Il diritto islamico: categorie generali e n0rme penali*

Redazione 27/08/00
di Ivan Caradonna

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La legge sacra dell’ Islam (shari’a) è un corpus onnicomprensivo di doveri religiosi che regolano ogni aspetto della vita del musulmano.Essa comprende parimenti sia le norme che riguardano l’ attività di culto, sia le leggi politiche, sia le norme giuridiche strictu sensu.

Il diritto musulmano è un esempio particolarmente significativo di “diritto sacro” sensibilmente diverso dagli altri esempi di “diritto sacro” quale quello ebraico e quello canonico, più vicini sul piano storico e geografico al diritto musulmano ma assai diversi per quanto concerne i propri relativi processi di evoluzione e stabilizzazione.

Nonostante il diritto musulmano sia un “diritto sacro”, la sua sostanza non è affatto irrazionale : è stato creato non già sulla base di un processo di rivelazione continua, ma attraverso un metodo di interpretazione razionale, e le norme religiose e morali introdotte nella materia giuridica hanno fornito le basi per il suo aspetto strutturale.

E’ comunque un diritto eteronomo[1] in quanto le due sue fonti principali –il Corano e la Sunna del Profeta- sono sì espressioni del volere divino, ma accanto ad esse vi è il consenso della Comunità che, sebbene anch’ esso pervaso di divina autorità, rappresenta uno stadio di transizione verso un diritto autonomo e ne costituisce la decisiva istanza.

Dall’ altro lato, il diritto musulmano ha un carattere formale ben poco sviluppato: mira a fornire norme concrete e materiali e mostra uno spiccato carattere privato ed individualista nel senso di risultare la somma totale dei privilegi personali e dei doveri di tutti gli individui. Una delle più sorprendenti caratteristiche del diritto musulmano classico è il metodo casistico strettamente legato alla struttura stessa dei suoi concetti giuridici: entrambi sono il risultato di un modo di ragionare per analogia – opposto al procedimento analitico- che pervade nella sua totalità il diritto islamico.

Quest’ultimo –inoltre- rappresenta un caso estremo di “diritto dei giuristi”: è stato creato e sviluppato da specialisti privati; la scienza giuridica e non lo Stato svolge il ruolo di legislatore e la dottrina ha forza di legge (!).

Vi sono determinati parallelismi tra le funzioni di questi specialisti nel diritto musulmano ed in quello romano, ma le differenze sono più importanti.

Nel diritto romano fu la crescente importanza della vita commerciale a stimolare la creazione degli istituti giuridici corrispondenti;in quello islamico fu lo zelo religioso di un crescente numero di musulmani a stimolare l’ applicazione di norme religiose a tutte le questioni di comportamento.Se i giuristi romani volevano rendersi utili ai loro clienti, dovevano tentare di prevedere le probabili reazioni dei magistrati e dei giudici di fronte a ciascun rapporto; se i primi giuristi islamici dovevano compiere il loro dovere religioso così come lo percepivano, essi dovevano indagare la propria coscienza per comprendere cosa fosse lecito e che cosa proibito ad un buon musulmano, quali atti amministrativi egli avrebbe dovuto accettare e quali rifiutare, quali istituti della pratica consuetudinaria avrebbe avuto il diritto di utilizzare e quali avrebbe dovuto evitare.

E’ interessante notare come il diritto musulmano non pretende di avere validità universale: esso è pienamente vincolante per i musulmani residenti nel territorio dello stato islamico, in misura leggermente minore per quelli in territorio nemico, e solo entro modesti limiti per i non musulmani in territorio islamico.

Il modo in cui il diritto musulmano, in vari paesi ed epoche, ha riflettuto ed influenzato la società e ha reagito nei suoi confronti è stato oggetto di numerosi studi[2].D’altra parte, fino ad ora non è stata intrapresa con successo un’ analisi sociologica della sua struttura.

