antonucci, Le clausole sulla forma e sulla modificabilità del contratto, in Cendon, ultimo cit., 761 ss.; C. Chiesa, Le clausole sulle modalità dell’adempimento, in Cendon, ultimo cit., 433 s.; P. Franceschetti, Le condizioni potestative, in Cendon, I contratti in generale. IV. Tomo primo, cit., 819 ss.; A. Gabrielli, Le clausole di esonero da responsabilità, in Cendon, I contratti in generale. IV. Tomo secondo, cit., 481 ss.; G. F. Gosi, La clausola compromissoria, in Cendon, cit., 707 ss.; A. Maiorani, Il recesso convenzionale. Le caparre, in Cendon, I contratti in generale. IV. Tomo primo, cit., 784 ss.; F. Pantaleoni, L’inefficacia delle clausole non conosciute, in Cendon, ultimo cit., 373 ss.; M. L. Panetta, Le clausole sulla competenza, in Cendon, I contratti in generale. IV. Tomo secondo, cit., 720 s.; M. Parpaglioni, Le clausole sulla modifica unilaterale del contratto e sull’accertamento unilaterale dell’esecuzione, in Cendon, I contratti in generale. IV. Tomo primo. Condizioni generali – Clausole vessatorie – Consumatori, UTET, Torino 2001, 808 ss.
16 F. Mazza, Merger clause o “clausole di completezza”, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. I contratti in generale. IV. Tomo secondo, cit., 747 ss.
17 Bianchi, cit., 577; Maneschi, cit., 11
18 sul tema, cfr. C. Liverziani, Le clausole contenute in moduli o formulari, in Cendon, I contratti in generale. IV. Tomo primo, cit., 291 ss.
19 v. E. Graziuso, La tutela del consumatore contro le clausole abusive. Mezzi rituali ed irrituali, Giuffré, Torino 2002, 50
20 v. Graziuso, cit., 50 s.
21 A. Maneschi, La difesa del consumatore dalle clausole vessatorie. La protezione del consumatore realizzata dalla l. 6.2.1996, n. 52 in attuazione della direttiva comunitarie 93/13/CEE, Giuffré, Milano 1997, 17; cfr. altresì M. T. Annecca, Le clausole oggetto di trattativa individuale, in Cendon, cit., 303 ss.
22 G. Pignataro, La responsabilità precontrattuale, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. I contratti in generale. V. Buona fede – Responsabilità precontrattuale – Integrazione – Interpretazione, UTET, Torino 2000, 127
23 F. Pantaleoni, Le azioni inibitorie, in Cendon, I contratti in generale. IV. Tomo primo, cit., 391 s.
24 cfr. F. Maschio, L’inefficacia, in Cendon, I contratti in generale. IV. Tomo primo, cit., 339 s.
25 G. Palliggiano, Vessatorietà delle clausole accertata dal Garante, in Guida dir., 2012, 7, 42 ss.
26 cfr. De Luca, cit., 504 ss.
27 B. Tassone, Vendita fuori dei locali commerciali, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale. XV. Vendita.Tomo primo, UTET, Torino 2004, 229 ss.
28 sul tema, cfr. B. Tassone, Vendita a distanza, in Cendon, ultimo cit., 307 ss.
29 Tassone, Vendita fuori dei locali commerciali, cit., 261
30 Tassone, ultimo cit., 263
31 Tassone, ultimo cit., 274 s.
32 Tassone, ultimo cit., 278
33 sul tema, cfr. M. C. Cervale, Multiproprietà, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale. IV. Beni e proprietà, UTET, Torino 2004, 212 ss.
34 sul tema, cfr. G. Acquaro, Vendita dei beni di consumo, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale. XV. Vendita. Tomo secondo, UTET, Torino 2004, 533 ss.; Mastrorilli, cit., 25 ss.
35 R. Calvo, I singoli contratti. Casi e problemi, Giappichelli, Torino 2004, 66; F. Tovani, La tutela del compratore nei contratti di vendita internazionale di beni mobili, Ennepilibri, Imperia 2007, 22 s.
36 Benacchio, cit., 393 s.; A. Mastrorilli, La garanzia per vizi nella vendita. Disciplina del codice civile e del codice del consumo, II ed., Giuffré 2009, 59; P. G. Monateri, La responsabilità per danno alla persona da prodotti difettosi, in P. G. Monateri – M. Bona – U. Oliva – F. Peccentini – P. Tullini, Il danno alla persona. Tomo secondo, II ed., UTET, Torino 2001, 461 ss.
37 sul tema, cfr., in dottrina, AA. VV., Procedura civile, IPSOA, Milano 2009, 917 ss.; in giurisprudenza, Trib. Milano, 20 dicembre 2010 (ordinanza), in Foro it., 2011, I, 617, con nota di A. D. De Santis; Trib. Torino, 28 aprile 2011 (ordinanza), e Trib. Roma, 25 marzo 2011 (ordinanza), in Foro it., 2011, I, 1888, con nota di A. D. De Santis
* Estratto, tradotto in italiano, del seminario tenuto il 12 maggio 2012 al corso in “Derecho del consumo y derecho de la competencia” presso la Facoltà di Scienze Sociali del Politécnico Grancolombiano di Bogotá
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