Difatti, nella sociologia del diritto, un importante elemento è il grado di differenziazione delle diverse materie giuridiche tra loro. Tale distinzione non esiste nel diritto musulmano. Per questo motivo le norme procedurali si intrecciano invariabilmente con le norme del diritto sostanziale, e le norme del diritto costituzionale ed amministrativo sono sparse nei più disparati capitoli delle fonti. Il potere pubblico, di solito, è ridotto a diritti e doveri di privati come ad esempio il dovere di pagare la zakat, ossia l’ elemosina. Tutto ciò è tanto più significativo se si considera che la lingua araba possiede un termine astratto per “autorità, dominio, potere di governare” nella parola sultan, termine che ha iniziato ad essere usato come titolo solo a partire dal X secolo d.C.;il diritto musulmano, ciononostante , non ha sviluppato un corrispondente concetto giuridico. Per la stessa ragione le istituzioni fondamentali dello stato islamico sono strutturate non come funzione della comunità dei credenti, ma come doveri il cui compimento da parte di un sufficiente numero di individui esonera gli altri: in pratica manca totalmente il concetto di istituzione[3].

Le premesse fin qui svolte ci consentono di affrontare la disamina degli aspetti più salienti dell’ elaborazione dommatica e della concreta applicazione del diritto islamico in materia penale.

Il diritto musulmano prevede due ben distinte categorie di pene corrispondenti alle due fonti da cui tutto il diritto penale deriva: la vendetta privata e la punizione di reati contro la religione e la disciplina militare. Il primo gruppo è sopravvissuto nel diritto musulmano quasi senza modificazioni. Il secondo è rappresentato solo dai reati contro la religione, intesi nel senso di atti proibiti dal Corano. Essi sono il rapporto sesuale illecito (zina) ed il suo equivalente; la falsa accusa di rapporto sessuale illecito (qadf); il bere vino (surb al- hamr ); il furto (sariqa); il brigantaggio (quat al-tariq). Le punizioni previste per questi reati vengono denominate hadd (plurale hudud), ovvero prescrizioni restrittive di Dio, e sono:la pena di morte, per lapidazione (la pena più severa per il rapporto sessuale illecito), per crocifissione o mediante la spada (per il brigantaggio con omicidio); il taglio della mano e/o del piede (per il brigantaggio senza omicidio e per il furto); e negli altri casi , la fustigazione con un numero variabile di frustate. Queste ultime possono essere comminate dal giudice (qadi) come “castigo”, inteso in termini di pena discrezionale (ta ‘zir) che prende il posto della pena hadd nei casi in cui quest’ ultima non si ritiene pienamente applicabile.

Vi sono regole riguardanti sia la forza con cui le frustate devono essere inflitte- che varia di caso a caso- sia altri dettagli che riguardano l’ applicazione delle pene. La carcerazione (habs) non è una pena -se non come ta ‘zir- e viene impiegata alla stregua di una misura coercitiva che mira a suscitare il pentimento (tawba) od ad assicurare l’ osservanza delle norme. Il diritto musulmano non conosce le sanzioni pecuniarie. La pena hadd è un diritto od obbligazione di Dio, il che rende impossibile il perdono o la transazione. D’ altra parte le azioni per falsa accusa di rapporti sessuali e per furto si avviano solo su istanza della parte interessata che deve essere presente sia al processo sia all’ esecuzione della sentenza[4]. Nel caso del rapporto sessuale illecito, i testimoni hanno un ruolo corrispondente : se essi non sono presenti ( e quando la pena è la lapidazione,non lanciano le prime pietre) la pena non può essere eseguita.

Vi sono brevi termini di prescrizione, per lo più di un mese: nel caso della consumazione del vino, il termine coincide con il tempo durante il quale l’ odore del vino o lo stato di ebbrezza persistono. Ciò non significa che il reato non sia punibile, ma che il giudice non accetta la testimonianza : se vi è una giustificazione per il ritardo nella denuncia di un reato- come ad esempio la distanza- il termine di prescrizione non decorre.

In ordine ai testimoni,inoltre, il diritto musulmano è assai esigente riguardo al loro numero ai loro requisiti ed al contenuto delle loro affermazioni: questi elementi sono considerati assai rigorosamente quando si tratta di provare l’accusa di rapporti sessuali illeciti. Difatti,in questo caso, invece dei consueti due, sono richiesti quattro idonei testimoni maschi e di stato libero che devono attestare di avere assistito di persona non solo all’atto sessuale in sé, ma ad un zina. Questa è definito come un rapporto al di fuori del milk o del subhat milk: il milk è il diritto al rapporto sessuale che scaturisce dal matrimonio o dal possesso di una schiava. Per quanto concerne la moglie, la subha (presunzione di buona fede ) esiste in un matrimonio che risulti in seguito invalido ma che il marito possa avere considerato valido. Per quanto concerne una schiava la subha può sussistere – ad esempio- se la schiava appartiene ad uno dei suoi ascendenti o discendenti. In questi -ed in molti altri casi- non si dà luogo a hadd ed il rapporto sessuale crea un’ obbligazione pecuniaria: il pagamento di un “dono equo” (simile a quello nuziale) ad una donna libera ,e di un risarcimento al padrone della schiava.

Affrontiamo adesso i risvolti inerenti il furto[5]. La sariqua si ha quando un soggetto si impadronisce di nascosto di qualcosa del valore di almeno di almeno dieci dirham, su cui egli non ha il diritto di proprietà (milk) o la sua presunzione (subhat milk), e che sia custodito. La condizione del milk o del subath milk esclude ogni cosa rinvenuta sul territorio musulmano e che non abbia proprietario, come gli alberi, l’ erba, i pesci, gli uccelli, fino a quando l’acquisizione della loro proprietà non divenga evidente ( ad esempio il legname quando sia lavorato per farne un utensile).Un caso analogo è rappresentato dai frutti che non sono stati raccolti e da generi deperibili come la carne. E’ parimenti escluso ciò che non può essere oggetto di proprietà (come una persona libera) e quei beni che per la loro deputatio ad cultum non sono res in commercio, come le copie del Corano ed i libri di scienze religiose.La condizione “di nascosto” esclude la rapina manifesta e la cleptomania.La condizione della “custodia” esclude il furto ai danni di un parente prossimo nonché l’ appropriazione indebita. Se i ladri sono più di uno la pena hadd è applicabile solo se il valore dell’ oggetto diviso per il loro numero raggiunge per ciascuno almeno i dieci dirham. La punizione consiste nel taglio della mano destra e , per i recidivi, anche del piede sinistro.In caso di ulteriore recidiva, e comunque se l ‘altra mano o l’altro piede non sono pienamente funzionali, il ladro viene semplicemente imprigionato fino a quando mostri di pentirsi. Una pena hadd esclude la responsabilità patrimoniale e solo se l’ oggetto è ancora esistente potrà essere restituito al proprietario.

Analizziamo, dunque, le previsioni penali in tema di omicidio (qatl): è in relazione a quest’ illecito che la casistica delle pene viene sviluppata in tutti i particolari specificando i vari gradi di colpevolezza e le pene corrispondenti.

Il diritto musulmano distingue fra l’ intenzione deliberata, l’intenzione quasi deliberata, l’ errore e l’ omicidio colposo. Nel caso di intenzione deliberata, che implica l’ impiego di strumenti mortali è previsto la pena del taglione.

Al parente più stretto della vittima spetta di chiederlo ovvero lo stesso vi può rinunciare a titolo gratuito- in questo caso abbiamo il perdono (afw)- o sulla base di una transazione (sulh) con il colpevole per un prezzo del sangue più o meno alto[6], cui deve seguire la kaffara (assimilabile ad una forma di garanzia personale[7]). Nel caso di intenzione quasi deliberata, ossia di un atto intenzionale ma senza ricorso a strumenti mortali sono previsti per il colpevole la kaffara ed il pagamento di un “più alto prezzo” del sangue da parte della sua aqila [8]. In questo caso per “prezzo del sangue” più alto si intende l’ uccisione di un proprio discendente o l’ uccisione da parte del padrone di un proprio schiavo o dello schiavo di un suo discendente.

Nel caso si versi in una condizione di errore è previsto lo stesso trattamento del caso precedente , ma il “prezzo del sangue” sarà quello normale.

Infine, nell’ ipotesi di omicidio colposo è previsto che la famiglia del reo debba pagare il normale “prezzo del sangue” (fustigazione), ma non è prevista alcuna forma di garanzia personale.

In tutti i casi di omicidio si prevede l’ esclusione del colpevole dalla successione ereditaria nei confronti del defunto.

E’ interessante notare che nel caso di concorso di due o più persone nella dinamica omicida ,se ad uno dei correi non può essere applicato il taglione, anche gli altri ne sono esclusi ma devono comunque pagare un più alto “prezzo del sangue”.

La casistica inoltre stabilisce con esattezza l’ ambito del diritto alla legittima difesa: in generale esso sussiste soltanto nel caso in cui si verifichi un attacco pericoloso contro la persona;sussiste anche nel caso di furto commesso nottetempo, quando esso possa essere impedito solo aggredendo il ladro; o quando un uomo sorprende la propria moglie o la propria schiava in un atto sessuale illecito ed uccida lei e/o il suo complice.

E’ da rilevare che il “prezzo del sangue” richiesto per una donna è metà di quello richiesto per un uomo e che il pagamento viene rateizzato in tre anni, con la condizione che ciascun membro della famiglia non paghi più di tre o quattro dhiram.

Infine una breve nota sul delitto di apostasia. Se l’apostata è maschio viene ucciso, quantunque la legge raccomandi di offrirgli la possibilità di riabbracciare l’islam e di accordargli un ripensamento di tre giorni. Se l’ apostata è donna, verrà imprigionata e battuta per tre giorni finché riabbracci l’ islam.

Concludendo questa breve disamina su un argomento assai complesso e suscettibile di notevoli “travisamenti” ermeneutica ed espositivi, possiamo senz’altro affermare che nel diritto islamico propriamente detto non esiste alcuna teoria generale del diritto penale. In esso le idee di colpa e responsabilità- come si è avuto modo di esaminare- sono assai poco sviluppate ed il concetto di circostanze attenuanti non esiste affatto così come la categoria del tentativo.

D’ altra parte la teoria delle pene, con la sua distinzione fra vendetta privata, pene hadd e pene ta’ zir mostra una notevole varietà concettuale che costituiscono un autentico fardello per lo studioso occidentale del diritto islamico. Un peso – tuttavia- che i cultori del diritto nell’ attuale e tragica contingenza storica hanno il dovere di portare, al fine di fornire all’ opinione pubblica ed alla politica quegli strumenti di comprensione della complessità della realtà islamica che -a tratti- è davvero irriducibile alle nostre categorie concettuali.

E’ quindi un preciso dovere – non solo dei più attenti cultori della materia- adottare questo sforzo di comprensione ed analisi, nella certezza che lo stesso può rappresentare un veicolo culturale che- partendo dalla comprensione dell’ alterità delle rispettive weltanschauung- possano porre in essere tutti quei tentativi di dialogo tesi ad evitare ogni fatalistico “scontro di civiltà”[9].

Note
* Intervento dell’ Autore al Seminario di studi organizzato dalla Lega Mediterranea per la Libertà Religiosa sul tema “ I diritti della politica e la politica del diritto nei Paesi islamici” svoltosi a Palermo il 11.09.2002.”

[1] Cfr A D’ EMILIA, “Diritto islamico” in Le civiltà dell’ Oriente, vol. III, Roma 1958, pag. 493-530

[2] Cfr. Per tutti: F.CASTRO, Lineamenti di storia del diritto musulmano, 2 voll., Venezia ,1979.

[3] Cfr. G. CALASSO, “Osservazioni in margine alla discussione sull’autenticità delle tradizioni islamiche” in Egitto e Vicino Oriente, vol.I, Roma 1978, pag. 207-218.

[4] Cfr. E. MORIONDO, “Giudici e processi in Arabia Saudita” in Magistratura, 4 (1968), pag. 16 e ss.

[5] Cfr. C.NATOLI, “Note sul diritto sudanese. La riforma islamica del diritto penale” in Africa ,XLIII,1988 pagg. 357-359.

[6] Cfr. F. VASSALLI, “In margine al diritto penale islamico” in Giustizia penale,parte II, 1980. pagg. 129-143: “[…]il più alto prezzo del sangue (dia mugallaza) ammonta a cento cammelli di elevata e ben determinata qualità; il normale prezzo del sangue (dia muhaqqaqa), a cento cammelli di minor pregio a mille dinar o a diecimila dirham ” .

[7] Cfr IBIDEM:“[…]essa può consistere nell’ affrancamento di uno schiavo musulmano o, in csao di impossibilità di tale azione nell’ osservare il digiuno per due mesi consecutivi”.

[8] Cfr. IBIDEM: “L’ aqila è composta da coloro che – in quanto facenti parte dell’ esercito musulmano- sono iscritti nel ruolo di questo e percepiscono la paga: essi sono tenuti a pagare se il colpevole fa parte del loro gruppo. In alternativa, la aqila è composta dai membri maschi della tribù del colpevole ( se il loro numero non è sufficiente si chiameranno in causa anche le tribù più strettamente imparentate); in alternativa ancora, la corporazione cui aderisce il colpevole secondo la sua attività e gli associati di quella”.

[9] Cfr. S. P. HUNTINGTON “Lo scontro delle civiltà”, Ed. Garzanti, 2000.

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